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il Quaderno del 9 novembre

Noi/La manifestazione contro Prodi

La scelta di spostare la grande manifestazione di sabato 2 dicembre da Piazza del Popolo a Piazza San Giovanni, rappresenta di per sé un segnale importante perché conferma la previsione di un'imponente partecipazione dei cittadini contro il governo delle tasse. Al tempo stesso, questa decisione necessita di una straordinaria mobilitazione di Forza Italia che ottenga l'effetto di una partecipazione di popolo impressionante e perciò politicamente rilevante.

E' compito del centrodestra dare voce e dignità politica allo scontento e al disagio che emerge dai ceti produttivi che si sentono messi sotto tiro da un'anacronistica ma spietata vendetta di classe.

Non c'è, dunque, tempo da perdere: in nome della rivoluzione liberale che saremo chiamati a portare a compimento dopo la parentesi del centrosinistra, abbiamo il dovere di condurre un'opposizione ferma e responsabile in Parlamento e nel Paese per bloccare la controriforma che il governo Prodi sta cercando di mettere in atto e contro la quale tante categorie e tanti cittadini, autonomamente, hanno dato vita ad una mobilitazione spontanea. Il governo Prodi in sei mesi ha già battuto tutti i record negativi nella storia della Repubblica:

Un disastro senza precedenti di fronte al quale Prodi chiede continuamente la fiducia al Parlamento perché sa di non avere più quella degli italiani.

L'Unione tenterà di restare unita finché potrà, perché per la sinistra il potere è un collante eccezionale, ma nel momento in cui si accorgerà di non disporre più di una maggioranza politica sarà costretta ad aprire una crisi. E quando questo accadrà, tutto il centrodestra dovrà essere pronto.

Per questo occorre un impegno e uno sforzo eccezionali da parte di tutti affinché si realizzi una partecipazione senza precedenti alla grande manifestazione romana contro la Finanziaria. Dobbiamo dare un segnale di coesione e di forza all'Italia e un avviso di sfratto a questo governo irresponsabile.

Noi/L'opposizione contro chi e come

Prodi naviga a vista o meglio galleggia. Lo fa ai danni del Paese e la pubblica opinione sta registrando questo dato politico con una consapevolezza crescente.

Tuttavia il clima positivo attorno all'opposizione richiede tempi e strategie adeguate per trasformarsi in autentico compenso. Non solo. Per quanti sforzi facciano Berlusconi e la classe dirigente azzurra, non c'è dubbio che i continui distinguo di Casini, gli strappi di alcuni esponenti della Lega e perfino lo splendido isolamento di Fini rispetto ai sui colonnelli, non offrano della opposizione quel quadro stabile e unitario che serve in frangenti come questo.

Noi dobbiamo tenere per mano milioni di italiani delusi, sfiduciati e infuriati con il governo Prodi-Bertinotti! Ma non basta per stabilire una alternativa neppure se – come ci auguriamo – il governo cadesse in Senato per mancanza di numeri.

La pazienza e la capacità di Berlusconi, in questa fase in cui gli alleati sono più interessati alla leadership del 2011 che a sfiduciare Prodi, è quella di costruire lui le condizioni della svolta.

Deve farlo, almeno in questa fase, lavorando sotto traccia perché le condizioni del dopo Prodi vanno avallate dal centro destra ma stabilite in realtà nel campo avversario, cioè nella maggioranza.

Dando spazio ai nemici interni di Prodi la politica d'opposizione potrà dare frutti concreti anche in tempi relativamente brevi.

Gli altri atteggiamenti aiutano, di fatto, il galleggiamento del premier e la sua durata – sia detto per inciso – favorirà nei centristi di entrambe le sponde appetiti anomali su leadership future e non solo.

Tv/La "Gentiloni": contro chi e come

Loro/Finanziaria, trucchi e tattiche

Sulla finanziaria il governo sta applicando il più classico dei catenacci. Nasconde la palla al centro campo e punta a colpire in contropiede con il voto di fiducia. Questo tipo di catenaccio, però, lo sta applicando alla sua maggioranza. L'opposizione, con la scelta di ridurre drasticamente il numero degli emendamenti, assiste dalla panchina; pronta ad entrare in campo (soprattutto al Senato) per fare la propria partita.

La scelta di questa tattica di gioco da parte della maggioranza è in parte obbligata per ragioni tecniche, oltre che per la frantumazione della coalizione di governo.

La legge finanziaria non può essere approvata da Montecitorio finquando il decreto fiscale non viene convertito in legge da Palazzo Madama. Nella pancia del decreto ci sono 5 miliardi di copertura delle spese previste dalla finanziaria. Quindi, il voto finale della manovra alla Camera deve aspettare quello del Senato sul decreto (le norme che contiene sono già in vigore, ma è prassi istituzionale che in casi del genere si attenda la conversione in legge).

Ed a questo punto si complicano le cose per la maggioranza; da qui, il catenaccio con la speranza di poter utilizzare il voto di fiducia. La maggioranza a Palazzo Madama è minima ed a rischio. Il decreto fiscale arriverà solo giovedì prossimo all'esame dell'aula; e lì può succedere di tutto. Compresa la possibilità – già presa in considerazione a Palazzo Chigi – in caso di bocciatura del decreto da parte del Senato, di trasformare il provvedimento in un maxi emendamento alla finanziaria. E su quello chiedere la fiducia alla Camera.

Da qui, l'attendismo, il catenaccio, del governo nei confronti del Parlamento, e della sua maggioranza.

Loro&Noi/Verifica dei voti, partita aperta

Potrebbero essere meno di duemila, e non ventiquattromila, i voti grazie ai quali l'Unione ha conquistato, nelle elezioni del 9 e 10 aprile, il premio di maggioranza alla Camera dei Deputati.

È quanto emerge dalla discussione che martedì scorso si è svolta nella Giunta delle elezioni della Camera dei Deputati.

All'ordine del giorno della discussione la relazione del deputato di Forza Italia, Gregorio Fontana, sulla verifica delle elezioni politiche nella circoscrizione Sardegna.

Fontana ha rilevato che sul 23 per cento circa delle schede bianche e delle schede nulle emergono "numerose irregolarità dovute a interpretazioni soggettive, da parte dei componenti dei seggi, delle norme in materia di nullità del voto".

In altri termini, gli scrutatori ai seggi avrebbero annullato un cospicuo numero di voti validi, e non secondo criteri casuali. Fontana infatti segnala un dato "particolarmente significativo": la "tendenza al recupero in termini netti di voti validi a favore delle liste della Casa delle libertà in ragione di un voto ogni 2,8 seggi esaminati" una tendenza che porta, "a 128 voti attribuibili in più al centrodestra rispetto al centrosinistra su 359 sezioni".

Le parole di Fontana, come era prevedibile, hanno scatenato una dura polemica da parte degli esponenti della sinistra che hanno contestato al deputato azzurro i criteri seguiti nella verifica dei voti.

Il vero colpo di scena, però, è avvenuto quando il deputato dei Ds Rolando Nannicini, deputato dell'Ulivo e docente di matematica, ha tratto dalle parole di Fontana una conclusione che certo non è piaciuta al suo schieramento: "Se la circoscrizione Sardegna fosse rappresentativa dell'intera realtà italiana il centrosinistra, secondo gli stessi dati forniti dal relatore Fontana, risulterebbe comunque vincitore delle elezioni con uno scarto di circa duemila voti" e dunque "non è ravvisabile una tendenza tale da condurre all'inversione nell'attribuzione del premio di maggioranza".

Un'affermazione quasi suicida che Forza Italia ha colto al balzo, sostenendo che se lo scarto elettorale tra le due coalizioni a livello nazionale fosse dell'ordine di duemila voti la CdL avrebbe ulteriori e migliori ragioni per chiedere di "procedere immediatamente alla verifica su base nazionale delle schede bianche e nulle".

Richiesta respinta dalla sinistra che ha fatto propria le tesi sostenuta dal presidente della Giunta, l'azzurro Donato Bruno, secondo il quale è necessario attendere che si svolgano tutte le relazioni circoscrizionali prima di poter procedere alla verifica delle schede bianche e nulle a livello nazionale.

Per Fontana, invece, tale verifica "può svolgersi in parallelo allo svolgimento delle relazioni circoscrizionali". Come era avvenuto nella scorsa legislatura quando Lega Nord e Di Pietro avevano chiesto il riconteggio delle schede per verificare se avevano raggiunto la soglia del 4 per cento. E in quella occasione si era verificato un consistente recupero di schede a favore del centrodestra.

La partita del conteggio dei voti, dunque, è tutt'altro che chiusa. E potrebbe riservare ancora sorprese che costituirebbero ulteriori mine sul cammino accidentato della legislatura.

Bilancio/Sei mesi di governo: poco e male

Il governo Prodi ha fatto poche cose (male) ma nonostante questo è riuscito a dividersi su tutto. La cronaca di neanche sei mesi di governo è un autentico bestiario politico. Eccone alcuni, significativi esempi.

Missione in Libano

Il documento sottoposto alle commissioni Esteri e Difesa delle Camere non aveva alcun riferimento esplicito all'impegno per il disarmo delle milizie Hezbollah. Una formula dunque prudente, che molti parlamentari riformisti – Polito in testa - non hanno esitato a definire ambigua, vistto che, a loro avviso, ometteva il motivo fondamentale della crisi libanese, ma una formula che obbediva in pieno alla tesi dalemiana secondo cui "la questione del disarmo compete esclusivamente al governo di Beirut". Una tesi sposata in pieno dalla sinistra radicale secondo cui coinvolgere i militari italiani nel disarmo di Hezbollah sarebbe stato un grave atto di violenza "nei confronti di una parte legittima del governo libanese".

Cittadinanza

"E' giusto che la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri avvenga dopo cinque anni di regolare soggiorno e soprattutto che non sia condizionata dai fatti di cronaca". La sinistra radicale non sente ragioni: cinque anni è un periodo più che sufficiente per assegnare lo status di cittadini italiani agli stranieri che vivono e lavorano nel nostro Paese. Tale lasso di tempo è il frutto di una proposta del ministro dell'Interno Giuliano Amato, che in un Consiglio dei ministri tenutosi all'inizio di agosto ha presentato un disegno di legge volto a dimezzare i tempi necessari per diventare italiani (da dieci a cinque anni). Ma dopo il caso della giovane ragazza pakistana, uccisa dal padre perché si era rifiutata di sottostare a una promessa di matrimonio combinato e viveva "all'occidentale", Amato aveva avanzato l'ipotesi di un allungamento di due anni del "periodo di prova". Prc, Pdci e Verdi, invece, hanno definito l'allungamento a sette anni "una sconfitta per tutti noi".

Legge Bossi-Fini

Abrogare la legge Bossi-Fini? Superarla? O eventualmente mantenerne alcuni aspetti? Questi interrogativi hanno infiammato il dibattito nella maggioranza provocando nuovi malumori tra le diverse aree della coalizione: se da un lato le forze della sinistra radicale spingono per chiedere la cancellazione della Bossi-Fini (considerata dal capogruppo Pdci alla Camera, Pino Sgobio, uno strumento "repressivo e poliziesco"), in ambienti Dl e Ds vanno più cauti. Anzi, per la Margherita "l'idea di abrogare la Bossi-Fini è infondata e sballata. Bisogna vedere come questa legge ha funzionato e introdurre delle modifiche opportune e necessarie". Dunque, nessun colpo di spugna. E anche se Pdci, Prc e Verdi possono rivendicare la cancellazione della legge sull'immigrazione voluta dal centrodestra nella scorsa legislatura impugnando il programma dell'Unione (che a pagina 249 recita: "Il percorso legislativo che immaginiamo passa per l'abrogazione della legge Bossi-Fini"), i riformisti sostengono che "il programma non è il Vangelo, su queste cose è bene che si rifletta".

I Pacs

Al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini il deputato dei Ds Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, ha preso carta e penna per scrivere al popolo Cl che sui Patti civili di solidarietà serve "più coraggio e più umanità", ma la senatrice Dl Paola Binetti ha ribattuto che i Pacs non sono all'ordine del giorno di questa legislatura. L'ala radicale del centrosinistra è insorta, ricordando a tutti che la questione dei diritti civili "rientra nel programma del governo Prodi e verrà realizzata". Il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio ha ricordato che "l′Unione farà la legge sulle coppie di fatto" e ha invitato la Binetti a rassegnarsi. "Il riconoscimento delle coppie e delle unioni di fatto è nel programma della coalizione. Non è prevista la definizione di Pacs, che pure avremmo preferito, ma è certo che si dovrà procedere a un riconoscimento di tipo europeo, che non danneggia di certo la famiglia tradizionale. Se non prevarrà un confronto ideologico e integralista anche l′Italia potrà avere una legge moderna e avanzata".

Afghanistan

Il governo ha superato il voto di fiducia sull'Afghanistan, a fine giugno, ma le polemiche sono continuate. Il capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli ha infatti insistito sulla necessità di trasferire i nostri militari da Kabul al Libano, e il dibattito che è seguito, ha rappresentato nei fatti un brusco ritorno alla realtà di una coalizione in cui la sensibilità delle componenti radicali e riformiste rimangono distanti, sul tema della politica estera come su altre questioni. Il capogruppo al Senato del Prc Giovanni Russo Spena ha detto senza mezzi termini: "Non credo che riusciremo a reggere una Finanziaria con due missioni così costose". Polemiche anche sulle regole d'ingaggio annunciate dal ministro della Difesa Parisi. Diliberto (Pdci): "Consideriamo la nostra presenza in Afghanistan sbagliatissima e non ci daremo pace finché non riusciremo a portare i nostri soldati fuori da quella carneficina". Pareri completamente opposti dal fronte riformista: "Di ritirare gli italiani dall'Afghanistan non se ne parla proprio".

Giustizia

Amato e Mastella continuano a litigare sull'indulto, che a giudizio del ministro dell'Interno è stato un provvedimento frettoloso, fatto senza tenere conto delle radici e delle sue conseguenze, che elude il concetto di certezza della pena. Ma sul tema della giustizia questi mesi di governo hanno fatto registrare anche un clamoroso "incidente" parlamentare, con un fulmine a ciel sereno abbattutosi sull'ultima votazione riguardante il ddl Mastella al Senato. Al momento di votare un emendamento all'articolo 5, che se approvato giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, i senatori dell'Italia dei valori, astenendosi, hanno consentito, in virtù del regolamento del Senato, all'opposizione di battere la maggioranza per un solo voto (154 a 153), scatenando l'ira scomposta del Guardasigilli, che, dopo aver dichiarato di essersi letteralmente "rotto i coglioni" di Antonio Di Pietro, ha minacciato una mozione di sfiducia contro quest'ultimo, se non fosse sopravvenuto in tempi brevissimi un chiarimento davanti al premier.

Legge Biagi

Non è bastata la cosiddetta circolare Damiano a tranquillizzare gli animi nella maggioranza in relazione alla legge Biagi. La circolare sui call center era stata salutata con favore anche dai sindacati, ma agli effetti pratici il ministro ha lasciato alle aziende un largo margine di discrezionalità.

Il pressing di Rifondazione, a questo punto, è diventato asfissiante: "Non c'è dubbio che è ancora una mossa interna alla legge 30, che porta ancora a imbrogli e abusi. In realtà, va fatta una vasta operazione per riscrivere le norme del diritto e del mercato del lavoro. Bisogna arrivare, cioè, a un unico contratto di lavoro dipendente entro cui modulare i vari livelli di dipendenza socio-economica del lavoratore dall'impresa". Si va dunque verso l'abolizione tout-court della legge Biagi, perché Damiano ha subito alzato bandiera bianca di fronte all'ultimatum del Prc.

Titolo V Costituzione

Si prospetta un periodo caldo per il governo sul fronte dell'aggiornamento del titolo V della Costituzione volto ad accelerare la costruzione delle grandi reti infrastrutturali e dell'energia: il progetto di integrazione e ritocco alle competenze dell'articolo 117 della Carta costituzionale infatti non sembra avere il gradimento di alcuni partiti della maggioranza. E' il caso dei Verdi che parlano esplicitamente di un rischio "di deriva verticistica e autoritaria" contro cui minacciano di dare battaglia. Il riferimento è alle indiscrezioni sull'introduzione di una clausola di interesse nazionale che restituisca allo Stato i poteri oggi riconosciuti alle regioni nelle materie concorrenti. Secondo la sinistra radicale, questa modifica sarebbe in aperto contrasto con la concertazione, un principio prioritario del programma sottoscritto da tutta l'Unione. La parola d'ordine è dunque concertazione con il territorio senza se e senza ma, sulla Torino-Lione, come sui rigassificatori.

Finanziaria

Quando Fassino ha sottolineato la necessità di mettere mano a una Finanziaria rigorosa che contenga la spesa, a partire dai quattro settori indicati nel Dpef (sanità, previdenza, pubblico impiego e finanza locale), si è scatenata la reazione dei comunisti dell'Unione. Dura la reazione di Diliberto, che ha rimproverato il leader ds di tradire il programma dell'Unione sostenendo posizioni inaccettabili quale quella dell'innalzamento dell'età pensionabile. "Posizione" che in realtà è contenuta nel programma anche se non si accompagna alla presenza dei disincentivi per ritardare l'uscita dal mercato del lavoro e che fanno accapponare la pelle ai sindacati e ai partiti dell'ala massimalista. Ha tentato di mediare tra rigoristi e i lassisti il ministro del Lavoro Damiano, affermando che il governo sarebbe stato in grado già nella Finanziaria di agire sul sistema previdenziale, attraverso maggiori risorse e maggiori risparmi. Il Tesoro aveva studiato anche la spalmatura dell'intervento strutturale sulle pensioni in due strumenti legislativi, ma la levata di scudi del partito del "no ai tagli" ha fatto rinviare tutto al marzo 2007. "Chi ha intenzione di fare cassa con le pensioni dei lavoratori se lo tolga dalla testa". Prodi sa che lo scoglio della Finanziaria deve essere ancora oltrepassato, e che il test del Senato si prospetta ad alto rischio. Ma anche se l'esecutivo - ricorrendo al voto di fiducia - riuscisse a superare - com'è probabile - la prova di Palazzo Madama, le scorie accumulate lungo l'iter della finanziaria potrebbero esplodere di lì a breve. Tanto più se, accelerando sulla riforma previdenziale, Prodi decidesse di saggiare la pazienza della sinistra radicale. Che nell'accordo siglato a Palazzo Chigi sul Tfr ha colto un cedimento alle pressioni di Confindustria. E che fa leva sul programma dell'Unione per mettere in guardia da giri di vite sulle pensioni.

Sanità

Fassino coraggiosamente ha parlato di razionalizzare e ridurre la spesa sanitaria. Affermazione che il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero ha inteso anche questa volta come l'annuncio di tagli e ha rinviato al mittente con la stessa giustificazione usata da Diliberto a proposito delle pensioni: i tagli alla sanità non sono previsti nel programma dell'Unione. La sinistra radicale è sorda ai richiami dell'Ue secondo cui la ripresa economica in atto nel nostro Paese, come nel resto dell'area dell'euro, non deve portare i governi a rilassarsi. Anzi, deve essere vista come "un'opportunità per mettere a posto i conti". Ma i soli conti che fa Prodi sono quelli con il suo alleato Bertinotti.

Caso Telecom

Ad aumentare il già forte imbarazzo dei due maggiori partiti del centrosinistra rispetto all'atteggiamento di Prodi sull'affaire Telecom, è arrivata la stizzosa risposta fornita dal Professore a chi gli domandava se fosse il caso di andare a riferire in Parlamento sulla vicenda, al ritorno dal viaggio in Cina. Una replica ("ma che siamo matti?"). Da via Nazionale non sono mai giunte dichiarazioni in difesa del presidente del Consiglio e del suo staff, mentre da Largo del Nazareno sono arrivati solo segnali di inquietudine. I partiti della sinistra radicale invece, assieme a Di Pietro, hanno garantito sulla vicenda una copertura totale al premier, un chiarimento alla presenza del premier Romano Prodi.

Il tavolo dei volenterosi

L'iniziativa di Capezzone è stata definita "foriera di pasticci", o addirittura un'operazione dietro cui si scorge la "longa manus di Confindustria" e che rischia di favorire l'opposizione. "Peggiorando la Finanziaria da destra" con conseguenze che potrebbero giungere al "dissolvimento dell'Unione" e al "conflitto sociale". Il fuoco di sbarramento aperto da numerosi settori del centrosinistra contro il "tavolo dei volenterosi" è stato particolarmente intenso. Se l'ostilità della sinistra radicale era da mettere in conto, quella di marca ulivista - benché avvolta in espressioni diplomatiche – ha rappresentato una novità politica di un certo rilievo, indice della fragilità congenita di una coalizione che ha paura di ogni confronto.

Doppi incarichi

L'Unione non è ancora riuscita a far dimettere ministri e sottosegretari eletti al Senato. L'ultima fumata nera – 146 contrari, 142 a favore – è stata quella che ha riguardato il ministro della Salute Livia Turco. A scrutinio segreto, l'aula ha detto no per la terza volta – dopo le due di luglio – alla ministra diessina, che da tempo aveva manifestato l'intenzione di dedicarsi a tempo pieno alle attività del dicastero e che invece dovrà continuare a fare la spola tra lungotevere Ripa e l'emiciclo. Nulla di fatto, dunque, anche per l'applicazione di quella legge non scritta all'interno dell'Unione che vorrebbe l'eliminazione di qualsiasi doppio incarico tra chi è parlamentare e membro di governo.

Sconfitta al Senato

La sconfitta al Senato sul decreto relativo agli sfratti è stato derubricato a "incidente di percorso" da Prodi, ma ha costituito invece un'ulteriore spia della debolezza della maggioranza. Ds e Margherita continuano a invocare per il governo una "fase due", mentre il premier dice in modo chiaro di "ignorare" simili espressioni. Anche perché il Professore non è "un uomo per tutte le stagioni".

Aliquote fiscali

Tra maggioranza e governo non sono mancate discrepanze anche clamorose. Il sottosegretario Letta e il viceministro Visco, ad esempio, hanno platealmente bocciato a nome dell'esecutivo l'emendamento presentato dall'Ulivo alla Camera per portare al 45 per cento le aliquote fiscali sui redditi oltre i 150 mila euro. Una sconfessione ribadita a scanso di equivoci da Prodi. E condivisa dal senatore Tiziano Treu, che ha contestato ai colleghi ulivisti della Camera la coerenza tra un simile inasprimento fiscale e il programma dell'Unione. A completare il mosaico hanno provveduto i Comunisti italiani annunciando una serie di emendamenti del Pdci per spostare addirittura al 47 per cento l'aliquota massima.

   

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