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Pagine gramsciane
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Dalle lettere...
22 aprile 1929
Carissima Tania,

ho ricevuto le tue cartoline del 13 e del 19 aprile. Aspetterò con pazienza le notizie di casa. Credo che anche tu ti sia accorta, in quei pochi momenti che ci siamo visti, quanto io sia divenuto paziente. Lo ero anche prima, ma solo in virtù di un grande sforzo su me stesso: era una certa qualità diplomatica, necessaria per entrare in rapporto con gli imbecilli e con la gente noiosa, della quale purtroppo non si può fare a meno. Ora, invece, non mi costa nessuna fatica: è diventata un'abitudine, è l'espressione necessaria della routine carceraria, ed è anche un elemento di autodifrsa istintiva. Qualche volta però questa «pazienza» diventa una specie di apatia e di indifferenza, che non riesco a superare: credo che ti sia accorta anche di questo e che un po' ti abbia addolorato. Non è una novità neanche questo, sai? Tua madre se n'era accorta fin dal 1925 e Giulia me lo riferì. La verità è che fin da quegli anni io, per dirla con una immagine di Kipling, ero come una capra che ha perduto un occhio e gira in circolo, sempre sulla stessa ampiezza di raggio.
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Ma veniamo a qualcosa di più allegro. La rosa ha preso una terribile insolazione: tutte le foglie e le parti più tenere sono bruciate e carhonizzate; ha un aspetto desolato e triste, ma caccia fuori nuovamente le gemme. Non è morta, almeno finora. La catastrofe solare era inevitabile, perché potei coprirla solo con della carta, che il vento portava via; sarebbe stato necessario avere un bel mazzo di paglia, che è cattiva conduttrice del calore e nello stesso tempo ripara dai raggi diretti. In ogni modo la prognosi è favorevole, a eccezione di complicazioni straordinarie. I semi hanno tardato molto a sortire in pianticelle: tutta una serie si intestardisce a fare la vita podpolie'. Certo erano semi vecchi e in parte tarlati. Quelli usciti alla luce del mondo, si sviluppano lentamente, e sono irriconoscibili. Io penso che il giardiniere, quando ti ha detto che una parte dei semi erano bellissimi, voleva dire che erano utili da mangiare; infatti alcune pianticelle rassomigliano stranamente al prezzemolo e alle cipolline più che a fiori. A me ogni giorno viene la tentazione di tirarle un po' per aiutarle a crescere, ma rimango incerto tra le due concezioni del mondo e dell'educazione: se essere roussoiano e lasciar fare la natura che non sbaglia mai ed è fondamentalmente buona o se essere volontarista e sforzare la natura introducendo nell'evoluzione la mano esperta dell'uomo e il principio d'autorità. Finora l'incertezza non è finita e nel capo mi tenzonano le due ideologie.

Le sei piantine di cicoria si sono subito sentite a casa loro e non hanno avuto paura del sole: già cacciano fuori il fusto che darà i semi per le messi future. Le dalie e il bambù dormono sotterra e non hanno ancora dato segno di vita. Le dalie specialmente credo siano veramente spacciate. Poiché siamo su questo argomento, voglio pregarti di mandarmi ancora quattro qualità di semi: 10 di carote, ma della qualità detta pastinaca, che è un piacevole ricordo della mia prima fanciullezza: a Sassari ne vengono di quelle che pesano mezzo chilo e prima della guerra costavano un soldo, facendo una certa concorrenza alla liquerizia; 20 di piselli; 30 di spinaci; 40 di sedani. Su un quarto di metro quadrato voglio mettere quattro o cinque semi per qualità e vedere come vengono. Li puoi trovare da Ingegnoli, che ha negozio in piazza del Duomo e in via Buenos Ayres; così ti farai dare anche il catalogo, dove è indicato il mese più propizio per la semina.
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nella casa di Ghilarza



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Ho ricevuto un altro biglietto dalla signora Malvina Sanna (Corso Indipendenza 23). Trasmettile queste linee:

«Comprendo le difficoltà finanziarie per procurarsi i libri da me indicati precedentemente. Anch'io l'avevo fatto notare; ma il mio incarico era quello di rispondere a domande precise. Rispondo oggi a una domanda che, anche se non rivoltami, era implicita, e perché capisco che risponde a un bisogno generale di chi è carcerato: "come fare a non perdere il tempo in carcere e a studiare qualcosa in qualche modo?" Mi pare che prima di tutto sia necessario spogliarsi dell'abito mentale "scolastico", e non porsi in testa di fare dei corsi regolari e approfonditi: ciò è impossibile anche per chi si trova nelle migliori condizioni. Tra gli studi più proficui è certo quello delle lingue moderne: basta una grammatica, che si può trovare anche nelle bancarelle dei libri usati per pochissimi soldi, e qualche libro (anch'esso magari usato) della lingua scelta per lo studio. Non si può imparare la pronunzia parlata è vero, ma si saprà leggere e questo è già un risultato ragguardevole.

«Inoltre: molti carcerati sottovalutano la biblioteca del carcere. Certo le biblioteche carcerarie, in generale, sono sconnesse: i libri sono stati raccolti a caso, per donazione di patronati che ricevono fondi di magazzino dagli editori, o per libri lasciati da liberati. Abbondano di libri di devozione e di romanzi di terz'ordine. Tuttavia io credo che un carcerato politico deve cavar sangue anche da una rapa. Tutto consiste nel dare un fine alle proprie letture e nel saper prendere appunti (se si ha il permesso di scrivere).

«Faccio due esempi: a Milano io ho letto una certa quantità di libri di tutti i generi, specialmente romanzi popolari, finché il direttore non mi ha concesso di andare io stesso in biblioteca a scegliere tra i libri non ancora passati in lettura o fra quelli che per un particolare sapore politico o morale, non erano dati in lettura a tutti. Ebbene, ho trovato che anche Sue, Montépin, Ponson du Terrail ecc. erano abbastanza se letti da questo punto di vista: "perché questa letteratura è sempre la più letta e la più stampata? quali bisogni soddisfa? a quali aspirazioni risponde? quali sentimenti e punti di vista sono rappresentati in questi libracci, per piacere tanto?" Eugenio Sue perché è diverso da Montépin? e Victor Hugo non appartiene anche lui a questa serie di scrittori per gli argomenti che tratta? e Scampolo o l'Aigrette o la Volata di Dario Nicodemi non sono forse la filiazione diretta di questo basso romanticismo del 48? ecc. ecc.

«Il secondo esempio è questo: uno storico tedesco, Gruithausen, ha pubblicato recentemente un grosso volume in cui studia i legami tra il cattolicismo francese e la borghesia nei due secoli prima dell'89. Egli ha studiato tutta la letteratura di devozione di questi due secoli: raccolte di prediche, catechismi delle diverse diocesi ecc. ecc. e ha messo insieme un magnifico volume.

«Mi pare che sia sufficiente per provare che si può trar sangue anche dalle rape perché in questo caso rape non esistono. Ogni libro, specialmente se di storia, può essere utile da leggere. In ogni libercolo si può trovar qualcosa che può servire... specialmente quando si è nella nostra condizione e il tempo non può essere valutato col metro normale».

Cara Tatiana, ho scritto anche troppo e ti costringerò a fare un esercizio di calligrafia. A proposito: ricordati di disporre perché non mi siano più mandati dei libri, finché io non avvertirò. Caso mai, se vengono fuori libri che ritieni mi possano essere utili, falli mettere da parte per spedirli quando io li domanderò. Carissima, spero davvero che il viaggio non ti abbia stancato troppo. Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio
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(da Lettere dal carcere)

[...]
«Ti scrivo con la rabbia e la disperazione in cuore: oggi è stata una giornata di cui mi ricorderò per un pezzo, e che purtroppo non  è ancora finita. E' inutile, mi sono accanito da un mese a questa parte e con rabbia in questi ultimi giorni, ma ormai, dopo una crisi lacerante, ho deciso: non voglio aggravare ancora le mie condizioni: e non voglio perdere del tutto ciò che ancora posso conservare. Non do gli esami, perché sono mezzo matto, o mezzo stupido, o stupido del tutto, non so ancora bene, non do gli esami  per non perdere il Collegio, per non essere rovinato del tutto. Caro papà, in un mese che studio e mi accanisco non ho ottenuto che di farmi venire le vertigini e di farmi ritornare, straziante,  il mal di capo, e una forma di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa impazzire ora per ora, senza che riesca a trovare requie né passeggiando né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un furibondo. Ieri la padrona di casa ha fatto venire un medico,  che mi ha fatto un'iniezione di calmante: ora prendo l'oppio, ma si, oltre al tremito che mi rimane, c'è l'idea assillante della rovina che mi si para dinanzi senza scampo. Un compagno mi ha convinto: e vedrò se riuscirò a ottenere qualcosa: presenterò un certificato medico, e può darsi che la commissione dei professor decida di lasciarmi la borsa e che mi conceda di dare gli esami a marzo.» 
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(Lettera inedita, in Giuseppe Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Bari 1989)
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«Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni: lo comprenderai meglio e forse finirai con l'accorgerti che  ha un po' o molto di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.»
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«Mi pare di vederti sempre seria, abbuiata. Vorrei perciò averti vicina; troverei, mi pare, le cose più ingegnose per farti contenta, per farti sorridere. Farei degli orologi di sughero, dei  violini di cartapesta, delle lucertole di cera con due code, insomma esaurirei tutto il repertorio dei miei ricordi sardeschi. Ti racconterei delle altre storie, sempre più meravigliose, della mia fanciullezza un po' selvaggia e primitiva, tanto diversa dalla  tua. E poi ti abbraccerei e ti bacerei tante volte per sentirti tutta vivente in me, vita della mia vita, come sei.» 
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(A Giulia, 21/3/24)
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 «La donna dei nostri paesi, la donna che ha una storia, la donna della famiglia borghese, rimane come prima la schiava senza profondità di vita morale, senza bisogni spirituali, sottomessa anche quando sembra ribelle, più schiava ancora quando ritrova l'unica libertà che le è consentita, la libertà della galanteria. Rimane la femmina che nutre da sé i piccoli nati, la bambola più cara quanto più è stupida, più diletta ed esaltata quanto più rinunzia a se stessa, ai doveri che dovrebbe avere verso se stessa, per dedicarsi agli altri, siano questi altri i suoi familiari, siano gli infermi, i detriti dell'umanità che la beneficenza raccoglie e soccorre maternamente. L'ipocrisia del sacrificio benefico è un'altra delle apparenze di questa inferiorità interiore del nostro costume. Cioè costume che ha importanza nella storia attuale, perché è il costume della classe che è della storia stessa protagonista; ma accanto ad esso vi è un altro costume in formazione,  quello che è più nostro, perché è della classe cui apparteniamo noi. Costume nuovo? Semplicemente costume che si identifica meglio  con la morale universale, che aderisce tanto alla morale universale, tale perché profondamente umana, perché fatta di spiritualità più che di animalità, di anima più che di economia o di nervi e di muscoli.» 
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l'articolo di Antonio Gramsci pubblicato dall'"Avanti!"
del 1° maggio 1918
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S O M M A R I O
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.http://www.oocities.org/Athens/Parthenon/1635
La pagina personale di Angela, aggiornata il 15 novembre 1998
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