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il Quaderno del 18 settembre

Telecom/Berlusconi: Prodi dovrebbe dimettersi

Agenzia Ansa del 17 settembre, ore 15.29

Un episodio "gravissimo" che in qualsiasi altro Paese europeo avrebbe "portato alle dimissioni" del capo del governo. Silvio Berlusconi torna sul caso Telecom e lo fa per chiedere un passo indietro del presidente del Consiglio, Romano Prodi. Alla vicenda della compagnia telefonica italiana, il leader di Forza Italia dedica appena un paio di passaggi di una lunga telefonata al pubblico forzista di Cortina. Ma sono parole che pesano, anche perche' Berlusconi denuncia il rischio di nuovi "espropri" contro il capitalismo italiano. "Quello che sta succedendo e' veramente qualcosa di grave, che in Europa o in altra democrazie occidentali potrebbe alle dimissioni del capo del governo", attacca il Cavaliere. E il problema potrebbe non riguardare solo Telecom, aggiunge, visto che "si stanno preparando a un vero esproprio nei confronti dell'imprenditoria italiana". Poco prima, a scanso di equivoci, Berlusconi aveva definito "ottima" l'intervista di Giulio Tremonti a 'La Repubblica' sul caso Telecom, in cui l'ex ministro dell'Economia parla apertamente di un "comitato d'affari" a Palazzo Chigi. Il resto dell'intervento del Cavaliere e' una promessa ai suoi sostenitori: e' vero, riconosce Berlusconi, dopo la sconfitta alle politiche "ho passato una fase di depressione molto profonda" seguita da una di "rigetto di tv e giornali". Ma l'ex premier assicura di essersi ormai ripreso e che e' giunto il momento per tutti di "rimboccarsi le maniche" e fare di tutto per "mettere fine" al governo Prodi. Berlusconi archivia poi le polemiche sul voto. E' vero che ci sono state irregolarita', insiste citando "un milione di voti" non calcolati, ma e' "inutile recriminare sul passato: pensiamo al futuro". L'ex premier parla a conclusione della tre giorni con cui il partito veneto ha affrontato un tema impegnativo quanto provocatorio: come "Si puo' governare contro il Nord?" e dopo gli interventi di Niccolo' Ghedini, Maurizio Sacconi, Fabrizio Cicchitto e Sandro Bondi. Relazioni che hanno avuto, tra i denominatori comuni, il tema della necessita' di una opposizione forte per ridurre mandare a casa il governo Prodi, non disdegnando lo strumento della manifestazione nelle piazze. La prima buona occasione, dice Berlusconi, e' rappresentata dalla finanziaria per il 2007. "Avremo molti buoni motivi per manifestare, le piazze - rileva - non sono proprieta' della sinistra". Anche perche', ricorda, "questa sara' una finanziaria di tassazioni non di tagli fiscali, ci sara' la fiera delle addizionali, di tassazioni di scopo, di tassazioni rivolte alla redistribuzione del reddito, perche' e' questo che la sinistra estrema ha in mente, da sempre". Per l'ex capo del governo, percio', e' necessario "rendersi conto che il rischio che stiamo correndo, che sta correndo l'Italia, e' che questa maggioranza per restare al governo a tutti i costi, indurra' i Ds e la Margherita, che sono anche aperti al libero mercato ed a certi valori che condividono anche con noi, a dire sempre di si' a tutti i diktat che verranno dall'estrema sinistra". L'esecutivo, in sostanza, "non avra' nei suoi due partiti piu' importanti la forza di dire di no e di resistere, approveranno questi provvedimenti, e noi rischieremo misure come la tassa di successione, che colpira' la parte piu' dinamica dell'economia italiana, cioe' le imprese familiari". La prima tappa per rilanciare l'efficacia dell'azione politica della Cdl, prosegue Berlusconi, e' quella di "tenere unita la coalizione, pensare a rimetterla insieme compiutamente", anche se, riconosce, per farlo "ci vuole pazienza". L'obiettivo, ribadisce, e' quello di arrivare un giorno al "partito delle liberta"' che riunisca in un'unica forza le anime della Cdl. Il secondo passo, aggiunge, e' rafforzare Forza Italia "mettendo al bando i personalismi". Dal punto di vista della ristrutturazione della macchina, il leader azzurro pensa a "creare uno stuolo di funzionari locali addetti puramente all'organizzazione dell'attivita"'. Inoltre, il Cavaliere non nasconde ottimismo sulla possibilita' che a Palazzo Madama la maggioranza venga meno. Confida infatti in "sorprese positive" al Senato, grazie a "galantuomini di sinistra che potrebbero portare ad un restringimento della maggioranza", e non ad un allargamento come qualcuno invece teorizza. "Credo - sostiene Berlusconi - che non ci sara' nessuno dei nostri eletti moderati che passera' con questa sinistra". Tutto questo tenendo anche conto, ricorda, che secondo i sondaggi "la Cdl ha un vantaggio di 6 punti sul centrosinistra". L'invito ai vertici forzisti giunti a Cortina e' di approfittare di ogni occasione per tornare a far vedere la carica di valori che il partito racchiude. "Dobbiamo politicizzare le elezioni amministrative di primavera - e' l'esortazione - ed iniziare una rivincita che riportera' al paese un vero governo liberale".

Telecom/Interrogazione di Forza Italia: ecco i motivi per cui Prodi deve lasciare

Questa l'interrogazione urgente del Vice Coordinatore Nazionale di Forza Italia, on. Fabrizio Cicchitto al Presidente del Consiglio dei Ministri

- Premesso che un piano alternativo per la modifica degli assetti proprietari di Telecom, scritto su carta intestata della segreteria del Presidente del Consiglio, nel quale si afferma che solo conferendo la telefonia fissa alla Cassa Depositi e Prestiti quell'impresa privata avrebbe potuto salvarsi dai debiti e dall'intervento dell'autorità delle comunicazioni, è stato fatto pervenire ad un imprenditore privato, il dott. Tronchetti Provera, ad opera dell'on. Rovati, uno dei più stretti collaboratori del Presidente del Consiglio; che il Presidente del Consiglio ha affermato di non essere stato debitamente informato dal dott. Tronchetti Provera su ciò che riguardava Telecom nonostante l'iniziativa presa dal suo stretto collaboratore; che sono state rese pubbliche dal Presidente del Consiglio notizie riservate che riguardavano anche altre aziende come la Time Warner e la General Electric riferendo anche quello che l'amministratore delegato della Telecom in un colloquio del tutto privato e riservato gli aveva riferito sulle trattative con Murdoch, sia sui contatti con la General Electric e la Time Warner e l'importo (da 7 a 9 miliardi di euro) che l'attuale proprietà di Telecom intendeva ricavare dalla vendita della Telecom Brasile; che, infine, l'on. Rovati, incalzato dagli eventi ha ritenuto opportuno dimettersi dall'incarico di consigliere economico e politico del Presidente del Consiglio on.Prodi -

Per sapere se: il suddetto piano di modifica degli assetti proprietari di Telecom scritto su carta intestata della segreteria del Presidente del Consiglio sia stato redatto sotto la responsabilità politica del capo del governo o si è trattato di una iniziativa tanto estemporanea quanto artigianale dell'on. Rovati;

anche nel caso in cui il Presidente del Consiglio non fosse stato a conoscenza di questo progetto dell'on. Rovati non sia comunque cosa gravissima che su carta intestata della Segreteria del Presidente del Consiglio sia stata fatta pervenire ad opera di uno dei più stretti collaboratori del medesimo ad un imprenditore privato il suddetto piano di riassetto proprietario di Telecom mettendo in atto una azione dirigista della Presidenza del Consiglio;

il Governo reputi ammissibile che in un piano comunque redatto su carta intestata del Presidente del Consiglio si affermi che solo conferendo la telefonia fissa alla Cassa Depositi e Prestiti quell'impresa privata avrebbe potuto salvarsi dai debiti e dall'intervento dell'autorità delle comunicazioni;

non ritiene di aver messo in condizioni di grande difficoltà l'Autorità per le comunicazioni, che per sua natura è autonoma dal governo, avendola indebitamente chiamata in causa;

ritenga legittimo sia sul piano politico, sia sul terreno della lettera e della sostanza del trattato di Maastricht, sia dal punto di vista del rispetto della legge, sia sul piano del rapporto con i mercati azionari che comunque il Presidente del Consiglio intervenga con attacchi e intimidazioni nei confronti di un'impresa privata e che questa azione sia stata accompagnata dalla redazione e dall'invio di un piano alternativo da parte di uno stretto collaboratore del Presidente del Consiglio;

non ritenga che sia del tutto scorretto e istituzionalmente devastante che il Presidente del Consiglio abbia riferito quello che l'amministratore delegato della Telecom in un colloquio del tutto privato e riservato gli aveva riferito sulle trattative con Murdoch, sia sui contatti con la General Electric e la Time Warner e l'importo che l'attuale proprietà di Telecom intendeva ricavare dalla vendita della Telecom Brasile;

in seguito a tutto ciò non ci sia stata anche una indebita ingerenza sui valori di mercato;

reputi legittima una simile trasformazione delle funzioni della Presidenza del Consiglio;

oltre alle avvenute dimissioni dell'on. Rovati, anche il Presidente del Consiglio, in seguito a tutte le distorsioni e perversioni istituzionali legali e politiche avvenute in questa vicenda, non ritenga di trarre le logiche conseguenze in seguito ai suddetti gravissimi fatti.

Telecom/Dossier: la ragnatela di Prodi

La vicenda Telecom offre una doppia chiave di lettura: tecnica e politica. Palazzo Chigi ha giocato tutt'e due le partite: ha messo in piedi uno schema finanziario per "nazionalizzare" la rete infrastrutturale, camuffandolo come uno strumento per ridurre l'indebitamento di Telecom; ha tentato di accumulare potere ai danni dei suoi alleati politici, Ds e Margherita in testa, così da acquisire un maggior potere contrattuale in vista dell'ipotetico Partito democratico.

Lettura tecnica

Telecom ha raggiunto un indebitamento con banche e mercato superiore ai 40 miliardi di euro. Il livello è cresciuto dopo aver inglobato, quasi due anni fa, Tim, cioè la rete mobile. A fronte di un fatturato intorno agli 80 miliardi di euro, alla Telecom non bastava più la cassa che riusciva a creare con il canone e le tariffe della telefonia fissa e mobile per frenare l'indebitamento. Da qui, i contatti avviati da Tronchetti con Murdoch (e non solo) per mettere in ordine l'azienda.

Fra l'altro, l'intero colosso telefonico era ed è controllato da una finanziaria, Olimpia, nella quale Tronchetti controlla il 18%. In Olimpia erano presenti anche Banca Intesa e Unicredito: cioè, le banche maggiormente esposte nei confronti di Telecom. Le due banche, però, sono uscite da Olimpia prima dell'estate; ed entro un mese la loro partecipazione verrà liquidata completamente.

Il ruolo di Goldman

Le condizioni finanziarie di Telecom hanno attirato l'attenzione di tutte le banche d'affari del mondo. Tutte hanno messo a punto progetti di riordino societario per fronteggiare i debiti della società telefonica. Lo fanno per mestiere. Con l'obbiettivo di diventare advisor della società, una volta che il progetto di riorganizzazione va in porto.

L'unica che anziché inviare il proprio progetto di riordino societario a Tronchetti, lo ha inviato a Prodi è stata Goldman Sachs. Ed il motivo è evidente. Viene da Goldman Sachs Massimo Tononi, sottosegretario all'Economia. Viene da Goldman Sachs Costamagna, amico fraterno del presidente del Consiglio, e finanziatore della sua campagna elettorale. Vengono da Goldman Sachs lo stesso Prodi e Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia.

Lo schema Rovati

Nello schema di riordino societario di Telecom messo a punto da Goldman, e che ora passa alla storia come lo "schema Rovati" un ruolo non secondario lo giocano le ambizioni personali. Costamagna e Tononi hanno lavorato per anni nello stesso team di Goldman. Ed ora uno dei due è sottosegretario all'Economia, voluto da presidente del Consiglio (Padoa Schioppa nemmeno lo conosceva), con delega sulla Cassa depositi e prestiti. Se il progetto di riordino societario di Telecom messo a punto da Goldman fosse andato in porto, Costamagna sarebbe andato alla Cassa depositi e prestiti.

Così, i tecnici della Goldman elaborano un progetto che prevede:

Il ruolo della Cassa

In tutto questo progetto di riordino, l'onere maggiore è a carico della Cassa depositi e prestiti. Vale la pena di ricordare che la cassa è uno strano animale. E' pubblico, perché controllato dal Tesoro. E' privato perché Bruxelles considera le sue operazioni fuori dal perimetro della Pubblica amministrazione, e nel consiglio d'amministrazione siedono anche i rappresentanti delle Fondazioni bancarie. Il rafforzamento della Cassa venne voluto da Tremonti per ridurre il debito pubblico. La Cassa, infatti, acquisì forti partecipazioni di Enel, Eni e Terna (la rete d'infrastrutture energetiche) e per la contabilità di Stato il debito venne ridotto. Insomma, aveva una finalità pubblica. Prodi e Tononi, invece, con il progetto di Goldman Sachs vogliono estendere il ruolo della cassa a partecipazioni private: come quelle della rete d'infrastrutture della Telecom, ma anche per Autostrade.

In questo modo, la riduzione dell'indebitamento di aziende private, operato attraverso Cassa depositi, sarebbe ricaduto sulla collettività. Le risorse della Cassa depositi e prestiti, infatti, vengono dai libretti di risparmio postale.

Livello politico

Lo schema Rovati-Goldman aveva un altro lato della medaglia. Se fosse andato in porto, avrebbe consegnato a Prodi un forte strumento di pressione politica: una nuova Iri, rappresentata dalla Cassa depositi e prestiti riformata. Strumento che sarebbe tornato utile quando all'interno della maggioranza si sarebbe discusso concretamente di Partito democratico. Ed è per queste ragioni che sia i Ds sia la Margherita si sono messi di traverso al progetto. E sia direttamente, sia indirettamente, i due partiti hanno sostenuto - se non addirittura incentivato - Tronchettti ad elaborare un piano alternativo.

Piano Tronchetti

La ricostruzione data da Prodi dei colloqui con l'azionista di maggioranza della Telecom è incompleta. Il presidente del Consiglio gli aveva consigliato di quotare la rete di infrastrutture; ed anche accennato al ruolo della Cassa depositi nell'operazione. Lo aveva anche invitato a non scorporare Tim dall'azienda. In quanto, pensava che dietro a Murdoch ci potesse essere Mediaset. E Prodi non voleva e non vuole che Berlusconi entri nel business della telefonia mobile. Così, negli incontri privati con Tronchetti, ha perorato lo schema Goldman-Rovati; fino al punto di promettergli un progetto nero su bianco. E così è stato. Tononi invia a Prodi lo schema di riassetto messo a punto dai suoi amici della Goldman. Prodi riceve il documento in "power point" tutt'altro che "artigianale" e dice a Rovati di farlo pervenire a Tronchetti. Rovati rispetta l'ordine ed aggiunge un suo bigliettino della Presidenza del Consiglio. Al tempo stesso, però, Ds e Margherita non volevano e non vogliono che Prodi si rafforzi con lo schema Goldman-Rovati. E lo fanno sapere attraverso i loro canali a Tronchetti.

In mezzo al guado

Da una parte Prodi, cioè, il presidente del Consiglio, che gli chiede una cosa; dall'altra gli azionisti di maggioranza del premier che gliene chiedono un'altra, opposta. Da uomo d'impresa, dà ragione agli azionisti di maggioranza. La proprietà di un'azienda resta, i manager cambiano. Così, il suo piano prevede la quotazione della rete, come chiesto da Prodi; ma, la rete resta dentro la pancia di Telecom; e la telefonia mobile di Tim viene scorporata. Insomma, prova a dar retta a tutt'e due le richieste. Anche se riduce il valore della Telecom, portando via la Tim.

L'ira di Prodi

Quando scopre il progetto di scorporo di Tim, il Presidente del Consiglio va su tutte le furie. Capisce che tutto il suo schema finanziario e politico viene meno; in più, intravvede il rischio che Berlusconi possa entrare dentro Tim. Ed a Frascati, alla riunione dei gruppi dell'Ulivo, si dice "sconcertato" dalle scelte di Tronchetti. "Non ne ero al corrente", dice sapendo di mentire. E' una dichiarazione di guerra a Tronchetti.

Telecom fa arrivare a due giornali (Il Giornale e MF) l'indiscrezione che Palazzo Chigi sapeva.

Che c'erano stati contatti con Rovati; e Rovati è un uomo che riferisce tutto a Prodi: vuoi perché amico da trent'anni, vuoi perché ricopre l'incarico di responsabile della segreteria tecnica della Presidenza del Consiglio. E' tenuto a riferire. Prodi si arrabbia ancora di più. E, fatto inusuale, emette un comunicato della Presidenza del Consiglio che rivela i colloqui riservati fra Prodi e Tronchetti (fra l'altro quel comunicato è ora oggetto di indagine della Sec, la Consob americana, perché vengono tirate in ballo Time Warner, General Electric e la stessa Telecom: quotate a Wall Street).

A quel punto, Tronchetti fa arrivare ai "suoi" giornali, Corriere della Sera e Sole 24 Ore, il documento in "power point" ricevuto da Rovati, con tanto di biglietto autografo. Due giorni di guerra senza frontiere, e venerdì sera un consiglio di amministrazione della Telecom accetta la scelta di Tronchetti di dimettersi da presidente del gruppo.

Arriva Rossi

Si fa sostituire da Guido Rossi, l'uomo che tutti identificano "vicino" a Massimo D'Alema. E' lo schiaffo estremo di Tronchetti a Prodi. In tutti questi giorni, infatti, il silenzio intorno alla vicenda di Ds e Margherita è stato emblematico. Prodi lo ha capito. Ed ora per tenere insieme la coalizione, si appoggerà ancora di più agli altri partiti della maggioranza. Come? Soddisfando le loro richieste in materia di conti pubblici. E la finanziaria diventerà la camera di compensazione della vicenda Telecom. L'exit strategy di Prodi per allungare la sua permanenza a Palazzo Chigi. Le dimissioni di Rovati rientrano in questo schema.

Telecom/Prodi fugge dal Parlamento

Prodi alla fine ha "concesso" il dibattito parlamentare, non perché si sia reso conto del gravissimo sgarbo istituzionale, che solo i suoi tifosi più estremi hanno il coraggio di ridurre a semplice "gaffe", ma perché è stato messo all'angolo dai suoi stessi inferociti alleati. Grazie tante. Il suo «ma che stiamo diventando matti?» si è pian piano trasformato, dopo il totale accerchiamento, in una proposta di dibattito sulle strategie future della Telecom (di certo l'obiettivo è che non si facciano cenni all'accaduto) che sarà lo stesso governo ad avanzare. E al quale parteciperà un ministro, forse Bersani, non certo Prodi, che se ne guarda bene. Come si vede la strada è ancora lunga. Il presidente del Consiglio sta cercando di prendere tempo, spera in un affievolirsi delle polemiche, confida nel fatto che le dimissioni di Rovati (ennesimo votato al sacrificio in nome dell'amicizia con il Professore) servano ad allentare la pressione. Ma continua a fuggire, a far finta di non capire.

Il problema non è che il governo venga in aula a riferire. Ci deve venire Prodi, e Prodi soltanto. Non per un vezzo o un capriccio dell'opposizione. Ma perché lo scandalo che ha investito palazzo Chigi sul caso Telecom non riguarda il governo, riguarda il tentativo dello stesso Prodi, complice Rovati, di mettere le mani sulla telefonia e gestire personalmente una notevole fetta di potere. Il governo c'entra poco o nulla, anzi, parte dei suoi componenti è inferocita con il premier. I Ds, per esempio, sono fuori dalla grazia di Dio e non intendono fare sconti al Professore. Lo stesso dicasi per l'ala rutelliana della Margherita e per la Rosa nel Pugno. Il governo, semmai, è vittima dello sgomitare dei prodiani.

E' Prodi che vogliamo in aula, è Prodi che deve spiegare e assicurare personalmente che di quel progetto di riforma Telecom inviato a Tronchetti Provera su carta intestata di palazzo Chigi era totalmente all'oscuro, è Prodi che deve prendersi la responsabilità di queste affermazioni e, se scoperto a mentire in Parlamento, dimettersi, è Prodi che deve giustificare il comportamento di uno dei suoi più stretti collaboratori (non di D'Alema, non certo di Rutelli, men che meno di Padoa Schioppa).

Troppo forte il terremoto che è scaturito da tutto questo perché il premier possa nascondersi timidamente dietro la possente mole di Rovati e limitarsi a mandare un suo ministro in Parlamento senza avere il coraggio di metterci la faccia, il nome, la sua parola. A meno che non possa proprio farlo, perché è consapevole che verrebbe in un'aula del Parlamento solo per dire menzogne. Il caso non è affatto chiuso e non è certo Prodi a stabilire quando potrà considerarsi come tale.

Telecom/Prodi difeso solo dalla sinistra

L'affaire Telecom ha spinto ancora di più Prodi verso la sinistra radicale, l'unica rimasta in trincea a difenderlo davanti a questo gigantesco pasticcio. Ad aumentare il già forte imbarazzo di Ds e Margherita, infatti, ha contribuito la stizzosa reazione del Professore a chi gli domandava se fosse il caso di andare a riferire in Parlamento sulla vicenda, al ritorno dal viaggio in Cina.

Una replica ("ma che siamo matti?"), poi maldestramente corretta, che si è inserita in un quadro già assai teso per il palese malumore dei due maggiori partiti del centrosinistra di fronte a una serie di contatti e di movimenti dei quali, a quanto pare, Palazzo Chigi aveva tenuto completamente all'oscuro le due segreterie. A poco è valso in questo senso, il "sacrificio" di Angelo Rovati. A qualche giorno dalla pubblicazione degli artigianali promemoria fatti pervenire dal consigliere economico di Palazzo Chigi a Tronchetti Provera, sul modo in cui condurre lo scorporo della telefonia fissa da Telecom e il suo ritorno sotto l'ombrello dello Stato, da via Nazionale non sono ancora giunte dichiarazioni degne di questo nome, in difesa del presidente del Consiglio e del suo staff, mentre dalla Margherita trapela un'inquietudine sempre maggiore.

Solo i partiti della sinistra radicale e Di Pietro, insomma, continuano a considerare pienamente legittimo l'operato di Palazzo Chigi, e a definire strumentali gli attacchi dell'opposizione al presidente del Consiglio ribadendo il parere positivo sul piano-Rovati. I comunisti di Diliberto vedono come una cuccagna il "forte intervento del governo" per ripensare le politiche di privatizzazione".

Europa, organo della Margherita, ha affondato senza esitazioni il coltello nella piaga, suggerendo a Palazzo Chigi di rivedere qualche meccanismo di funzionamento. Obiettivamente il gruppo D'Alema, ai suoi tempi e su una vicenda simile, venne maltrattato per molto meno.

La sinistra, per concludere, si trova di nuovo davanti a un vischioso problema di credibilità, a un anno dall'affare Unipol, e deve dar prova di praticare, non solo a parole, il principio dell'autonomia reciproca fra politica e economia. Erga omnes, possibilmente. Nell'estate dei furbetti toccò ai Ds, ora le mani nella marmellata le ha messe il leader dell'Unione.

Telecom/A rischio i soldi dei risparmiatori

Berlusconi: opposizione seria ma responsabile

Agenzia Ansa del 16 settembre

Bari - "Siamo un'opposizione severa, intransigente e inflessibile su tutto cio' che giudichiamo negativo, ma se ci sono cose che vanno nell'interesse degli italiani e dell'Italia, e in questo caso anche dell'Occidente, non diciamo no solo perche' siamo opposizione". Cosi' Silvio Berlusconi ha risposto ad un giornalista che gli chiedeva un commento sulla convergenza politica che c'e' stata sulla missione in Libano e che e' stata apprezzata anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella sua visita a Bari.

"Dopo cinque anni consecutivi di presenza all'inaugurazione della Fiera del Levante, non ho voluto mancare il sesto anno per far vedere che anche una parte politica, il centrodestra, che oggi e' maggioranza nel Paese (perche' l'ultimo sondaggio ci da' oltre il 53%), c'e' sempre sui temi che riguardano il Sud. C'e' un calore umano straordinario - ha detto l'ex-premier riferendosi alla folla che lo ha accolto e lo ha seguito durante la visita alla campionaria - e, per quel che ci riguarda, ovunque abbiamo l'occasione di recarci nel Paese, vediamo che c'e' un'aria da 'aridatece er puzzone"'.

Silvio Berlusconi conferma l'intenzione di Forza Italia di chiedere una commissione d'inchiesta sul comportamento del governo nel caso Telecom "perche' e' grave che un governo si intrometta nel libero mercato" e sulla questione bisogna "indagare fino in fondo". Sui tempi, ha pero' precisato, decideranno i capigruppo. "Spetta alla riunione dei capigruppo - ha spiegato - decidere se ci sara' la commissione d'inchiesta e in caso affermativo quando sara' costituita".

"Non posso ipotizzare le ripercussioni che cio' potrebbe avere sul governo - ha aggiunto - ma certamente e' qualcosa che deve essere indagato fino in fondo, perche' e' grave che un governo si intrometta nel libero mercato".

"Il problema della nostra economia e' il problema dello sviluppo del Sud: questo e' gerarchicamente il primo dei problemi", ha sottolineato sempre Silvio Berlusconi.

Il presidente di Forza Italia ha rivolto un plauso alle parole del presidente della Camera Fausto Bertinotti che con il leader di An Gianfranco Fini ha detto che e' ora di chiudere gli anni degli scontri di piazza, ma ricorda che durante il suo governo e' stata la 'sinistra' a portare a manifestare oltre "diecimila volte l'anno". "E' auspicabile da sempre" che si chiudano gli anni degli scontri di piazza, ha detto il Cavaliere in visita a Bari "Non siamo certamente noi - ha aggiunto - a fare gli scontri di piazza. E' casomai la sinistra che negli anni del mio governo ha prodotto diecimila manifestazioni di piazza all'anno".

"Stiamo guardando ad un nuovo grande partito della liberta' che dovrebbe nascere spontaneamente dalla base". Secondo Berlusconi, il partito unico "dovra' essere l'espressione italiana del partito del popolo europeo". "Credo che possa mettere insieme - ha detto ancora - tutti gli elettori anche a prescindere da quelli che sono i protagonisti della politica o le forze politiche, che poi credo saranno obbligati a confluire in questa grande forza che si manifestera' autonomamente senza che ci sia bisogno da parte degli attuali protagonisti della politica di fare degli sforzi".

Alleati?/Casini, se e dove arriverà

L'intervento conclusivo di Casini alla festa dell'UDC di Fiuggi segna un salto di qualità nella polemica contro Berlusconi.

Dopo un fuoco di sbarramento alimentato dalle sorprendenti dichiarazioni "filosofiche" di Buttiglione, Casini ha indicato un obiettivo ambizioso per il suo partito: raggiungere l'obiettivo del 15% e costituire il partito unitario dei moderati.

Si tratta evidentemente di un ragionamento politico velleitario, ma serve per rilanciare la sfida all'interno della Casa delle Libertà e contro la leadership di Berlusconi.

Dove vuole arrivare Casini? E che cosa fare di fronte alla sua linea di smarcamento continuo dalle posizioni della Casa delle Libertà e soprattutto rispetto a quelle di Berlusconi?

Casini ha ormai rotto i ponti con la Casa delle Libertà e si è messo in proprio. Non sa ancora dove giungerà, ma è convinto di dover andare dove lo porta il cuore.

Nel corso del dibattito di qualche giorno prima fra Fini, Bondi e Veltroni, lo stato maggiore dell'Udc aveva fatto di tutto per dare la sensazione di una riappacificazione con Forza Italia e di una volontà di tornare a rapporti di normalità. Poi il giorno dopo si ricomincia daccapo con il tambureggiamento contro Berlusconi.

Così' non si può andare avanti. Occorre avere un chiarimento e decidere una tregua fatta almeno di tappe intermedie in cui non si discuta più di leadership o di pregiudiziali contro Berlusconi. In caso contrario è meglio una chiara differenziazione. Il nostro elettorato infatti non è più disposto ad accettare un tale balletto. Oltretutto, il dibattito di Fiuggi ha dimostrato due punti: il primo è che la sinistra esclude la prospettiva di un centrismo che disarticoli il bipolarismo; in secondo luogo che il pubblico del'Udc mostra di essere sensibile agli argomenti contro la sinistra. La strada di Casini così è molto stretta.

Alleati?/Casini, se e come contrastarlo

Non dobbiamo meravigliarci del movimentismo dell'Udc a Fiuggi. Gli eccessi caratterizzano le feste di partito che non hanno un nuovo messaggio politico da rilanciare!

Casini prima e Cesa poi hanno provato a dare un'anima ai loro continui distinguo dentro la Casa delle Libertà. Distinguo che altro non sono se non ripetuti tentativi di trovare uno spazio alternativo alla leadership (unitaria) di Silvio Berlusconi. Con la novità, che ha colto Casini all'appuntamento laziale, che il buon Pier ha finalmente compreso che tale leadership non si eredita e tantomeno si avvicina con le evocazioni. Da qui la voglia di fare la faccia feroce disegnando un partito che può andare avanti da solo e da solo diventare il polo del moderatismo italiano, smarcandosi dai "populisti" di Forza Italia e dalla destra storica di Fini lasciati al proprio destino...

In realtà semplice tattica o poco di più. Casini e Cesa hanno bisogno di recuperare dignità ad un partito e al suo leader che per troppi mesi ha fatto i capricci solo perché il papà (Berlusconi) non gli offriva il giocattolo preferito (la guida del centrodestra). Per questo hanno spiegato e sono pronti ad uscire dalla CdL, anzi che sono già fuori. Un necrologio annunciato? Non esattamente: è il polverone che accompagna la richiesta di nuove trattative, di un nuovo mercato partitico, di un nuovo modo di contarsi dentro il fronte moderato che Casini oggi pretende, scoprendo che è più utile ristabilire i pesi dell'azionariato interno che invocare il ruolo di presidente o amministratore delegato che non gli arriverà mai!

Cesa urla e Casini spera di trattare perché crede che sarebbe stupido in una fase come questa - con la maggioranza spaccata su questioni di sostanza come Telecom ha dimostrato - che il centrodestra vada avanti a ranghi divisi.

Prodi va colpito ora, in Parlamento se si può e nel Paese con la spiegazione esplicita di chi ha ispirato e perché il piano-Rovati grazie allo sforzo dell'intera Casa delle Libertà.

Berlusconi sa che Casini vorrebbe iniziare a muoversi nel Paese come se potesse essere il leader di domani e per questo prova, lanciando Cesa, a disegnare un partito ben più ambizioso e strutturato di quanto sia ora l'Udc. Motivo di più, anche per noi, per capire che in politica, assai più dei personalismi e delle personalità, contano le macchine organizzative che si hanno a disposizione. Se in passato tra Udc e Forza Italia non c'era paragone possibile né in termini quantitativi né in termini qualitativi, esistono oggi motivi nuovi perché sia la Casa Azzurra a compiere il suo più rivoluzionario salto in avanti. A costo di oltrepassare se stessa e creare le condizioni di accogliere al suo interno istanze e culture che altrimenti tendono a deviare. Una grande operazione che Berlusconi, se vuole, si può permettere. Altri no.

Vergogna/Di Pietro bacchetta il Papa!

Certo, con gente come Pecoraro Scanio, la competizione è dura. Ma ormai Antonio Di Pietro sembra aver conquistato stabilmente il podio di esternatore principe di questo governo. Parla di tutto e su tutto, interviene a gamba tesa su ogni argomento. Lo fa con gli stessi toni, con la stessa (im)proprietà grammaticale, con la stessa sicumera che esibiva nelle aule giudiziarie.

Con il Papa ha passato il segno. Lo ha accusato di "aver messo benzina sul fuoco", ha chiesto (esattamente come gli islamici) "che egli si scusi", si è addirittura avventurato sul terreno dottrinale, impartendo al Pontefice una lezioncina sul Vangelo, laddove "Gesù insegnava di porgere l'altra guancia e il primo esempio lo dovrebbe dare il Papa".

Sono parole che si commentano da sole e che non meriterebbero neppure una citazione, se non fosse che Di Pietro, per disgrazia nostra e degli italiani, non è uno qualunque. E' un ministro della Repubblica italiana che usa parole rozze e intollerabili contro un Capo di Stato, quello vaticano, che oltretutto è la guida spirituale di centinaia di milioni di credenti di tutto il mondo.

Non si dice qui che il Papa, le sue parole, le sue opinioni non possano essere oggetto di rilievi e di critiche. Si dice, più semplicemente, che parole tanto rozze e aggressive non possono uscire dalla bocca di un ministro. E che, se si fosse trattato di un altro capo di Stato (di quelli indisponibili, appunto, a porgere l'altra guancia), si sarebbe aperto un grave caso diplomatico, con tanto di convocazione degli ambasciatori.

Da quel che si sa, l'opinione del segretario di Stato vaticano ("qualche uomo politico italiano ha perso l'occasione per stare zitto") è ampiamente condivisa anche all'interno del centrosinistra. Ma la fragilità della coalizione, anche in presenza di un episodio tanto grave, spinge tutti a rispettare la consegna del silenzio. Prodi, da buon Don Abbondio, non fa eccezioni. Sarebbe un atto di eccessivo coraggio per lui, che ne possiede ben poco, richiamare Di Pietro al suo ruolo e ai suoi compiti. Eppure sarebbe suo dovere ricordargli, pubblicamente, che indossare la toga del pubblico ministero contro il Papa è incompatibile con la titolarità di un dicastero della Repubblica. Insomma, tra PM e ministro, c'è... conflitto di interessi.

   

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