Duro attacco di Silvio Berlusconi alla politica estera italiana, che a suo dire "strizza l'occhio agli Hezbollah" e si è schierata con l'asse franco-spagnolo che persegue una alleanza "euro-araba".
"Nei nostri cinque anni di governo - ha detto il presidente di FI in collegamento telefonico con ‘Neve Azzurra' - abbiamo dato vita a una politica estera leale nei confronti dell'alleanza atlantica". Al contrario, ha proseguito, "questa Italia di Prodi, servendo l'asse fra Parigi e Madrid, insegue l'ambizione francese in una strategia euro-araba".
Una strategia, ha sottolineato, "che mira ad escludere l'influenza americana e che ha come interlocutori, purtroppo, l'Iran di Ahmadinejad". Come conseguenza di ciò, ha proseguito, "l'America ci ha messo ormai nella lista dei paesi non affidabili, una decisione che avrà ripercussioni sul commercio estero dell'Italia".
In questo governo, ha concluso, "strizzano l'occhio agli hezbollah e non lesinano critiche a Israele, l'unica vera democrazia del Medio Oriente. Insomma prevale l'atteggiamento della sinistra antiamericana e antioccidentale".
"Da Caserta sono venute fuori le enormi contraddizioni di una maggioranza elettorale, che è solo di potere e non certo di governo". Berlusconi evidenzia che da questa maggioranza "non potrà venire nessuna riforma".
"La maggioranza ha dovuto gettare la maschera, dietro le spinte dei veri padroni, che sono i partiti comunisti, per i quali la proprietà privata è ancora qualcosa di negativo che deve essere solo tassata". Con questo governo, ha aggiunto, "dunque non piangono solo i ricchi ma anche i poveri". Infatti, ha proseguito, "ad essere colpito non è solo il ceto medio, ma il ceto medio-basso". Berlusconi ha ribadito che la maggioranza, visto il numero di proprietari di prima casa, ha voluto tassare anche gli immobili. "Questo governo - ha proseguito - sta taglieggiando dal punto di vista fiscale tutti i redditi, compresi quelli più bassi, perchè la loro filosofia è quella di tassare di più per spendere di più". Una politica, ha attaccato, che si basa su tre linee direttrici: "La rinuncia alle riforme, l'aumento delle tasse e l'aumento della spesa pubblica". Berlusconi ha anche criticato il governo sui temi della famiglia: "Si vuole minare alle fondamenta l'istituzione famiglia, che tra l'altro è difesa anche dalla Costituzione". Per questo, ha aggiunto, "noi faremo di tutto contro questa sinistra, dominata da Rifondazione e dalla sinistra estrema". Il presidente del Consiglio Romano Prodi, ha detto ancora Berlusconi, "è ancora sotto choc per quello che gli ha fatto Rifondazione nel governo passato".
Insomma, ha concluso, "la maggioranza è in disaccordo su tutto, pensa solo a galleggiare e a mettere le mani su tutti i centri di potere. Ma ormai credo che le loro divisioni interne siano chiare a tutti, anche se hanno cercato di coprirle con la riservatezza".
Silvio Berlusconi torna sul tema della federazione dei partiti del centrodestra, sostenendo che la coalizione ne ha "assoluto bisogno". "So quali sono le preoccupazioni di chi guida una coalizione, soprattutto di una coalizione in cui non vige la regola della democrazia".
"La differenza tra una coalizione - ha aggiunto - e una federazione è che in una coalizione basta che un partito, anche il più piccolo dica no e le decisioni non si prendono. In una federazione, al contrario, la minoranza si adegua alla maggioranza e di questo ne abbiamo assoluto bisogno".
"I nostri alleati stiano tranquilli, perchè da parte nostra non c'è nessuna volontà di cambiare la legge elettorale con il referendum, la si vuole cambiare trovando accordi in Parlamento per migliorarla". Berlusconi precisa che Forza Italia "non farà nulla senza l'accordo di Umberto Bossi e della Lega".
"Noi abbiamo nel comitato promotore del referendum alcuni uomini di Forza Italia, ma ci stanno a titolo personale", ha detto il leader di FI. "Non faremo nulla che non sia condiviso dagli alleati", ha aggiunto sottolineando in particolare che Forza Italia non intende procedere alla riforma del sistema elettorale "senza accordo con Umberto Bossi e la Lega".
Silvio Berlusconi rassicura la platea di ‘Neve Azzurra' sulle sue condizioni di salute. "State tranquilli - ha detto il presidente di FI - mi sento bene, sono determinato e combattivo e potete contare sul fatto che continuerò a combattere affinché Forza Italia continui ad essere un baluardo per la democrazia in Italia".
"Vecchio giochetto, quello di Prodi: definisce insulti quelle che sono critiche politiche. Non vorrà mica abolire anche la libertà di critica dell'opposizione?". Questa la replica di Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, al commento del premier agli attacchi del leader dell'opposizione sul Governo.
Gli strilli di Prodi e D'Alema dimostrano che l'accusa di Berlusconi ha colto nel segno. Non c'è dubbio che con il governo di centrosinistra promuove un ribaltamento, temperato dall'ipocrisia, della tradizionale politica di amicizia, comprensione e solidarietà con l'alleato americano:
Tutto considerato Prodi e D'Alema danno all'antiamericanismo militante dei partiti loro alleati, il contributo di un antiamericanismo riluttante, più perfido proprio perché ad alto tasso di ipocrisia. Ne esce il disegno di una scommessa velleitaria su una nuova Europa, distinta e distante dagli Stati Uniti, che si affida per la propria sicurezza al buon volere degli sceicchi del terrore. In filigrana vi si vede il disegno di quella politica dell'Eurabia che tanto turbava Oriana Fallaci, contrapposta alla opzione euroamericana che è stato il cardine della politica estera responsabile perseguita dal governo Berlusconi, in continuità con le migliori tradizioni dell'Italia repubblicana.
La sciagurata battuta di Prodi, favorevole a intitolare a Craxi una strada a Sigonella, evocando il disgraziato passo falso commesso quando si sfiorò lo scontro con gli Stati Uniti in difesa dei terroristi assassini, dirottatori dell'Achille Lauro, è una ciliegina sulla torta disgustosa confezionata dai nuovi pasticcieri della nostra politica estera.
L'accusa di antiamericanismo che Berlusconi ha rivolto al governo italiano non pare affatto una "delirante idiozia" così come l'ha definita, con garbo e democratico rispetto delle opinioni altrui, il Sindaco Cacciari, bensì come una pura e semplice constatazione su come siano i rapporti tra l'Italia e gli Usa da quando Prodi è a capo dell'esecutivo.
Del resto, basta dare un'occhiata alle dichiarazioni dei componenti del governo rese da quando si sono insediati per dare ragione all'ex premier, figuriamoci poi se si vanno a recuperare le immagini di archivio (una fra tutte quella che ritrae il ministro degli Esteri a braccetto con un leader Hezbollah...).
Berlusconi, in realtà, ha chiamato in causa non tanto Prodi, che infatti si è semplicemente limitato a piagnucolare contro "l'invenzione offensiva e strumentale" del capo dell'opposizione non approfondendo la questione, quanto D'Alema che, antiamericano per conformazione genetica, ha risposto stizzito che si tratta di una "campagna ideologica che tende a dividere il Paese".
Eppure, mentre Bush dispone l'invio di nuovi contingenti, D'Alema ha detto che "in Iraq non servono più soldati" e che è una decisione politicamente "insensata". Sempre D'Alema sull'allargamento della base militare Usa di Vicenza si è messo di traverso, così come molti dei suoi colleghi di governo, rinviandone i lavori; cosa particolarmente gradita agli esponenti della sinistra radicale vicentina e dei giovani residenti/bivaccanti dei centri sociali che promettono rappresaglie in caso di posizione pro-Usa. E ancora D'Alema contro Bush e i Raid anti Al-Qaeda in Somalia, e ancora D'Alema e i suoi sorrisi compiaciuti per la vittoria democratica alle elezioni di mid-term.
Ebbene, tutte queste che cosa sono se non posizioni anti americane? Una cosa è criticare la guerra in Iraq, un'altra è sparare sempre e comunque contro l'amministrazione Bush compromettendo i rapporti ottimi che da tempo l'Italia ha con gli Usa, una cosa è compiacersi per la vittoria dei democratici, schierandosi com'è giusto che sia, con una parte politica, una cosa è sbilanciare sul piano internazionale la posizione diplomatica che l'Italia con fatica, durante il Governo Berlusconi, si è costruita nel suo ruolo di mediazione nella spinosa questione mediorientale.
D'Alema, preparato e navigato politico, essendo il capo della Farnesina ma anche un post comunista mai pentito, nel tentativo di salvare capra (la sua posizione ideologica anti-Usa, l'apprezzamento della sinistra radicale che gli consente di stare al governo nonché la stima di Spagna e Francia) e cavoli (la presenza sullo scacchiere internazionale) giustifica la sua posizione definendola come una "fedeltà critica agli Usa". Un eufemismo diplomatico (per l'appunto!) che tanto richiama la doppiezza Togliattiana.
La verità, caro D'Alema, è che il Polo non solo negli anni di governo ma anche dai banchi dell'opposizione ha sempre mantenuto una posizione responsabile a tutela dell'immagine internazionale del nostro Paese e di lealtà all'America, basti ricordare il sostegno alla missione in Libano. Questa è serietà e non servilismo.
Padoa pensa una cosa. Schioppa dice il contrario. E' successo a Caserta. Il ministro dell'Economia, per seguire le indicazioni di Prodi, ha sostenuto: "La riforma delle pensioni non è urgente. La priorità dev'essere la riforma del welfare e degli ammortizzatori sociali". Posizione anomala, per un ministro dell'Economia europeo.
Ma anche in contraddizione con quanto scritto nel Dpef da Padoa Schioppa. Il documento individuava il riordino della previdenza fra le priorità del governo.
Fin qui poco male: era evidente che a Caserta il governo doveva smussare tutte le frizioni possibili con l'ala estrema della maggioranza. Ne consegue, che il dietrofront del ministro poteva essere nel calcolo.
La circostanza più originale è un'altra: all'indomani del conclave nella Reggia, Padoa Schioppa è tornato ad essere rigorista, e a chiedere la riforma delle pensioni. Un richiamo al proprio ruolo gli dev'essere arrivato da Bruxelles.
Il ministro, infatti, si era impegnato con il commissario europeo Almunia a varare nuovi interventi in campo previdenziale: interventi che avevano portato il commissario Ue ad approvare la finanziaria sub judice. Rispetta i saldi, ma manca di misure strutturali, era stato il commento di Almunia sulla manovra. Insomma, senza riforma la finanziaria non piaceva all'Europa, in quanto la correzione era tutta operata sul lato delle entrate e non sul contenimento della spesa.
Il doppiogiochismo di Padoa Schioppa, però, non finisce qui. Il ministro gioca apertamente sull'equivoco previdenziale. Facendo finta che la riforma Tremonti-Maroni non esiste, il governo deve dare applicazione alla parte inattuata della riforma Dini, vale a dire la revisione dei coefficienti. Questa revisione non è stata operata dal governo Berlusconi in quanto si è deciso di aumentare l'età pensionabile e non ridurre i trattamenti economici, conseguenza inevitabile della revisione dei coefficienti.
Se si elimina la riforma Tremonti-Maroni, la revisione dei coefficienti diventa inevitabile: è contenuta nel nostro ordinamento, spiega Padoa Schioppa.
Ed ha ragione. Con il risultato che, piuttosto che aumentare l'età pensionabile (verso medie europee) come previsto dalla Tremonti-Maroni, il governo Prodi preferisce ridurre l'assegno a chi andrà a riposo dal 2008 in avanti.
E non con i disincentivi (di cui il sindacato non vuol sentire parlare), ma con la modifica dei coefficienti di calcolo dell'assegno previdenziale.
La spesa pubblica ne guadagnerebbe. I lavoratori meno.
Doveva essere il "manifesto di Caserta", nei propositi di Prodi, l'atto finale del vertice nella reggia, e invece è diventato più prosaicamente una sorta di "Pagine bianche" dei propositi del governo. Dieci punti di una vaghezza estrema, peraltro già citati nel programma-monstre dell'Unione: ricerca e istruzione, equità sociale e intergenerazionale, verifica e modernizzazione dello Stato sociale e così via in un mare magnum di nulla. Il giusto compendio, insomma, di un summit in cui è stata presa solo la decisione storica di rinviare tutto, a parte il gioco delle tre carte con l'annuncio dei maxistanziamenti per il Sud già previsti dal governo Berlusconi.
Ma il vero capolavoro uscito da Caserta è il cosiddetto "Albero del programma", 56 pagine stilate dal ministro Santagata "per il bene dell'Italia". Quattro le grandi direttrici di azione: garanzie istituzionali e diritti civili; sviluppo sostenibile; coesione sociale; governance mondiale e integrazione europea. Il capitolo riforme è il più contraddittorio, perché si annuncia tutto e il contrario di tutto, con interi passi che sembrano prelevati - copia e incolla - dal programma della Cdl. Stando a questo "albero", infatti, Prodi vuole il Senato federale, un bicameralismo differenziato, una riduzione del numero dei senatori (150), l'attuazione del federalismo fiscale, l'attribuzione al premier del potere di proporre al presidente della Repubblica la nomina o la revoca dei ministri. Tutte proposte che erano contenute nella devolution bocciata nel giugno scorso dal voto popolare proprio su pressione della sinistra. È solo uno dei tanti paradossi unionisti.
Secondo la sinistra, la devolution avrebbe portato il Paese allo sfascio, perché la riforma istituzionale varata dal centrodestra era da considerare come una mina pronta a esplodere sotto la nostra democrazia, con un presidente del consiglio paragonabile a un dittatore o giù di lì. E ora quelle stesse proposte le ritroviamo pari pari nell'"Albero del programma" dell'Unione. Alla faccia della coerenza.
Ma non è tutto: a pagina 9, sulla questione giustizia, si legge testualmente: "Realizzare un'efficace e rigorosa separazione di funzioni fra magistratura giudicante e inquirente". Pari pari la riforma Castelli, contro la quale gran parte della sinistra inscenò aspre battaglie dentro e fuori il Parlamento. Questa è la classe di governo con cui ci dobbiamo confrontare: parolaia, massimalista e "doppia", nel senso della doppiezza comunista, per cui le stesse identiche cose sono democratiche se fatte da loro e "fasciste" quando le propongono gli altri. Ma, in fondo, sono tutte parole sprecate, visto che l'Albero del programma è soltanto una delle mille enunciazioni di governo e maggioranza che resteranno lettera morta. Come la "fase due" di Fassino.
Gli esorcismi di Caserta, la tregua fittizia fra i riformatori perdenti e i massimalisti trionfanti nella coalizione di governo, rivelano subito la loro reale natura di futile esercizio propagandistico. Due giorni dopo la proclamazione di unità e coesione, si riaccende la polemica sulla riforma delle pensioni, i cui effetti sono imprevedibili.
Lo spinoso capitolo è stato sfilato prima dalla finanziaria, poi dall'agenda di Caserta, proprio per evitare lacerazioni, ma i tempi stringono. Il governo dell'Unione vorrebbe eliminare lo "scalone" previsto dalla riforma Tremonti –Maroni (che prevede dal 2008 l'innalzamento a 60 anni per le pensioni di anzianità), "scalone" che garantirebbe annualmente un risparmio di circa 9 milioni di euro. Ma i vertici dell'Ue ritengono indispensabili questi risparmi e in sostanza ribattono: se si abolisce lo "scalone" si dovranno creare altri meccanismi per consentire una riduzione strutturale della spesa previdenziale. Entro marzo l'Ue si aspetta decisioni concrete e puntuali. Il governo – segnatamente il ministro Padoa Schioppa – sente la pressione dell'Europa e non vorrebbe rimangiarsi la promessa di abolire lo "scalone". Punterebbe a un innalzamento dell'età del pensionamento, ma su base volontaria, magari con un meccanismo combinato di incentivi-disincentivi. E' dubbio che questi sistemi sortiscano risultati concreti perché sindacati e sinistra radicale non vogliono che cambi qualcosa nel sistema: chiedono di aumentare gli assegni, ma non si chiedono come aumentare le risorse e ridurre la spesa. Ad ogni modo, Padoa Schioppa e il ministro diessino Cesare Damiano vorrebbero intanto rivedere i coefficienti in base ai quali si calcola attualmente la pensione: passando, cioè, a un sistema che tenga conto non della retribuzione goduta prima di andare in quiescenza, ma dei contributi versati.
Il nuovo calcolo porterebbe a una riduzione della pensione, ma va detto che i reali risparmi si avvertirebbero soltanto fra qualche anno, nel 2015.
La revisione dei coefficienti è prevista dalla riforma Dini e nel settembre scorso anche i sindacati si sono impegnati a discuterla.
Tutto e subito. Forti del successo politico ottenuto a Caserta, gli esponenti della sinistra radicale e massimalista esigono adesso sia l'abolizione dello "scalone", sia l'intangibilità dei sistemi di calcolo. Insomma, non si deve cambiare niente.
Fassino e Rutelli, riformisti mancati, flebilmente insistono sulla necessità della riforma previdenziale, ma la risposta degli "antagonisti" è netta: no e poi no.
Oliviero Diliberto taglia corto: "Non capisco tutta questa fretta di mettere mano alle pensioni. Non fa parte del programma di governo".
Inequivocabile l'altolà del ministro Paolo Ferrero di Rifondazione comunista: "A Caserta – dice- volevano metterci nella condizione di prendere o lasciare, ma questa offensiva è stata fermata: se si prospetta un taglio brutale delle pensioni si avvia la crisi della coalizione".
La legge del più forte. In questo incrociarsi di battute, polemiche e attacchi emerge ancora una volta che la forza egemone della coalizione è diventata proprio la sinistra radicale: gli "antagonisti", dai comunisti ai verdi, con la sponda della sinistra Ds, impongono la rotta al governo mentre i sedicenti riformisti constatano l'inutilità della loro maggiore consistenza elettorale.
La delusione e lo scoramento nelle loro file sono evidenti, se anche "l'Unità" ed "Europa" segnalano la sconfitta di Caserta.
Come se non bastasse, poiché nell'Unione le risse e le divisioni non finiscono mai, il socialista Boselli attacca Fassino e Rutelli, accusandoli di aver subito il diktat di Prodi, di avere perso senza nemmeno aver provato a vincere.
Le critiche rivolte al mondo della politica dal Presidente di Confindustria nel corso di un'intervista a Che tempo che fa su Rai3, frutto di una cultura populista e antidemocratica, sono inaccettabili.
Luca Cordero di Montezemolo si è presentato non come il presidente di Confindustria ma come un leader politico nuovo, che prende di mira i politici accusati in massa di parlare fra di loro più che di parlare al Paese e ad affrontare i veri problemi.
Non si era mai visto un leader degli industriali attaccare i "rituali della politica" in maniera così diretta e sfrontata, dopo aver contribuito pesantemente e direttamente a favorire l'attuale maggioranza di governo durante le scorse elezioni politiche.
Oltretutto, Montezemolo usa il fioretto nei confronti delle politiche sciagurate e disastrose dell'attuale governo, mentre utilizzava la clava in continuazione contro un governo colpevole di fare cose buone per l'economia e per il Paese.
Se fossimo in un Paese serio i rappresentanti dei vertici delle istituzioni democratiche e delle forze politiche popolari stigmatizzerebbero e condannerebbero le parole irresponsabili del presidente di Confindustria nei confronti del sistema politico democratico.
Che cosa c'è dietro alle prese di posizione di Montezemolo?
Da una parte vi è la coscienza delle difficoltà dell'attuale governo, nei confronti del quale tuttavia si mantengono toni prudenti e mai così drastici come quelli adottati per poemizzare contro il governo Berlusconi. Questa prudenza nasce anche dal fatto che Montezemolo da questo governo ha ottenuto e continua ad ottenere benefici, come dimostrano i provvedimenti a favore dell'auto e la nuova società nella quale è personalmente coinvolto con Della Valle per i trasporti ferroviari. Dall'altra parte, però, Montezemolo coltiva progetti politici in proprio, che lo potrebbero vedere o fra i sostenitori di un nuovo leader della sinistra (come Veltroni) o addirittura come candidato personalmente nel caso di un fallimento anticipato dell'attuale quadro politico.
Un bambino ingrugnito che dice: "voglio la pensione". E' l'immagine dei manifesti che campeggia nelle strade delle città e che ha preso il posto di quella in cui si chiedeva, a sostegno della discussione sulla finanziaria, che anche i ricchi piangessero. Questa la propaganda politica di Rifondazione Comunista che offre un nuovo esempio di demagogia e falsità a proposito della riforma previdenziale. Una conferma dei danni che questi signori, con il supporto di Prodi, fanno al Paese. E della beffa che va a unirsi al danno. Perché, se il partito di Bertinotti vuole che la questione delle pensioni rimanga al palo del dibattito politico, la verità indiscussa, riconosciuta anche da politici ed economisti di sinistra è che la riforma delle pensioni serve proprio a garantire un futuro ai giovani. Ad assicurare la sopravvivenza dei pensionati di oggi e di quelli di domani.
I giovani che lavorano oggi devono dare il 50% del loro guadagno per la pensione dei cinquantasettenni. La situazione è destinata a peggiorare e, se non si sana la situazione, aumenta il fardello dei lavoratori più giovani. Una guerra generazionale in cui i figli diventano vittima dell'egoismo dei padri e che sembra rispondere più all'antica logica del "mors tua vita mea" che non ad una moderna visione del mondo del lavoro.
Dopo Caserta, ottenuto che non si parlasse di riforme, soprattutto di pensioni, il segretario di Rifondazione Comunista esultò: "Li abbiamo fermati".
Anche il paese avrà occasione di esultare: quando a essere fermati saranno tutti questi signori. A partire da Prodi.
Cosa rimane della questione generazionale dopo Caserta? Praticamente nulla, se non la retorica da talk show che ha affogato i programmi televisivi di domenica. Tutto il centro sinistra, guidato da un Fassino auto proclamatosi iper riformista, si è presentato nella Reggia per un conclave all'insegna del futuro delle giovani generazioni. Si doveva parlare di pensioni, lavoro e università, ma tutta la coalizione è uscita dal conclave non solo senza Papa, ma anche senza cardinali, vista la rissa tra i ministri di Prodi. Ci verrebbe da sorridere se la posta in gioco non fosse così seria. Il sistema delle riforme Berlusconi va portato avanti, pena una recessione dal costo sociale inaccettabile, semmai va implementato con correttivi che tengano conto della velocità dei processi economici globali. Abbiamo detto più volte che ci troviamo di fronte ad una nuova forma di discriminazione, non più di genere, ma anagrafica, in cui questo governo finisce per ratificare un conflitto padri/figli non classicamente culturale, ma tutto economico. Non solo, infatti, questa è la prima generazione dal dopoguerra in cui i figli hanno un'aspettativa di qualità della vita inferiore ai padri, ma il blocco ideologico delle riforme generazionali (formazione-lavoro-previdenza) frena qualsiasi progetto per rendere i giovani italiani più competitivi e più preparati per affrontare il difficile mercato del lavoro globale. Certo più di una proposta in tema sociale i ragazzi italiani se l'aspettano anche da noi! Quello che si richiede, però, da uno Stato moderno e liberale, non è una sterile assistenza para sindacale, anti meritocratica, quanto piuttosto una rete di servizi che faccia da ammortizzatore sociale. Quindi trasporti pubblici efficienti, asili nido, un facile accesso ai canoni di affitto per le abitazioni, un accesso veloce agli sportelli pubblici, una burocrazia più snella e meno invasiva per chi voglia fare impresa, e un sistema del credito e di previdenza che tenga conto delle nuove tipologie contrattuali.
E' evidente che per rispondere a questi bisogni è necessaria non solo la volontà dello Stato centrale, ma anche un buon livello di efficienza degli enti locali.
Non ci sorprende la resa incondizionata dei riformisti: se non sono riusciti a parlare di liberalizzazione dello Stato figurarsi degli enti locali, in cui il sistema Matrioska delle società municipalizzate costituisce un appetitoso impero economico in mano ai "supersindaci" della sinistra.
Dobbiamo quindi fare della questione generazionale un cavallo di battaglia di Forza Italia e trasmettere le nostre idee con un modello di comunicazione che faccia breccia tra quei giovani che oggi non hanno più fiducia in una classe politica che si ricorda di loro, tra un concerto e l'altro, solo in campagna elettorale.