"Difficilmente ormai possiamo considerarci una democrazia". Lo ha detto Silvio Berlusconi parlando del ddl Gentiloni approvato dal Consiglio dei ministri. Il premier ha aggiunto che il provvedimento "non passerà in Parlamento".
Il leader di Forza Italia sceglie Campobasso per attaccare a testa bassa il governo e rispolvera i toni utilizzati in campagna elettorale e subito dopo il voto del 9 e 10 aprile. Spara bordate contro la riforma del sistema radiotelevisivo, lancia strali contro la finanziaria e rilancia i suoi cavalli di battaglia: dal pericolo comunista al rischio regime, dalla sinistra non ancora democratica ad un governo che mette le mani nelle tasche degli italiani. Fino all'accusa di brogli elettorali e quindi di una maggioranza non legittimata a governare.
Il viaggio in Molise serve a sostenere la campagna elettorale di Michele Iorio, governatore uscente, che il 5 e il 6 novembre si confronterà con il candidato dell'Unione, Roberto Ruta.
Prima che il Consiglio dei ministri, a Roma, approvi il ddl Gentiloni, Berlusconi attacca: se toccano una rete Mediaset, "sarà un atto di banditismo". Ma questo è solo l'antipasto perchè Berlusconi per tutta la giornata sarà un fiume in piena impossibile da arginare. Questa la reazione all'approvazione del provvedimento sul sistema radio-tv: "Difficilmente possiamo oggi considerarci una democrazia. Una democrazia non è più tale quando la parte che è al governo attacca e aggredisce il leader dell'opposizione, colpendo le sue proprietà private e le sue aziende".
"Ricordo soltanto - aggiunge l'ex premier - che c'è stato un referendum e che il popolo italiano ha già dato una risposta quando la sinistra voleva aggredire un'azienda che aveva il solo torto di essere stata guidata da me e in cui c'è ancora una presenza importante della mia famiglia". "Stamattina - aggiunge Berlusconi - ho detto che non credevo che sarebbero arrivati a tanto. E invece ci sono arrivati. Una democrazia non è più tale quando una parte ha timore che l'altra vada al governo perchè può fargli del male. Oggi noi difficilmente possiamo considerarci una democrazia perchè non c'è il sistema dei pesi e dei contrappesi".
L'ex premier ribadisce che le elezioni hanno consegnato un "sostanziale pareggio tra i poli e che nonostante questo, la sinistra ha occupato tutte le istituzioni". A chi gli fa notare che il senatore De Gregorio ha contestato il ddl Gentiloni e gli chiede se pensa che il provvedimento avrà difficoltà nel passaggio alle Camere, Berlusconi risponde: "Mi rifiuto di credere che esista la possibilità che questa legge passi in Parlamento. Credo proprio che non potrà passare". Dunque la battaglia sarà dura, assicura.
Quindi si passa rapidamente alla finanziaria che, insieme al pacchetto Bersani-Visco, "apre la via fiscale al regime, con il cittadino controllato da uno Stato di polizia". Una finanziaria "ineffabile", la definisce Berlusconi, che assicura una dura opposizione in Parlamento e che non esclude, se sarà necessario, un ricorso alle piazze delle città italiane.
Uscendo dall'albergo, ma soprattutto alla manifestazione in piazza della prefettura, spara tutte le cartucce contro il governo e l'Unione: "In Italia esiste una sinistra che non è pienamente democratica perchè non ha compiuto il viaggio dal comunismo alla democrazia. Non riteniamo, visti i brogli che ci sono stati alle ultime elezioni, che la sinistra sia legittimamente maggioranza in Parlamento".
Ritorna il refrain del comunismo foriero di miseria, terrore e morte, e dunque, di fronte a più di 5 mila sostenitori, Berlusconi conclude: "Il comunismo era, è e resta, l'impresa più criminale della storia e questi signori ancora affondano le loro decisioni nelle teorie che il comunismo ha portato avanti. Il comunismo ha seminato, miseria, terrore e morte e noi non vogliamo fare la fine di quei paesi". "Dobbiamo batterci tutti - aggiunge l'ex premier - per mantenere in Italia la piena e concreta liberta'. Tocca a voi, a questa piccola regione, cominciare a votare contro le elezioni taroccate che hanno portato la sinistra al governo. Dovete essere i primi a votare contro questo governo che, come un rasoio, taglia via tutti i nostri risparmi. Dobbiamo batterci tutti per mandare a casa Prodi".
Durante la manifestazione il leader di Forza Italia si è scagliato nuovamente contro la finanziaria del governo, sostenendo che il centrosinistra ha ereditato dalla Cdl conti in ordine: "per questo non hanno nessun bisogno di fare una finanziaria che aumenta di due punti la pressione fiscale e che colpisce il ceto medio". Secondo Berlusconi, sarebbe stata sufficiente una manovra che colpisse sprechi e privilegi per rispettare le richieste dell'Unione europea.
Il leader di Forza Italia ha fatto invocare in maniera denigratoria per diverse volte il nome di "Prodi": "Chi diceva bugie, tra me e Prodi, quando lui negava che il suo governo sarebbe stato il governo delle tasse?", ha chiesto fra l'altro Berlusconi rivolto alla folla che ha più volte risposto "Prodi", anche quando l'ex-premier ha chiesto: "Chi è il più grande bugiardo, io o Prodi?". Questo approccio ha riscosso successo, testimoniato da invocazioni scandite "Silvio, Silvio".
Berlusconi ha avvertito la folla che questo loro inneggiare potrebbe essere sfruttato dalle "loro televisioni" (intese come "della sinistra") che "sarebbero capaci di dire che la piazza inneggia Prodi". Con gli spettatori del comizio, che hanno sventolato parecchie bandiere di Forza Italia e del candidato alle Regionali molisane, il presidente uscente della Regione, Michele Iorio, Berlusconi ha fatto anche quello che lui stesso ha definito un "gioco": rispondere a gran voce "sì" o "no" a domande come "verrà da voi elettori molisani, il primo segnale contro il governo della sinistra massimalista in Italia?". E "volete mettere il Molise nella mani di una sinistra che dimostra ogni giorno di più la sua incapacità di governare?". Fra i "no" richiesti da Berlusconi anche quelli ad un "governo dei comunisti, dei Verdi, dei no-global, dei no a tutto", alle "tasse di Visco e di Prodi" e alla possibilità "che anche la Regione collabori con Prodi per controllare la vostra vita ed il vostro conto in banca".
In mattinata aveva risposto, con una certa insofferenza, a chi gli chiedeva della posizione del segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa, che ha rimesso nuovamente in discussione la leadership del centrodestra: "Si deciderà democraticamente, al momento opportuno". Senza dubbio, ma per ora il Cavaliere nella Cdl si sente ancora il numero uno. E dalla giornata molisana si intuisce chiaramente che non ha nessuna intenzione di farsi da parte.
"I tagli alla sicurezza effettuati dalla finanziaria sono l'esempio forse piu' pesante e piu' grave dell'irresponsabilita' di questo governo della sinistra". Cosi' Silvio Berlusconi torna ad attaccare l'esecutivo sulla manovra economica per il 2007. "Non soltanto - sottolinea il leader di Fi - si prevedono minori stanziamenti per 3 miliardi di euro e si chiudono prefetture, questure, comandi provinciali dei Carabinieri, ma si elimina anche la specificita' degli addetti alla sicurezza rispetto a quelli del pubblico impiego: vale a dire, quella che e' stata una giusta conquista delle forze dell'ordine. I nostri agenti, che gia' tanti sacrifici sopportano, ne escono puniti e umiliati e i cittadini rischiano di essere sottoposti a pericoli maggiori".
"La sicurezza - conclude Berlusconi - non e' un bene di lusso, ma una priorita' per la legittimita' di uno Stato".
"Tutta la mia solidarieta' ai professionisti, che civilmente protestano contro un governo che finora ha dimostrato di volersi muovere nei loro confronti con false liberalizzazioni, in maniera ideologica e con intenti solo punitivi". Lo afferma Silvio Berlusconi, commentando la manifestazione di Roma dei liberi professionisti contro la finanziaria.
"Un governo che ha preso provvedimenti senza neppure consultarli - prosegue il leader di Forza Italia - e che, come dimostra anche lo scippo del tfr alle imprese, ha sempre in bocca la parola concertazione, ma solo per quanto riguarda i sindacati e preferibilmente la Cgil".
"Ai professionisti, da quel che abbiamo visto - denuncia Berlusconi - e' perfino negata la liberta' di manifestare.
Un corteo pacifico, di civili cittadini, affrontato da forze dell' ordine in stato di assedio.
Un trattamento che non viene riservato neppure ai no global con il loro armamentario di bastoni e sampietrini.
Il governo, questo governo, non e' disposto a tollerare neppure una civile manifestazione di dissenso. E' solo nei regimi - conclude - che ai cittadini viene lasciato unicamente il 'diritto' di dire sempre e soltanto sì".
Nell'audizione alla Camera, il governatore ha smantellato tutte le difese costruite dal governo intorno alla manovra. Visco parla di un aumento della pressione fiscale dello 0,2%, Draghi lo smentisce: l'aumento è dello 0,5%, più del doppio. Abbiamo ridotto le tasse al 90% dei contribuenti, dicono i ministri. E dalla Banca d'Italia arrivano i calcoli su quanto paga più un single.
In pratica, Draghi in audizione ha dato ragione a chi chiedeva maggiore coraggio nelle riforme. E Padoa-Schioppa dal governatore si è sentito ripetere le stesse obiezioni ascoltate a livello europeo. Vale a dire che, per un Paese con un alto debito come l'Italia, il risanamento deve essere concentrato sul lato della spesa e non su quello delle entrate. Mentre Padoa-Schioppa ha dovuto accettare un'impostazione lontana anni luce dalle sue teorie di «banchiere centrale» e concentrare l'azione di miglioramento del deficit sul lato delle entrate.
E soprattutto sulle entrate, Draghi assesta un colpo sotto la cintura a Padoa-Schioppa, utilizzando un lessico da banchiere centrale: le maggiori entrate fiscali devono andare a riduzione del deficit. Un principio guida del Patto di stabilità, che il ministro si è sentito ripetere anche nella riunione dell'Eurogruppo di Lussemburgo.
Il governatore svela che quest'anno l'Erario incasserà più di 18,5 miliardi di maggiori entrate, pari all'1,3% del Pil. Draghi non dice di più. Ma basta a Padoa-Schioppa per capire che la Banca d'Italia avrebbe voluto vedere una riduzione del deficit di pari entità. Che non c'è stata. Perché altrimenti il governo non poteva dire di aver trovato i conti pubblici al disastro, come ha ricordato ancora ieri il ministro in Parlamento.
Draghi ricorda che, anche grazie alla manovra del governo, il deficit tendenziale del 2007 è stato portato al 3,8%. Il governatore non lega i due ragionamenti: livello di deficit tendenziale e maggiori entrate; non ce n'è bisogno. Basta avvicinare i due numeri e capire a quale livello poteva essere fissato il deficit del prossimo anno.
Dopo questa audizione, un risultato è probabile. Draghi verrà tolto dalla mailing list di Padoa-Schioppa.
"Ho sentito parlare di un dovere costituzionale della legge. Qui non e' in gioco un provvedimento tecnico ma esclusivamente un provvedimento politico. Questa mossa non e' tecnica, ma strategica". Lo sottolinea, Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi ai microfoni di 'Repubblica radio', parlando del ddl Gentiloni. "Il governo Prodi in questo modo -avverte- distoglie l'attenzione da una Finanziaria davvero incresciosa per tutti e colpisce con una bastonata alle gambe il maggiore e piu' pericoloso esponente dell'opposizione". Secondo l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio "la scelta di rilanciare in questi giorni il tema del riassetto del mercato televisivo distrae gli italiani dalla Finanziaria".
In grande difficoltà sul fronte della Finanziaria, la sinistra ha, con attenta scelta di tempo, calato il jolly del Ddl Gentiloni con due obiettivi precisi:
La mossa della sinistra è stata tempestiva e abile anche perché ieri la sua posizione sulla Finanziaria si è aggravata su quattro fronti:
In questa situazione, era necessario per la sinistra cercare di spostare il baricentro dell'attenzione pubblica, tanto più che essa deve affrontare una situazione interna particolarmente difficile:
Ne segue che l'opposizione di centrodestra dovrebbe mantenere come fronte principale d'attacco la Finanziaria poiché la sua offensiva in questa direzione sta facendo aumentare i consensi, come dimostrato i sondaggi.
La risposta dura sul Ddl Gentiloni dovrebbe essere inquadrata nella denunzia di un generale attacco alle libertà fondamentali dei cittadini - quella di disporre dei frutti del proprio lavoro attraverso la pressione fiscale, quella di essere libero nelle proprie scelte attraverso il monitoraggio delle proprie spese, quella di essere libero di informarsi attraverso la riduzione delle fonti di accesso - in modo da evitare che il leader della CdL possa apparire come primariamente interessato alla difesa delle proprie aziende.
Bisogna infine considerare che non conviene abbandonare una linea politica che sta dando i suoi risultati in termini di consensi e identifica la battaglia dell'opposizione con l'interesse di decine di milioni di italiani - famiglie, imprenditori e liberi professionisti - minacciato dalla Finanziaria.
E' essenziale impedire alla sinistra di riproporre la linea dell'antiberlusconismo come proprio collante e denunziare invece la sua tracotanza nei confronti della società civile e di una parte sociale, quella imprenditoriale, che è poi quella che produce quella ricchezza che essa vorrebbe ridistribuire.
La minaccia di Padoa Schioppa a Confindustria - niente Tfr, niente cuneo - dimostra quale sia il vero atteggiamento psicologico e politico della sinistra prigioniera della Cgil.
Nei prossimi due mesi, la sinistra deve essere tenuta bloccata nella palude della Finanziaria.
Il disegno di legge Gentiloni-Prodi sul sistema televisivo, prima ancora che un atto di pirateria politica, è sicuramente una trappola, attraverso la quale Prodi tenta di distogliere l'attenzione da una Finanziaria fatta letteralmente a pezzi dalla Corte dei Conti, da Mario Draghi, da Confindustria e dalla maggioranza dei cittadini italiani.
Ormai il normale confronto politico in Italia è stato sostituito dalla cieca furia di un premier che sa di avere le ore contate, di essere mal sopportato anche dai suoi alleati più stretti e che si aggrappa al proprio potere con una protervia persino sospetta. Il tutto con l'appoggio interessato della sola sinistra radicale che, con un filo di scetticismo ma con il consueto cinismo, raccoglie tutto ciò che questo presidente del Consiglio dimezzato le offre in cambio della propria sopravvivenza.
Romano Prodi sa che il suo "regno" è destinato a un tramonto definitivo e inglorioso probabilmente in tempi medio-brevi, e per questo non ha inibizioni nell'agire in modo aggressivo. Sino a che sarà coperto da una stampa che, almeno su certi argomenti, pare ancora "di regime", forse il premier potrà reggere e nascondere le crescenti magagne che si sviluppano di continuo nell'esecutivo.
Ma sarebbe un errore seguirlo su questa strada di "gioco al massacro": la CdL, e Forza Italia in particolare, devono invece alternare un sapiente e sereno lavoro ai fianchi, ad attacchi mirati e a un'opposizione che sappia essere davvero senza sconti.
Appare ormai chiaro che Prodi blinderà la Finanziaria ed eviterà in tutti i modi il dialogo, adottando invece comportamenti atti a scatenare la bagarre.
Il centrodestra dovrà agire con freddezza e, nello stesso tempo, con la mobilitazione del proprio elettorato, oggi maggioritario. Una mobilitazione inevitabile e necessaria, se non si vuole perdere il vantaggio acquisito nel Paese.
Sul Ddl Gentiloni, invece, c'è poco da aggiungere ai commenti che già sono arrivati da tutto il centrodestra: la protesta per il danno che verrebbe provocato a una delle maggiori aziende del Paese, Mediaset, dovrà essere ferma e indiscutibile, così come la difesa di cittadini che vorrebbero avere maggiori servizi e opportunità quando accendono il loro televisore, e non vedersi togliere il diritto (che ritenevano ormai acquisito) di guardare ciò che preferiscono, senza essere costretti ad acquistare parabole e a pagare abbonamenti.
L'11 giugno del 1995 gli italiani, con tre sonanti NO in altrettanti referendum, inflissero la più dura sconfitta all'altrettanto più duro attacco portato alla tv privata in Italia.
Alla fine del 1993, mentre si profilava la prossima "discesa in campo" di Berlusconi, Pds e alleati raccolsero le firme su tre referendum popolari che, se approvati, avrebbero decretato la fine delle tv di Cologno Monzese.
Un quesito stabiliva che un'impresa non potesse avere più di una rete; un altro impediva alle concessionarie di pubblicità di raccogliere inserzioni per più di una rete; il terzo, infine, proibiva l'interruzione dei film con gli spot.
Il referendum non fu indetto per il 1994, poiché in quell'anno si tennero le elezioni politiche e slittò automaticamente all'anno dopo. E fu fissato, con velenosa e beffarda solerzia, per l'11 giugno, data che il Presidente Scalfaro aveva invece prospettato per le elezioni politiche chieste da Berlusconi dopo il ribaltone che aveva fatto cadere il suo governo.
Sulla carta il referendum era destinato a essere vinto dalla sinistra. Il governo Berlusconi era caduto e la Lega Nord si era alleata alla sinistra a sostegno del governo Dini. La somma dei voti della sinistra e della Lega era superiore a quella dei partiti del Polo, e se dunque gli elettori avessero seguito le indicazioni dei partiti, le tre reti Fininvest (Mediaset è nata dopo con la quotazione in borsa) sarebbero state chiuse. Nessuna rete, da sola, avrebbe infatti potuto reggere la concorrenza delle tre reti Rai.
In questo scenario si scelsero due strade parallele: la battaglia in campo aperto del Comitato per il No. E la trattativa parlamentare in una Commissione speciale per la riforma del sistema televisivo voluta dalla maggioranza Sinistra+Lega e presieduta dal diessino Giorgio Napolitano.
Questa strada non produsse alcun risultato, perché a sinistra volevano un solo risultato: la fine dell'impero televisivo di Berlusconi.
La prima strada, invece, si rivelò vincente. Una campagna elettorale (che non fu condotta da Berlusconi, il quale prudentemente si tenne fuori per non diventare egli stesso il bersaglio degli avversari) che mise al centro l'interesse e la libertà del cittadino e la vita di un'impresa fatta da migliaia di persone, spostò l'equilibrio in modo netto: il 57% degli elettori che si recarono alle urne votò No, decretando una dura sconfitta per la sinistra e dando a Berlusconi un successo che lo rilanciò sul piano politico.
Molti furono gli episodi di quella campagna in cui il Comitato per il No fece scelte tatticamente vincenti; ma vincente fu innanzitutto la strategia di contrapporsi senza incertezze e reticenze sia alla sinistra che aveva promosso il referendum che alla trattativa a cui partecipavano anche i partiti del Polo.
I cittadini, chiamati a scegliere tra avere a disposizione tre televisioni totalmente gratuite e che fornivano loro informazione e intrattenimento e punire Berlusconi quale avversario politico, scelsero con saggezza la prima opzione, difendendo così la libertà loro e di tutti gli italiani.