Caro Direttore,
Le ho chiesto ospitalità sulle colonne del Messaggero anzitutto per ringraziare Roma e i romani.
Un grazie di cuore per l'accoglienza che la città ha riservato alla grande manifestazione del popolo della libertà della scorsa settimana.
Un grazie di cuore ai tantissimi romani che hanno partecipato, ma anche a quanti, impegnati nelle attività di ogni giorno, hanno accettato, con civile pazienza, gli inevitabili disagi creati dall'afflusso di due milioni di cittadini da ogni parte d'Italia.
I cittadini di Roma, lo si è visto nelle strade, hanno compreso lo spirito di una manifestazione che è stata una grande festa di popolo e che ha saputo esprimere gioia, ottimismo, spirito vitale e costruttivo, sempre positivo.
Ne ero certo, ma è con orgoglio che constato come un popolo abbia attraversato pacificamente e civilmente le vie della Capitale, per poi confluire in piazza San Giovanni.
Il popolo della libertà, oggi maggioranza nel Paese, ha gridato la sua protesta contro il governo senza eccessi, senza insulti, senza parole di odio e di divisione.
I commercianti non sono stati costretti ad abbassare le saracinesche, i romani non hanno temuto un solo attimo per la loro incolumità.
Il popolo della libertà ha sventolato le proprie bandiere e non ha dato alle fiamme quelle degli avversari politici; ha gridato i propri slogan e non ha bruciato né auto né fantocci.
Due milioni di persone hanno dato l'esempio di come si possa mobilitare la piazza nel totale rispetto della città che li ha ospitati. Non è così, me lo lasci ricordare, quando certa sinistra s'impadronisce della piazza.
Il popolo delle libertà ha manifestato con chiarezza cosa vuole e cosa non accetta. Non accetta l'oppressione fiscale, l'oppressione burocratica, l'oppressione giudiziaria che le viene imposta da un governo di minoranza, un governo dominato da una sinistra estrema e fondamentalista, che affonda le sue radici nella perversa ideologia del comunismo.
Vuole invece un'Italia di persone libere e responsabili, in grado di prendere in mano il loro futuro, di scegliere un buon lavoro, di far crescere i figli secondo i propri valori e le proprie idee. Vuole una società nella quale tutti i giovani possano frequentare una buona scuola, indipendentemente dalle proprie condizioni sociali, e possano conseguire un diploma od una laurea di qualità.
Una società nella quale i giovani abbiano un lavoro ben pagato, che permetta loro di essere subito indipendenti e di formarsi una famiglia. Una società nella quale nessuno rimanga indietro. Perché ogni persona ha un valore inestimabile, e perché il benessere di ogni cittadino concorre al benessere di tutti gli altri, al benessere di tutta la società. Una economia forte e vitale, fondata su imprese moderne ed efficienti. Uno Stato che sia al servizio dei cittadini, e che non pretenda invece che siano i cittadini al servizio dello Stato.
Questa è la nostra proposta, questo il nostro programma di sempre che oggi riproponiamo intatto al Paese per costruire l'alternativa popolare e liberale al peggior governo della nostra storia repubblicana.
Il governo imploderà, prima della fine della legislatura, sotto il peso delle sue contraddizioni. Noi ci stiamo preparando, con l'impegno che da più di dodici anni dedichiamo al bene dell'Italia, per riprendere al più presto il filo spezzato il 9 aprile e completare il lavoro di ammodernamento dello Stato che abbiamo così bene iniziato.
Grazie, caro direttore, per la Sua cortese ospitalità.
"Noi abbiamo il convincimento di aver vinto, quindi bisogna ricontare tutte le schede". Silvio Berlusconi si ferma a scambiare alcune battute con i giornalisti dal finestrino della sua auto blu prima di partire alla volta di Milano davanti all'ingresso principale di via del Plebiscito.
L'ex premier rilancia il suo cavallo di battaglia cioè la necessità di ricontare tutte le schede perché è convinto di aver vinto le ultime elezioni politiche.
"Abbiamo il convincimento che abbiamo vinto noi - insiste il Cavaliere - quindi vanno ricontate le schede. In una democrazia non si può arrivare ad assegnare una maggioranza per 24 mila schede, cioè lo 0,6 per mille". Il leader di Forza Italia apre un altro fronte, quello del voto degli italiani all'estero: "Nel voto agli italiani all'estero si sono registrate assolute irregolarità quindi noi dobbiamo assolutamente insistere: vanno ricontate tutte le schede elettorali".
Scrive Edmondo Berselli su La Repubblica: "Sarà impazzita anche Bologna, ma questa volta il faccia a faccia con la realtà è avvilente, doloroso. Ieri per la prima volta in vita sua Romano Prodi ha sperimentato i fischi. Peggio, l'avversione di un popolo giovane, spensierato, consumista, proprio nella sua Bologna, dentro la festa di massa del Motorshow.
È vero che il battesimo del fischio Prodi l'aveva già ricevuto meno di due mesi fa, a Verona, in occasione della grande assemblea dei cattolici. Ma allo stadio Bentegodi, in occasione della messa di papa Ratzinger, erano stati fischi politici, mischiati ad applausi, non esenti dal sospetto di una più o meno improvvisata claque di destra, e comunque sollecitati dalla contemporanea presenza del suo avversario Silvio Berlusconi, figura ideale per accalorare le tifoserie. Mentre a Bologna è tutta un'altra storia.
(…) Solo che al Motorshow non c'era la Bologna accogliente e placida che ormai da tempo guarda alle differenze politiche con il suo benevolo scetticismo postpolitico.
C'era un frammento di Italia generica, un'Italia qualsiasi non propensa a sottilizzare. "Mortadella", "buffone": perfino gli epiteti piuttosto ovvi indirizzati al presidente del Consiglio non fanno pensare a un'organizzazione raffinata, a un'imboscata preparata con cura da pasdaran berlusconisti; piuttosto all'espressione di un'antipatia istintiva, rivolta a Prodi in quanto rappresentante del potere e delle istituzioni, oltrechè di una politica infinitamente distante dai desideri e dai bisogni, sicuramente indotti ma reali, dei giovani richiamati a Bologna dall'immagine e dal mito della "macchina".
Perchè se i ragazzi del Motorshow sono in qualche misura rappresentativi di una realtà sociale, per interpretarla occorrerebbe ricorrere alle categorie di Norberto Bobbio, quando parlava di una società "naturaliter di destra", creata e plasmata dalla televisione. Ma dopo avere individuato nel popolo del Motorshow una cultura o addirittura un'antropologia insensibile ai valori della solidarietà e dei diritti a cui si riferisce il centrosinistra, e indifferente al ridisegno delle aliquote o al binomio risanamento e rilancio, l'alternativa è fin troppo semplice.
O si dà per dispersa politicamente quella società, o si prova a parlarle.
(…) Ed è difficile, perchè la sinistra è reduce anche dai fischi di Mirafiori a Guglielmo Epifani, segno di una sfasatura stridente fra una base che si sente politicamente orfana e una rappresentanza sindacale che non riesce a dare risposte se non riproponendo il tradizionale collateralismo con il governo "amico".
Ma per provare a interpretare, a discernere, a comprendere questa società mutante, coinvolta o travolta dalla grande trasformazione, non è il caso di fare troppo affidamento sulle ascisse e le ordinate di Tommaso Padoa-Schioppa, sugli istogrammi, le tabelle e i saldi della legge finanziaria.
(…) Per cui anche la smusata, o la tranvata, di Bologna può essere utile se serve a mettere a fuoco un'idea non meccanicistica del consenso (e soprattutto della perdita del consenso). Cioè che la colossale e rapidissima perdita di popolarità e di gradimento del governo dopo il varo della finanziaria ("mai visto in Italia un crollo del genere", dicono a mezza voce i sondaggisti), non può essere spiegata con esorcismi accademici come quello secondo cui la manovra sarebbe buona perchè scontenta tutti.
La realtà è che se tutti si lamentano, anche coloro che ne trarranno vantaggi, c'è di mezzo un problema. Grave.
C'è di mezzo l'incomprensibilità dell'azione di governo. L'incomunicabilità dei ministri e del capo dell'esecutivo rispetto all'opinione pubblica. L'assenza di una missione riconoscibile, come è stato detto e ripetuto. E tutto ciò sfocia in un risentimento diffuso verso il centrosinistra, un rancore esplicito e naturale nell'elettorato di destra, ma a cui la società di centrosinistra non ha nemmeno la forza di rispondere (…).
La contestazione operaia di Mirafiori e l'impasse del Partito democratico, oltre ai fischi a Romano Prodi, segnalano la doppia difficoltà in cui si dibatte la sinistra che viene colpita alla base e al vertice.
Alla base c'è la contestazione degli operai ai vertici sindacali che hanno redatto la finanziaria insieme a Prodi e Padoa Schioppa: la confusa intervista di Epifani al Corriere della Sera (domenica 10 dicembre) non ha chiarito la situazione se non per il fatto che il sindacato rischia di far fallire sul nascere il programma riformistico annunziato da Prodi per la prossima primavera.
Il malessere dei lavoratori dipendenti dovrebbe essere sfruttato dal centrodestra, sottolineando che la Finanziaria, tre volte più ampia in funzione del rientro nei parametri di Maastricht, ha fallito completamente anche nei propositi redistributivi poiché per i redditi fino a 25 mila euro i benefici si misurano tra i 50 centesimi e un euro e mezzo al giorno per nucleo familiare.
Il malessere al vertice riguarda il Partito democratico, lacerato dalla contesa per l'egemonia tra i Ds (di cui Fassino non vuole perdere la leadership poiché ha annunziato che intende riproporsi come Segretario) e la Margherita, all'interno della quale Rutelli sente la minaccia esterna rappresentata da Casini che stuzzica Mastella e gli ex dc.
Segnale di questa doppia crisi è la riapparizione di Giuliano Amato che, dopo Mirafiori e Oporto (riunione del Pse), ha rilasciato prima dichiarazioni che rappresentano una presa di distanza da Prodi ("Mi aspetto che il Senato cambi la Finanziaria") e poi una confusa intervista a La Repubblica (domenica 10 dicembre) il cui obiettivo era quello di riproporsi come candidato… a qualsiasi cosa.
Le dichiarazioni di Claudio Fancelli, presidente dell'ufficio centrale per la Circoscrizione Estero, nelle quali ha denunziato le molte irregolarità oggettive e soggettive avvenute nelle operazioni di voto degli italiani all'estero, hanno rilanciato la richiesta dura di Berlusconi: "Noi abbiamo il convincimento che abbiamo vinto noi. Ora bisogna ricontare tutte le schede".
Tutto ciò turba profondamente la sinistra, che non può fare marcia indietro su una Finanziaria contestata da tutti e dalla quale lo stesso Epifani ha preso un po' le distanze ("Questa è la Finanziaria del governo e della maggioranza") e non riesce ad andare avanti sul Partito democratico anche per la semplice ragione che non ha senso riorganizzare il quadro partitico se non è definito il sistema elettorale.
Il fatto che la sinistra si sia rinchiusa "in un recinto oligarchico", come sottolinea oggi Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, è la conclusione di una corsa verso il baratro che la "razionalità" di Amato vorrebbe fermare.
Ma Amato, come Prodi, non ha un partito, e nessuno, a sinistra, sembra disposto a regalarglielo: con la sua intervista sembra candidarsi proprio a guidare un populismo di sinistra, esattamente come Prodi ha tentato di guidare un anti-populismo di sinistra, ma si è attirato i fischi di Bologna.
"Il cattivo consigliere Bersani illude ancora una volta il povero Prodi: basta portarsi dietro una claque e oplà, gli italiani crederanno per incanto che il governo non mette le mani nello loro tasche, che questa finanziaria non è un diluvio di tasse e che gli asini volano...".
Così replica Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, al ministro dello Sviluppo Economico che ironizza sulla contestazione a Prodi durante la visita al Motor Show, consigliando il premier di portarsi dietro "la claque, come Berlusconi".
"Quanto alla claque di Berlusconi - replica Bonaiuti - noi ne abbiamo portati 2 milioni senza l'aiuto dei sindacati. Questa è la nostra sola claque caro Bersani, la gente che ci segue e che è arrabbiata contro il governo come hanno dimostrato i fischi a Mirafiori e Bologna, ovvero in casa vostra".
"Ma perché Prodi si arrabbia tanto? Certo, noi non amiamo e non condividiamo le contestazioni, anche violente, alle quali ci ha abituato la sinistra nei cinque anni di governo della Casa delle Libertà. Ma che Prodi si scandalizzi ancora dopo i fischi di Mirafiori e dopo le sfilate in piazza di tutte le categorie, questo è sconcertante".
Lo afferma in una nota Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, commentando la contestazione al presidente del Consiglio Romano Prodi al Motor-show di Bologna. "Forse Prodi - conclude Bonaiuti - non capisce che gli italiani respingono un governo che mette le mani nelle loro tasche".
"Troppo semplicistico affermare che chi ha contestato Prodi a Bologna è solo un gruppo di propagandisti. Il professore chiude gli occhi di fronte ad una realtà che non gli piace e che ha colpevolmente determinato".
Lo afferma il presidente dei senatori di Forza Italia, Renato Schifani. "I fischi al Motor Show - osserva - sono l'ennesimo segnale della protesta diffusa in tutto il Paese contro questa Finanziaria. Se perfino i ministri del suo governo, ultimo in ordine di tempo Amato, continuano a contestare questa infelice manovra, se i suoi sottosegretari vanno in corteo contro di lui, se gli operai di Mirafiori fischiano i leader sindacali per lo stesso motivo, se in due mesi sono scese in piazza più di 30 categorie professionali per chiederne la bocciatura, quello che sorprende è che oggi Prodi si sorprenda".
"Il premier vada ogni giorno tra la gente comune: si renderà conto - conclude Schifani - che le contestazioni della sua Bologna sono ben poca cosa".
Se c'è un bilancio politico da trarre, dopo i fischi di Bologna, è la desolante solitudine di Prodi, arroccato con pochi irriducibili pretoriani nella sua protervia e in un'interpretazione minimalista della protesta popolare contro il governo. Dai suoi alleati arriva, e non da tutti, una solidarietà solo di maniera. Dai commenti dei giornali e dalle interviste trasudano delusione e fastidio per un premier che, davanti alle contestazioni, sa solo rifugiarsi nelle banalità: "tutto organizzato, ho visto solo maleducazione, è colpa della propaganda".
Come se la contestazione dei giovani al Motor Show fosse un caso isolato e non, piuttosto, l'ultimo anello di una protesta montante nel Paese.
Sono scesi in piazza artigiani, commercianti, pensionati, poliziotti. Sono stati fischiati a Mirafiori i leader sindacali, che si sono affrettati a "girare" quei fischi al governo. C'è stata la straordinaria manifestazione di popolo di Roma. In pochi mesi il governo ha perso il 30 per cento dei consensi ("un cataclisma, una cosa mai vista", scrivono autorevoli sondaggisti).
E lui? Sempre lì a minimizzare. Di volta in volta i contestatori sono "evasori", provocatori organizzati, cittadini vittime della propaganda del centrodestra, nella migliore delle ipotesi "persone che non hanno capito". Inutilmente gli stessi suoi alleati cercano di richiamarlo a una valutazione ponderata e razionale di una protesta diffusa, che è contro le politiche del governo e contro la finanziaria delle tasse e del "non sviluppo". Non è un problema di "comunicazione" (il punto più alto della sua autocritica) , ma di contenuti.
Tetragono e impermeabile a ogni rilievo all'operato suo e del governo, si mostra sordo ad ogni critica che, pure, si leva nella maggioranza. Non lo smuove Amato, con le sue crude parole sulla manovra economica; non Bonanni, che dice: "I fischi di Mirafiori sono colpa di una manovra che nessuno capisce; neppure Cofferati (oggi sul Corriere della Sera) che lo invita a non sottovalutare i fischi di Bologna, frutto di "una finanziaria che ha illuso i deboli".
Un discorso a parte, poi, merita la pochezza dell'argomentazione di Prodi, secondo la quale, ora che fischiano lui, "questo sta diventando un paese incivile". Se ne sarebbe potuto ricordare nella precedente legislatura, quando i suoi alleati di oggi preparavano "agguati" (questi sì organizzati) a ogni uscita pubblica di Berlusconi, con un florilegio di insulti in grado di riempire le pagine di un libro e culminati perfino in una vera e propria aggressione.
Dice Prodi: "Attenti a seminare vento". Un po' di senso del ridicolo non guasterebbe.
Ogni presidente del Consiglio, a torto o a ragione, s'è preso la sua razione di fischi. Berlusconi se ne lamentava spesso, ora è il turno di Prodi: la regola dell'alternanza vale anche per le pernacchie. Ma se è vero che bastavano venti militanti per costringere i giornali a stampare il titolo «Il premier fischiato», bisognerà correre ai ripari. Le soluzioni drastiche sono due: impedire che il presidente del Consiglio vada in giro, o proibire i fischi per legge. Entrambe, ovviamente, sono del tutto impraticabili. Ne rimane una terza, meno liberticida e più moderata: la tassa sul fischio.
Stabilire cioè che per fischiare il premier bisogna pagare un piccolo tributo: diciamo 20 euro. Per un solo fischio, però. Per un insulto, 50 euro. Per una pernacchia, 80 euro. Si potrebbero anche emettere degli abbonamenti a scalare, magari con dei piccoli incentivi. Sei fischi 100 euro. Tre fischi, una pernacchia e due «buffone!», 200 euro. Per i ministri, tariffe dimezzate. Così la libertà di critica sarebbe salva, e anzi aiuterebbe il risanamento del bilancio. Ogni fischio servirebbe a ripianare il deficit, spingendo a un motivato sorriso il fischiato. Anzi, ogni premier, ogni ministro cercherebbe di farsi fischiare il più possibile. Io dico che funziona: se l'idea arriva a Visco, è fatta.
Che Romano Prodi e il suo staff siano istintivamente portati a relegare ogni tipo di contestazione, anche straordinariamente numerosa, ad una protesta organizzata ad arte dal centrodestra, passi. Ma che il presidente del Consiglio trovi come sistematico alleato il Tg1 di Riotta, pronto a relegare in un cantuccio dei servizi la notizia di bordate di fischi all'indirizzo di Prodi proprio nella sua Bologna, questo sì che è grave e ingiustificabile.
La "scaletta" del Tg1 di domenica sera, infatti, ha previsto la contestazione al premier solo come quarto titolo, nonostante fosse clamorosa perché avvenuta nella città natale e di residenza del Professore e perché a fronte dei fischi non c'è stata quella rivolta di popolo a sua difesa che il premier si aspettava.
Il Tg1 di Riotta non si pone alcun tipo di problema: l'importante è nascondere la notizia, drogarla. Giustamente l'on. Giorgio Lainati componente della commissione di vigilanza Rai, si chiede: "Come mai il Tg1, che si vanta di essere esempio di imparzialità, confina al quarto titolo le notizie sulla contestazione a Prodi? Il Tg1 ha fatto precedere la notizia addirittura da due interviste. Non si è sempre saputo che le notizie dovrebbero prevalere sui commenti? Ma in questo Tg1 tutto è possibile".
Dopo la vergognosa trasmissione di "Anno Zero", che ha dipinto la manifestazione del 2 dicembre come un corteo di stupidi, analfabeti, evasori fiscali e fascisti, Santoro e i suoi collaboratori si sono resi protagonisti di un atto ancor più grave: finita la trasmissione, il Coordinatore nazionale di Forza Italia ha scordato i suoi appunti sulla sedia e "qualcuno" ha pensato bene di trafugarli e donarli gentilmente alle redazioni dell'Unità e della Stampa. E non è certo un dettaglio da poco che, guarda caso, l'Unità sia il giornale dove collabora Travaglio (ospite fisso di Santoro) e che La Stampa sia il quotidiano dove scrive il fratello di Ruotolo (amico e collaboratore sempre di Santoro).
La protesta contro la finanziaria e contro la politica del governo si allarga e tocca tutti i settori della società italiana. Uniti nel "no" lavoratori autonomi e dipendenti, insegnanti e avvocati, metalmeccanici e tranvieri. L'ondata di agitazioni mette in crisi taluni vertici sindacali, soprattutto quelli della Cgil, che avrebbero voluto assicurare una benevola attenzione al "governo" amico, ma sono investiti da una forte pressione critica dalla base. La contestazione di Mirafiori è soltanto la sintesi clamorosa di una tensione interna che attraversa le organizzazioni di diverse categorie.
Così come i fischi di ieri a Bologna contro Romano Prodi sono il segnale di un rifiuto diffuso e crescente.
Due scioperi di 24 ore ciascuno proclamati per mercoledì e venerdì prossimi dagli addetti ai trasporti locali (tram, bus e metropolitane). Dopodomani si fermano gli aderenti ai sindacato autonomi e confederali, l'astensione di venerdì è organizzata dai sindacati di base. La protesta, che metterà in crisi le città in piena fase pre-natalizia, è motivata dal mancato rinnovo del contratto, ma pesa negativamente sulle trattative le difficoltà che deriveranno dalla finanziaria per le aziende municipali.
Di là degli interessi specifici della categoria, c'è l'allarme per i tagli che incidono sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini.
Sempre per venerdì è in programma uno sciopero di ventiquattr'ore dei dipendenti Alitalia e degli addetti ai traghetti Tirrenia. L'agitazione nel trasporto aereo è legata alle vicende della compagnia, più diretto è il riflesso della finanziaria sulla situazione della Tirrenia.
Agitazioni continue, infine, nel settore della scuola, indette da diverse sigle sindacali. Anche queste promosse in segno di protesta per i tagli previsti nella manovra al bilancio della pubblica istruzione.
C'è un clima di crescente delusione sia fra i pubblici dipendenti di livello medio-basso, sia fra i lavoratori dell'industria e dei servizi che portano a casa ogni mese poco più di mille euro. E' interessante, per capire l'aria che tira, l'analisi fatta da Sergio Cofferati. Secondo il sindaco di Bologna, pesa in questa fase la delusione dei lavoratori a reddito basso, ai quali governo e maggioranza avevano prospettato l'illusione di una finanziaria "redistributiva".
In verità si diffonde la consapevolezza che la manovra - Cofferati non lo dice, ma lo lascia intendere - toglie a tutti senza dare a nessuno. E contro questa valutazione realistica nemmeno certi capi sindacali della Cgil possono svolgere il ruolo dei pompieri.