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il Quaderno del 16 ottobre

Tasse/Le promesse tradite dalla sinistra

Berlusconi aveva profetizzato che, in caso di vittoria, l'Unione avrebbe alzato le tasse e Prodi aveva reagito definendo questo atteggiamento come "delinquenza politica". Il Cavaliere, che sa far di conto, aveva precisato: "Se vuole ridurre il cuneo fiscale di cinque punti, dovrà trovare dieci miliardi e dovrà mettere le mani nelle tasche degli italiani, aumentando le tasse ai ceti medi".

Previsione che trova puntuale conferma nella Finanziaria 2007 e sbugiarda tutte le promesse fatte dai leader della sinistra.

Romano Prodi: "Le tasse non le alzo, le abbasso" (Il Messaggero, 29 marzo).

D'Alema: "Vogliamo ridurre le tasse ma guai a criminalizzarle" (Repubblica, 1 aprile).

Piero Fassino: "Le tasse non saranno aumentate. L'abbiamo detto in tutti i modi. È falso" (La Stampa, 30 marzo).

Prodi: "Mi impegno a mantenere invariata la pressione fiscale" (maggio '06 al Senato).

In realtà con la finanziaria la pressione fiscale aumenta di circa due punti e sfiora il livello record del 43 percento raggiungendo quasi il livello massimo del '97 quando c'era la tassa per l'Europa.

Pierluigi Bersani: "Non abbiamo alcuna intenzione di toccare le aliquote dei titoli già in possesso dei risparmiatori. Né, sia chiaro, pensiamo di inasprire il trattamento fiscale. Non cercheremo i soldi dai risparmiatori. È dai grandi guadagni di Borsa che dovranno arrivare le risorse" (La Repubblica, 26 marzo).

Prodi: "Abbiamo messo nel programma l'imposizione sulle rendite finanziarie, ma non Bot e Cct" (Confronto Tv con Berlusconi il 3 aprile). "Noi non tasseremo Bot e Cct" (La Repubblica, 28 marzo) e in altra occasione precisa: "Portare la tassazione dal 12,5 percento al 20 percento è un obiettivo di lungo periodo".

Un periodo lungo appena sei mesi, perché con la finanziaria la tassazione del risparmio è stata armonizzata esattamente al 20 percento.

Prodi:" Noi siamo per una tassazione leggera, tutta dedicata allo sviluppo e al mantenimento dello stato sociale. L'Ici non sarà aumentata, semmai ridotta e la tassa di successione sarà reintrodotta solo per i ricchissimi, che sono appena qualche migliaio" (Corriere della Sera, 30 marzo).

Enrico Letta: "Il ripristino della tassa di successione riguarda pochi soggetti, 2 o 3mila persone in tutto il Paese. Non voglio fare cifre (…) ma è sicuro che sia gli immobili che le imprese resteranno fuori. Quindi, potrei dire: niente tassa di successione su casa e bottega" (Il Riformista, 31 marzo).

In realtà, il ritocco dell'Ici sarà un provvedimento che i sindaci, a seguito dei tagli subiti e nonostante il "contentino" ottenuto, saranno probabilmente costretti a fare anche dopo l'invito del governo a rivedere gli estimi catastali.

La tassa di successione, ribattezzata "dichiarazione di trasferimento a causa di morte", avrebbe dovuto riguardare solo i "grandissimi patrimoni, fortune nell'ordine di parecchi milioni di euro e quindi escludere l'appartamento di 80 mq in periferia". Invece, nella finanziaria, è quantificabile in una prima casa da 250mila euro, esattamente il prezzo di una casa in periferia di 80 mq.

Enrico Letta: "L'Ulivo ha proposto una gigantesca operazione di taglio delle tasse. Una famiglia con reddito imponibile di 20mila euro l'anno risparmierà 20 euro. Una famiglia con 60mila euro pagherà 20 euro" (Il Riformista 31 marzo).

Secondo una tabella elaborata dal Sole 24 ore, un lavoratore dipendente con moglie e due figli e un reddito di 20mila euro con la Finanziaria va a pagare 34 euro in più di tasse, se poi - a pari condizioni familiari - si tratta di un dipendente autonomo, l'importo da pagare in più è di 95 euro.

Prodi: "Dotare ogni bambino di un reddito che aiuta la famiglia fino al raggiungimento della maggiore età" (Questo dal programma dell'Unione, più nello specifico era previsto un assegno di 2.500 euro l'anno per tre anni per ogni neonato).

Naturalmente, a questo proposito la finanziaria non dice nulla. Su questo punto, Prodi e Compagni hanno perso la memoria. Su tutto il resto, la faccia.

Tasse/La vendetta sul Nord 'traditore'

Il governo Prodi compromette le possibilità di ripresa del sistema economico anche con l'inasprimento della "questione settentrionale". La parte più produttiva del Paese ha bisogno di fiducia, di maggiore libertà imprenditoriale e di infrastrutture, ma l'esecutivo guidato dal Professore le nega ogni opportunità. Più che una scelta politica, la posizione del governo è una vendetta, contro regioni e città che hanno l'unica colpa di non avere sostenuto col voto la risicata ascesa dell'Unione. Altro che unire l'Italia, lo spirito di fazione che anima i governanti scatenerà rancori sociali e ulteriori attriti fra Nord e Sud.

Criminalizzati i ceti produttivi

Il primo colpo ai ceti più dinamici del Settentrione viene vibrato con vero e proprio terrorismo politico e psicologico: i piccoli e medi imprenditori che hanno reso possibile ricostruzione, "miracolo" e benessere sono stati dipinti come evasori fiscali in servizio permanente effettivo. Anziché promuovere riforme e provvedimenti che - sulla scia di quanto fatto dal precedente governo di centrodestra - rendano più facile investire, far nascere aziende e raggiungere meglio i mercati, il governo attraverso Visco promette una nuova inquisizione tributaria, aggravamento di costi e lungaggini burocratici, controlli vessatori e paralizzanti. Piccoli e medi imprenditori, artigiani e professionisti non dovranno preoccuparsi tanto di migliorare prodotti e servizi quanto di pagare più tasse e spendere per le inevitabili controversie che verranno. La ripresa può attendere, le misure di ispirazione sovietica debbono essere avviate subito. Un segnale dell'aria che tira è dato dall'arroganza con cui Romano Prodi ha risposto alle legittime proteste di imprenditori e professionisti del Nord-Est.

Le infrastrutture negate

Ci si vendica del Nord politicamente ostile o troppo tiepido rallentando e riducendo il programma di grandi opere avviato dal governo Berlusconi per rimediare a decenni di ritardi e di errori strategici. L'esempio più clamoroso è quello della Tav. Il governo resta diviso sull'alta velocità, tutto è fermo. Si fa sempre più concreta l'ipotesi che l'Italia perda i fondi europei per la grande opera, ma soprattutto che il nostro Paese perda per sempre l'opportunità di collegarsi alle grandi correnti del traffico continentale. Senza contare che si rischia di buttare al vento decine di milioni di euro giù spesi per avviare l'alta velocità.

Tasse/Misure da "Stato di polizia"

Agenzia Ansa del 15 ottobre 2006

Roma, 15 ott - Misure da "stato di polizia fiscale" e una contrapposizione tra contribuenti "buoni" e "cattivi" che potrebbero causare anche "devastanti" problemi di ordine pubblico: è la convinzione del vicecoordinatore di Forza Italia, Fabrizio Cicchitto, rispetto alle iniziative anti-evasione del viceministro Vincenzo Visco. "In questi ultimi giorni - premette - c'è stata una massiccia manovra per deviare l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti devastanti che avrà la Finanziaria".

"Il viceministro Visco intende presentarsi come il paladino della lotta all'evasione fiscale. Per farlo non ha esitato a criminalizzare intere categorie che rappresentano l'ossatura dell'economia italiana, dando dati che significano molto poco. Secondo Visco i commercianti, gli artigiani, i professionisti sono i nuovi 'kulaki' (i contadini ricchi delle campagne russe) che furono criminalizzati e distrutti nel corso della Rivoluzione sovietica.

"Quello che lui ha fatto in questi giorni è tratto dall'armamentario più pericoloso dell'estremismo e può avere conseguenze devastanti anche sul terreno dell'ordine pubblico perchè si tratta del tentativo scientifico di spaccare la nostra società in una contrapposizione frontale dello Stato e dei 'buoni' contro professioni e ceti sociali 'cattivi"'. "Per di più, con il pretesto della lotta all'evasione, Visco sta costruendo uno stato di polizia fiscale che renderà praticamente inutile o marginale l'uso della moneta con una pazzesca burocratizzazione della nostra economia, dei nostri scambi e con un enorme favore fatto solo al sistema bancario. "Nessuno deve dimenticare che Visco aumenta la pressione fiscale di circa 2 punti, che la sua insipienza tecnica è dimostrata dal decreto Iva sugli immobili, mentre tra gli artifici a cui ricorre c'è anche la grottesca imposta di registro sulla morte, che reintroduce sotto mentite spoglie la tassazione sulle successioni".

"Ma laddove Visco e Padoa Schioppa danno il meglio di loro stessi è nello scippo del Tfr fatto a imprese e a lavoratori. Si tratta di una vera statalizzazione di 5 miliardi di risorse, di una sorta di prestito forzoso che lavoratori e imprese sono costretti a fare allo Stato. Visto che c'è questo bisogno estremo di risorse e che l'unico taglio alla spesa pubblica fatto da Padoa Schioppa e Visco è quello riguardante la sicurezza, lo sfidiamo - conclude Cicchitto - ad eliminare i privilegi fiscali di cui indebitamente godono le cooperative".

Tasse/La previdenza della discordia

Corrono ai ripari, mettono una toppa e si crea un nuovo buco, chiudono un fronte e se ne apre un altro come nel caso dello scippo del Tfr: Padoa Schioppa annuncia che è vicina l'intesa con Confindustria, ma si ritrova un'altra gatta da pelare. La Cisl non ci sta, il suo segretario Bonanni chiede il ritiro del provvedimento e annuncia: "Useremo tutti i mezzi, dal confronto in Parlamento alla piazza".

Emerge così la rabbia (che è anche della Uil) per l'asse privilegiato tra il governo e la Cgil, il cui segretario Epifani viene accusato da Bonanni di essere il "suggeritore sociale" di Padoa Schioppa e, se ne deduce, di aver dato il suo sostanziale consenso all'operazione.

Ma quel che colpisce di più è l'incredibile faccia tosta del ministro dell'Economia, che in Assolombarda ha testualmente dichiarato:"L'operazione contribuirà in maniera determinante a far decollare la previdenza integrativa. Mi auguro che la totalità del flusso futuro del Tfr sia destinata ai fondi pensione e la misura lo favorisce".

In realtà è l'esatto contrario. Il governo sottrae cinque miliardi proprio alla previdenza integrativa, perché in forza della legge la massa di inoptato è destinata ai fondi chiusi. Così accade che il governo non è interessato al decollo della previdenza, ma piuttosto al suo mancato decollo.

Quanti più lavoratori scelgono, tanti meno soldi finiscono nel bottino dello scippo governativo. Padoa Schioppa in realtà scommette sul fallimento della previdenza integrativa per motivi di cassa. E ha il coraggio di raccontare tutta un'altra storia.

Arroganza/Prodi: evasore chi protesta

Non è il discorso di un uomo forte e sicuro di sé, quello che Prodi sottoscrive sotto forma di intervista a "El Pais". È piuttosto, il discorso di un uomo che si sente braccato, che ce l'ha con tutti, coi poteri forti, e soprattutto con la stampa che, dopo aver contribuito a portarlo a palazzo Chigi adesso gli rema contro, tanto da indurlo a lamentarsi che "lavorare contro i mezzi di comunicazione è per noi un problema molto serio".

Un altro aspetto singolare dell'intervista di Prodi è quello che riguarda la legge finanziaria, e la politica fiscale del governo. L'inquilino di Palazzo Chigi compie una vera e propria opera di criminalizzazione laddove, ed è la sostanza del suo discorso, identifica le critiche all'aumento delle tasse, con la evasione fiscale anzi con la difesa dell'evasione stessa.

Testualmente, Prodi afferma che "in realtà, le categorie professionali che manifestano, protestano contro il pagamento delle tasse". Conclude che per lui "non cambierebbe niente anche se scendessero in piazza a milioni". E passa a fare elenchi precisi. Gli ingegneri, gli avvocati, e tutti gli altri che manifestano si oppongono a una "contabilità chiara che consenta di pagare le imposte che corrispondono ai propri guadagni".

In tal modo si demonizza, degradandola a evasione, cioè a reato, la logica che da sempre presiede alla dialettica democratica: mettere in discussione non certo l'obbligo di pagare le tasse, ma il quanto, la distribuzione del carico complessivo e l'uso che lo Stato, servitore e non padrone dei cittadini, fa del danaro chiesto ai contribuenti. Fu questa, nei paesi occidentali, la prima conquista dei Parlamenti nei confronti del sovrano.

Arroganza/Prodi: non mi criticate!

Se colui che i giornali principali (Corriere della Sera, Repubblica, Sole 24 ore e Stampa) non più di quattro mesi fa dipingevano come il salvatore dell'Italia, il liberatore dal giogo berlusconiano, adesso viene trattato con spirito critico, ma non certo con ostilità, come invece sostiene l'interessato, evidentemente un motivo ci sarà.

Romano Prodi non può prendersela con la stampa se viene attaccato insieme con il suo governo. Non può prendersela perché la stampa era tutta con lui, tifava per lui, gli tirava la volata, cercava di far cadere l'avversario ad ogni curva, anche imbrogliando o falsificando la realtà. Oggi l'opinione pubblica sta cambiando radicalmente e in modo inaspettatamente rapido e il Professore, invece di riflettere sui motivi, invece di fare un minimo di autocritica passa al contrattacco. E si cimenta nello sport che egli stesso contestava a Berlusconi. "Ce l'hanno tutti con me", piange il premier, che, evidentemente, giudica il diritto di critica uno sport da praticare solo nei confronti del leader di Forza Italia. Nella passata legislatura, secondo il Professore, attaccare Berlusconi significava esercitare la libertà di stampa, pungolare il manovratore. Oggi che il manovratore è lui, guai a chi dice una parola men che positiva. Ieri per certi giornalisti fare le pulci al governo Berlusconi era un punto d'onore, una medaglia al petto, oggi criticare il governo Prodi rappresenta un ingiusto e ingiustificato attacco a palazzo Chigi. Insomma, il premier detta la "nota" ai giornali, ordina ciò che devono scrivere:

Dopo aver occupato tutto senza un minimo di vergogna, Prodi sembra ben deciso ad occupare anche le redazioni dei giornali. Ma nessuno userà l'unica parola adatta per descrivere questo suo comportamento: censura. Prodi vuole la censura. Se fosse per lui ordinerebbe cosa scrivere e come scriverlo, cosa tacere. Non è un caso che egli citi l'unico giornale che l'ha rispettato: L'Unità. E Padellaro oggi lo ringrazia continuando a difenderlo. Arrivando perfino a sostenere che mentre Berlusconi si lamentava a torto, perché per di più possiede i mezzi d'informazione, Prodi si lamenta per fatti specifici senza possedere alcunché. Una precisazione è d'obbligo: pur possedendo mezzi d'informazione, Berlusconi è stato ed è sistematicamente attaccato. Questo significa che ha garantito la più totale libertà d'informazione, assicurando perciò campo libero a chi non lo ha mai amato e l'ha sempre dimostrato. Prodi ha invece sempre goduto di ottima stampa. Se adesso qualche autorevole giornale gli sta voltando le spalle forse è perché nel buon lavoro di questo sciagurato governo crede solo e soltanto lui.

Noi/Attacchiamoli: come, dove e perché

Il Quirinale è in rotta di collisione con il centrodestra. La linea sembra la stessa da Scalfaro a Ciampi a Napolitano: cambiano però i modi e gli stili. Scalfaro attaccava frontalmente e non nascondeva la sua antipatia per Berlusconi e il Polo. Ciampi lavorava ai fianchi, esprimeva linee parallele sulla politica estera, sull'economia, sulle principali questioni sociali, correggendo il Governo. Napolitano procede in modo obliquo e non sistematico, scegliendo i temi su cui agire per provocare una reazione del centrodestra.

Sulla riforma delle Telecomunicazioni, essendo la maggioranza di sinistra a decidere, non c'era nessun bisogno oggettivo di intervenire, ma infastidiva la relativa moderazione della CdL: per questo è scattata la provocazione con trappola.

Napolitano ha ricordato il messaggio di Ciampi del 2002 sulla libertà e pluralità dell'informazione. Il centrodestra lo ha criticato, offrendogli l'opportunità di una replica formalmente ineccepibile, ma consentendo alla sinistra di accusare Berlusconi di volere difendere i propri interessi aziendali.

Invece di cadere in questi trabocchetti, forse sarebbe più utile che la Casa delle Libertà concentrasse i suoi attacchi su temi come la questione dei rifiuti a Napoli e in Campania. Qui il centrodestra ha l'occasione di mettere sotto accusa tutti: Stato (che deve tutelare la salute), Regione, Provincia, Comuni.

Non sarebbe male che qualche leader dell'opposizione si recasse in Campania per portare solidarietà ai napoletani e ai campani in genere e sostenere che il Governo centrale e i governi locali non hanno il diritto, con la Finanziaria, di aumentare la pressione fiscale quando permettono un tale degrado: meno feste, meno assunzioni di comodo, più controlli e più lavoro.

Bisognerebbe verificare se tv estere hanno trasmesso servizi su Napoli, con conseguenze deleterie per l'immagine dell'Italia e per il turismo, che saranno aggravate se verrà ripristinata la tassa di soggiorno. In genere le reti della Rai hanno informato poco sull'emergenza rifiuti, che è cosa più grave del delitto di Cogne: questo è un altro sintomo del progressivo controllo sull'informazione messo in atto dalla sinistra.

La CdL dovrebbe farsi - oggi e sempre - paladina della qualità della vita e denunziare sistematicamente degrado, sprechi, inefficienze.

Tv/Respingere l'attacco del governo

Agenzia di stampa Adnkronos

"L'attacco da parte del governo alle reti Mediaset e Rai si basa su un assunto, quello della limitazione delle reti, che non ha alcun senso in un'economia di libero mercato e di democrazia". Lo dice Guido Crosetto, deputato di Forza Italia. "Nessuno di noi si permetterebbe di decidere con quanti stabilimenti la Fiat deve produrre macchine o la Barilla, o qualunque altra azienda. Invece, nel caso delle televisioni, il governo decide che tale attività possa essere svolta solo con due emittenti. Ma non è il governo che decide per legge quali sono i requisiti con cui un'azienda possa stare sul mercato o produrre utili". Crosetto prosegue: "Le dimensioni di un'azienda si costruiscono nel tempo, in modo da consentire ad essa di sopravvivere, produrre utili, generare ricchezza e lavoro. Se il governo, invece, si intromette nelle scelte strategiche di qualunque azienda vincolandone la libertà di intrapresa, rischia soltanto di minare la solidità dell'azienda stessa. Non si può pensare pertanto, per motivi esclusivamente politici, di distruggere una realtà economica importante per il Paese, dopo che un referendum popolare di tanti anni fa aveva già fatto esprimere agli italiani il loro parere sulle reti Mediaset e per analogia sulla Rai", conclude l'esponente azzurro.

   

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