Il governo Prodi? Una parentesi che verrà chiusa presto. Silvio Berlusconi è sicuro che quanto prima il centrodestra tornerà al governo e un'occasione per dimostrarlo saranno le prossime elezioni amministrative. A Monza, all'inaugurazione della campagna elettorale per le comunali a sostegno della candidatura di Marco Mariani (leghista, anche se il Carroccio deve ancora siglare un accordo di programma), per rassicurare il suo popolo ha snocciolato i dati dei suoi ultimi sondaggi che indicano il centrodestra in netto vantaggio.
"Lasciatemi un po' di orgoglio per la mia Forza Italia - ha detto tra le ovazioni - i sondaggi di questa sera dicono che è al 33% e il centrodestra tutto insieme al 56,7% mentre la sinistra è al 42,3%".
Monza, dove si voterà per il sindaco, conferma il sondaggio: "La certezza della vittoria a Monza - ha detto Berlusconi - si basa sul fatto che in Italia c'è una grande distanza tra questa sinistra e il fronte del centrodestra. A Monza tutti insieme siamo al 56,4% mentre il centrosinistra è al 43,1%".
Nella sua Brianza non poteva che concludere affermando: "Questa parentesi si chiuderà e torneremo noi, con il nostro spirito imprenditoriale, a governare".
Il Cavaliere aggiunge che il sondaggio conferma anche la sua leadership: "Sapete qual è la differenza tra questi due signori? - ha detto mostrando un foglio con la sua foto e quella di Prodi - Io sono al 59,4% nel gradimento degli italiani mentre Prodi è al 29,4%".
Ha rassicurato il suo popolo ma lo ha spronato ad interessarsi di più alla politica perchè l'Italia "vive un momento eccezionale sotto il profilo della democrazia". Poi, citando la lettera ai genitori di un giovane condannato a morte dai fascisti, ha affermato: "Se non vi interessate della politica, sarà la politica ad interessarsi a voi" e ha aggiunto: "Lo avete visto dalla busta paga di gennaio e lo vedrete ancora di più quando questo governo aumenterà le tasse".
Berlusconi ha chiarito il dibattito interno al centrodestra sul partito unitario: "Io non ho mai parlato di partito unico ma di partito unitario. La Lega è legittimamente gelosa della sua identità e noi ne prendiamo atto con pragmatismo e concretezza. Dobbiamo dare vita a un partito unitario di area liberale".
Il ritorno al governo, per il Cavaliere, è una cosa certa perchè il sondaggio in suo possesso dice che il 63,4% gli italiani ha dichiarato di non aver fiducia nel governo Prodi: "L'Italia sta vivendo un momento particolarissimo. È strabiliante vedere che chi sta al governo non ne azzecca una. Certe volte si resta allibiti". Ha così ricordato le divisioni sull'Afghanistan e ha assicurato che il centrodestra voterà a favore del rifinanziamento della missione, e le polemiche sulla base di Vicenza "hanno distrutto la politica estera che in cinque anni di mio governo aveva fatto diventare l'Italia un partner autorevole".
Non poteva mancare un riferimento delle elezioni perse per pochi voti: "Continueremo a chiedere di poter ricontare le schede perchè la notte dei brogli non la dimentichiamo".
E, per la prima volta, un ricordo pubblico che riguarda l'allora ministro dell'Interno: "Quella sera Pisanu venne da me e disse che avevamo vinto per 100mila voti alla Camera e per 200mila al Senato. Invece, deve essere successo qualcosa di strano, tanto più che rispetto alle elezioni precedenti sono scomparse un sacco di schede bianche...".
Poi una polemica neppure troppo velata anche con alcuni alleati sull'abolizione da parte della Corte Costituzionale della legge Pecorella: "Purtroppo anche tra noi qualche partito non ha fatto nulla perchè voleva tenersi buoni i giudici e qualcuno aveva ancora un piede nel giustizialismo".
C'era attesa per una sua presa di posizione sulla vicenda del calcio violento invece Berlusconi non ha fatto alcun accenno allo sport. Ha preferito, invece, parlare del conflitto di interesse: "C'è tra le cooperative rosse e le giunte rosse".
Ancora una volta la stampa vicina all'Unione – Corriere della Sera e Repubblica in testa – hanno dimostrato come si possano oscurare e di fatto cancellare, o distorcere, i messaggi del leader della CdL montando elementi marginali e insignificanti dei suoi discorsi. Ieri, a Monza Silvio Berlusconi è intervenuto alla presentazione del candidato sindaco del centrodestra, Marco Maria Mariani. Ha fatto un discorso tutto incentrato sulle inefficienze, le insensatezze e le contraddizioni del governo Prodi. Ha insistito, con preoccupazione, sulle ambiguità della politica estera, che si risolve in un danno gravissimo per l'immagine internazionale del nostro Paese. "Grazie al nostro lavoro di cinque anni – ha detto il Cavaliere – l'Italietta si era trasformata in un alleato affidabile delle democrazie occidentali". Ora il governo dell'Unione sta dissipando il credito conquistato perché "la sinistra antiamericana tiene in scacco l'intero esecutivo".
Discorso importante, soprattutto nel giorno in cui il governo si barcamenava per simulare, proprio sulla politica estera, una concordia e una compattezza che non ci sono.
Berlusconi ha anche parlato di sondaggi, dello scarto di 15 punti che c'è ormai fra centrodestra e centrosinistra. Per la gioia dei giornalisti con guida a sinistra, il Cavaliere, però, ha commesso uno sbaglio: scherzando col candidato sindaco, ha fatto una battuta sui gay. Pochissimi secondi, su questo scherzo i giornali hanno titolato con particolare evidenza, il resto del discorso s'è perso. E sugli stessi quotidiani, questa mattina, è stata la battuta sui gay ad oscurare il resto, insieme ad articoli e interviste sulla presunta omofobia di Berlusconi.
Il giochetto di prestidigitazione (dis)informativa è riuscito in pieno.
Gli ultimi sondaggi che danno grande soddisfazione al centrodestra ma soprattutto a Berlusconi sono conquiste "elettorali" difficili da ottenere ma ancora più difficili da mantenere. Da qui la necessità di una strategia accorta, attenta a portare quel risultato intatto all'appuntamento elettorale. E se è vero che c'è un tempo per parlare e un tempo per tacere, questo è il tempo - come insegna lo stesso Cavaliere – di "economizzare le parole per capitalizzare i fatti". Anche a costo di sacrificare una indole brillante e sempre pronta alla battuta.
E siccome qualsiasi parola o azione di Berlusconi provoca una sonora cassa di risonanza, sarà bene che questo megafono amplifichi quei temi di attualità politica che sono il segnale del fallimento del governo. La politica estera e la perdita di immagine con il resto del mondo ma, anche e soprattutto, la politica fiscale. Oggi più di ieri, quando la finanziaria era in discussione alle camere, gli italiani fanno i conti con un governo che gli ha messo le mani in tasca, fanno i conti con una busta paga che è già diminuita e che è destinata a ridursi ancora di più a marzo quando si aggiungeranno le imposte locali. Non dare tregua su questa materia, permette di "ravvivare" il ruolo dell'opposizione, di creare fastidio all'interno di una maggioranza già divisa, di mostrare la faccia di una politica liberale più consona allo sviluppo e alla crescita del Paese. Di conservare e lievitare quel consenso nei sondaggi.
Nessuno più di Berlusconi può rappresentare il malcontento degli italiani per questo "furto" fiscale. Un furto che tocca tutti, giovani e anziani, donne e uomini.
Craxi credeva di poterselo permettere, quando a Sigonella ordinò di procedere, armi in pugno, alla liberazione del palestinese responsabile del sequestro dell'Achille Lauro, catturato da un commando americano. In fin dei conti poteva vantare, nei confronti degli Stati Uniti e dell'intera alleanza occidentale, un grosso titolo di credito: senza di lui non sarebbe stato possibile il knockout che ha messo al tappeto l'Unione Sovietica, con lo schieramento degli euromissili. Ciò nonostante, proprio la crisi del rapporto con gli Stati Uniti, seguita all'incidente di Sigonella, fu per Craxi l'inizio della fine.
Prodi e D'Alema non hanno gli stessi titoli di credito da mettere sulla bilancia delle relazioni italo-americane. Dunque è stato puro azzardo, da parte loro, cedere alla tentazione di giocare la carta della reazione patriottica alla "interferente" iniziativa, promossa dall'ambasciatore americano Spogli, con la lettera-appello all'opinione pubblica italiana in favore di un maggior impegno in Afghanistan. Il patriottismo non sarà quell'"ultimo rifugio delle canaglie" che pretendeva il Dott. Johnson, ma certo è l'ultimo colpo disperato di una politica agli sgoccioli. Il governo Prodi è davvero alla frutta, se pretende di servirsi della protesta contro la legittima iniziativa di "public diplomacy" dell'alleato per dare soddisfazione alla sinistra antiamericana e ripagarla della disponibilità a non negare i suoi voti al rifinanziamento della missione in Afghanistan.
Salta agli occhi che Prodi non può permettersi né di fare una politica coerente con l'appartenenza all'alleanza occidentale, perché ostaggio della sinistra antioccidentale, né di avventurarsi alla ricerca di una politica di ricambio, comunque irta di pericoli. Di conseguenza affida a giochi di parole (il "cambio di passo a testa alta") e a ossimori grotteschi (la "continuità discontinua") il penoso tentativo di guadagnare tempo nell'illusione che il potente alleato smetterà di alitargli sul collo con il dopo-Bush. Chi ha memoria rammenta che la medesima illusione spinse il povero Moro a dischiudere al Pci le porte del governo, fidando nella presunta disponibilità della presidenza Carter, per poi richiuderle, prendendo atto, il 12 gennaio 1978, dell'"interferente" monito del Dipartimento di Stato. L'America non cambia col cambiamento del suo governo.
Prodi tira a campare, nell'equivoco. Lo aspettano votazioni parlamentari di conferma a una presenza armata, ma non combattente, nella guerra contro i talebani, accompagnata da contributi massicci, ma affidati a Organizzazioni non governative gradite alla sinistra radicale, per la ricostruzione dell'Afghanistan. Lo aspetta perfino una manifestazione di tre partiti della sua coalizione contro la decisione del governo di consentire (salvo controindicazioni urbanistiche) al raddoppio della base Usa di Vicenza. Un governo double face, ridotto a barzelletta internazionale. Fino a quando?
La sinistra oscilla tra due anti: l'anti-berlusconismo e l'anti-americanismo. Il primo le serve (o almeno le è servito fino al 9-10 aprile) per conquistare il potere; il secondo le serve per restare al potere. Il primo è un collante elettoralistico, il secondo è un collante ideologico, e quindi più grave.
Senza la complicità di una congiuntura economica internazionale sfavorevole e quella ben più grave del ritardo con cui sono stati percepiti i flussi delle entrate dello Stato, che sarebbero emersi se la data delle elezioni non fosse stata anticipata per volere di Ciampi, la sinistra non avrebbe vinto il 9-10 aprile scorso: posto che abbia vinto sul serio e senza brogli.
Comunque l'anti-berlusconismo ha pagato anche perché sostenuto dalla stragrande maggioranza dei "media" mentre permanente e profondo è l'anti-americanismo della sinistra, nel quale confluiscono più rivoli:
Quella parte della sinistra che non è anti-americana è però convinta che esistano due Americhe: quella buona dei democratici e quella cattiva dei repubblicani.
Si tratta di una sinistra che è pronta a dimenticare che nella I e nella II Guerra mondiale furono due presidenti democratici a impegnare gli Stati Uniti; che fu un presidente democratico, Truman, a partecipare massicciamente alla guerra di Corea; che fu un presidente democratico, Kennedy, a iniziare l'impegno in Vietnam e a lanciare un grandioso programma di armamenti; che fu un presidente democratico, Johnson, a portare oltre mezzo milione di soldati in Vietnam; che fu un presidente democratico, Carter, a inasprire il rapporto con l'Urss dopo che questa ebbe invaso l'Afghanistan; che fu un presidente democratico, Clinton, a bombardare l'Iraq di Saddam Hussein, anticipando la guerra di Bush del 2003: che cosa avrebbe fatto, con questi precedenti, un presidente democratico se fosse stato al potere l'11 settembre?
I presidenti repubblicani hanno seguito una linea che la sinistra trascura: fu un presidente repubblicano, Eisenhower, a mettere fine alla guerra di Corea; fu un presidente repubblicano, Nixon, a mettere fine alla guerra del Vietnam, a stabilire rapporti pacifici con la Cina e a concludere un primo accordo con l'Urss per la limitazione degli armamenti strategici; fu un presidente repubblicano, Reagan, a raggiungere un primo grande accordo distensivo con l'Urss; fu un presidente repubblicano, Bush senior, a concludere il primo accordo con l'Urss per la distruzione di armi nucleari, a favorire la riunificazione della Germania, a portare Israele e Olp a un primo riconoscimento reciproco, e a liberare un Paese invaso, il Kuwait.
Il centrodestra non fa questa distinzione tra due Americhe e ritiene che l'America sia una sola grande nazione che ama e protegge la libertà e che per la libertà è pronta a sacrificarsi in prima persona. E che chiede lo stesso impegno e la stessa lealtà ai suoi amici.
Per questo il centrodestra, erede della vera tradizione atlantista del dopoguerra, ha conquistato il massimo di stima e di rispetto non solo oltre Atlantico ma presso l'interna comunità internazionale, mentre la sinistra al potere è riuscita, in pochi mesi, a distruggere un patrimonio di credibilità in politica estera.
Ormai, per giustificare le contorsioni del suo governo, Prodi è costretto a ricorrere anche agli artifici lessicali. Nella Prima Repubblica c'erano le democristianissime "convergenze parallele", oggi il premier parla invece di "divergenze controllate", un eufemismo per dire che la maggioranza è divisa su tutto ma continua a procedere per non mollare il potere. Ma le debolezze congenite di questo esecutivo stanno provocando una impressionante catena di effetti collaterali - e tutti negativi - non solo su un elettorato che sta sempre più abbandonando la barca dell'Unione, ma anche sugli stessi soggetti, come Confindustria, che pure si erano spesi per la vittoria elettorale del centrosinistra.
D'altra parte, non c'è un solo elemento-cardine che sancisce la credibilità di un governo su cui l'attuale maggioranza non sia divisa, dall'economia alla politica estera ai temi etici. E questo porta a una fibrillazione politica permanente che finisce per alimentare insoddisfazioni e diffidenze che alla fine diventano incontrollabili.
Il risultato è quello di un governo debole e accerchiato, che rischia l'isolamento internazionale e che - sul fronte interno - deve fronteggiare l'ostilità ormai palese della Chiesa cattolica e il distacco sempre più marcato dei settori produttivi del Paese.
La politica estera è un colabrodo: le differenze di fondo nella coalizione di centrosinistra rimangono immutate dopo il vertice di ieri sera e il problema dei senatori dissidenti, quelli che Mastella ha definito i ‘cani sciolti', è tutt'altro che risolto.
Come richiamare all'ordine gli irriducibili sarà compito dei partiti che li hanno candidati e portati in Parlamento. Ma Diliberto, Giordano e Pecoraro Scanio hanno spiegato al premier che sull'Afghanistan neppure lo strumento della fiducia consentirà di recuperare i voti di tutti i "dissidenti" neo-comunisti del Senato.
Non a caso, nel comunicato finale della riunione non si è fatto alcun riferimento alle missioni militari: un modo per prendere tempo, ma anche una conferma che il governo rischierà molto nel voto sull'Afghanistan.
La mossa, audace e incauta, di D'Alema di protestare con i governi di sei Paesi alleati per la presunta ingerenza nelle nostre questioni interne ha costituito, poi, un ulteriore arroccamento dell'Unione in senso antiamericano, e il no all'aumento del contingente militare italiano a Kabul, richiesto dalla Nato, segnerà un ulteriore elemento di discontinuità.
Ma questo non basta ancora ad assicurare una navigazione tranquilla a Prodi, visto che l'ala pacifista dovrà rendere conto anche ex-post del suo operato al popolo no-global che invaderà Vicenza per la manifestazione contro la base Usa.
Mai, forse nemmeno ai tempi di Sigonella, i rapporti fra Italia e Stati Uniti sono stati così tesi. Dal Dipartimento di Stato è giunta la velata accusa secondo cui il governo italiano non ha l'abitudine di dire, a differenza degli Usa, la stessa cosa in pubblico e in privato: un modo per ricordare che non sempre gli impegni sono stati rispettati. Insomma, tra Washington e Roma è calato il gelo.
E anche i rapporti tra il governo e il Vaticano non vanno bene. Ieri l'editoriale di Avvenire ha pronunciato il fatidico "non possumus" sulla legge sui Pacs corredato da una frase finale che ha tutta l'aria di essere una minaccia, o meglio, ‘l'indicazione franca e disarmata di uno spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana'.
Cosa che ha portato i Teodem della Margherita a uscire definitivamente allo scoperto.
Insomma, Prodi è riuscito in pochi mesi a mettersi contro tutti i vecchi soggetti che una volta facevano e disfacevano i governi in Italia (Usa, Chiesa, Confindustria).
E la storia insegna che inimicarsi in particolare gli Stati Uniti non porta mai bene ai capi di governo italiani. Il conto arriva sempre, e molto salato.
Il vertice dell'Unione sulla politica estera si è concluso, come tutti si aspettavano, con un accordo di facciata che non risolve alcun tipo di problema dal momento che restano ferme le posizioni della sinistra estrema sull'ampliamento della base di Vicenza e di un gruppo di irriducibili, ristretto ma determinante al Senato, sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Si è trattato dunque, di un vertice ipocrita che ha riproposto con meno sfarzo del vertice di Caserta, l'esigenza per l'Unione di apparire più compatta di quanto sia in realtà. Ma per ottenere questo risultato la maggioranza ancora una volta ha dovuto ricorrere alla teoria dell'"anti".
Hanno vinto le elezioni cementate dall'antiberlusconismo e sull'antiberlusconismo hanno costruito la loro attuale permanenza al potere. Adesso trovano una parvenza di accordo in politica estera solo sulla base dell'antiamericanismo. Spiace dirlo ma la lettera dei sei Ambasciatori che invitava il Governo a non abbandonare l'Afghanistan, a prima firma statunitense, invece di lacerare la maggioranza e dividere le posizioni dei moderati della Margherita e dei Ds da quelle della sinistra estrema, ha ottenuto l'effetto contrario di compattare tutti, irriducibili e non. E tutti si sono ritrovati nelle parole di D'Alema che ha accusato gli Stati Uniti di indebita intromissione. Le motivazioni saranno pure state diverse (la sinistra moderata non accetta di stare sotto tutela Usa, quella estrema gode ad ogni attacco della potenza americana) ma il risultato è stato lo stesso. E questo ci porta a una considerazione: questa maggioranza è in grado di sfasciarsi da sola ma non appena interviene un elemento esterno che ne mina la gestione del potere trova un'insolita compattezza.
Nel vertice sulla politica estera, convocato dopo la sconfitta e la farsa al Senato sulla base di Vicenza, il governo ha confermato che le condizioni più pericolose si rivelano anche le più propizie poiché consentono di fare appello all'istinto di sopravvivenza di una maggioranza che non vive di altro. Questa volta si è avvertita la presenza di D'Alema che, interrompendo il balletto attorno al termine "irrituale" a proposito della lettera dei sei ambasciatori, ha rivelato la risposta inviata dalla Farnesina nella quale si parla di "sorpresa e disapprovazione" per una "ingerenza" nella sovranità dell'Italia.
La lettera di D'Alema è stata decisiva per indurre la sinistra estrema a ritenersi soddisfatta dinanzi a quella che un raggiante Giordano ha definito come la più importante novità emersa dal vertice, e cioè la manifestazione di una politica estera improntata ad "autonomia" nei confronti degli Usa.
Sarebbe questa la vera "discontinuità" rispetto alla politica di Berlusconi.
Nel confuso accavallarsi di argomenti sono rimaste senza risposta le domande poste dalla lettera dei sei ambasciatori, con la puntuale approvazione del Dipartimento di Stato all'iniziativa di Spogli a Roma. Irrituale o no, ingerenza o no, la lettera ha segnalato una diffidenza diffusa a Washington e in altre capitali dinanzi alle ultime vicende italiane, ai forti accenti di antiamericanismo che accompagnano le sinistre di governo contro la base di Vicenza e la richiesta, venuta dalla stessa sinistra, di fissare le condizioni della presenza a Kabul e addirittura i tempi di una exit strategy. Del tutto ignorate, poi, le ragioni vere che preoccupano i comandi Nato in Afghanistan, convinti che i Talebani scateneranno in primavera un'offensiva che richiederà un impegno militare da parte di tutti i Paesi presenti a Kabul. Le affermazioni di Giordano che, in qualità di portavoce del governo, dice che "le regole d'ingaggio impediscono la partecipazione dei militari italiani ai combattimenti", non hanno tranquillizzato nessuno.
Ma questo, a Prodi e a D'Alema, non interessa. L'essenziale è che la sinistra possa dire a militanti, simpatizzanti ed elettori, e a quelle 100 mila persone che il 17 febbraio si riuniranno a Vicenza contro la base e contro Bush che i ministri comunisti e Verdi sono indispensabili al governo. L'ennesima grande bugia.
I maggiori climatologi mondiali hanno presentato a Parigi uno scenario per i prossimi decenni che configura crisi idriche ed alimentari in tutto il globo. Certamente mai come ora l'occidente sviluppato e i maggiori movimenti politici, al di là degli schieramenti, avvertono l'importanza della questione dell'ambiente.
Proprio tra i giovani, non solo italiani, questo è uno degli argomenti più sentiti. Il leader del partito conservatore inglese Cameroon, ad esempio, ha fatto del neoecologismo la propria bandiera per la conquista del voto giovanile nella Gran Bretagna, così come lo stesso Bush ha riservato ai problemi del clima e dell'energia gran parte del suo ultimo intervento.
Gli scenari globali non si possono certo ridurre alle battaglie da macchietta dei cocomerari (verdi fuori e rossi dentro) alla Pecoraro Scanio.
Gli ambientalisti italiani infatti ci hanno abituato ad assistere a campagne demagogiche e strumentali mentre venivano ignorati i temi più importanti dell'emergenza ambientale. Parlare oggi di ambiente in modo concreto significa innanzitutto prendere coscienza della questione energetica e delle fonti alternative al petrolio che oggi vedono come seria opzione il ritorno al nucleare.
Significa anche introdurre nell'edilizia pubblica convenzionata materiali e tecnologie innovativi che ad oggi sono capaci di abbattere fino al 90% le particelle inquinanti come già sperimentato in Lombardia ed Emilia Romagna.
Non ci si può quindi interessare oggi di ambiente senza parlare di nuove tecnologie nelle amministrazioni locali; senza affrontare in modo serio il nodo cruciale dei rifiuti e del loro smaltimento; e, soprattutto, senza preservare le nostre grandi risorse idriche. Per quanto riguarda l'emissione dei gas serra sicuramente la strada sarà lunga, ma possiamo cominciare con una sensibilizzazione sempre maggiore sui consumi energetici. I giovani di Forza Italia sono già pronti.