La Federazione della libertà sarà il nuovo soggetto politico scaturito dalla grande adunata di popolo del 2 dicembre a Roma. Un popolo unito esige una rappresentanza unitaria, e sta per ottenerla. Sarà la forma unitaria possibile tra partiti che hanno storie diverse, ma un elettorato comune.
Alla lunga, è la propria comunità di riferimento tra i cittadini elettori che detta la linea. E non c'è dubbio che da piazza San Giovanni sia venuta una pressante richiesta alla politica perché l'Italia europea, quella che vuole stare al passo con l'Occidente più libero e progredito, sia interpretata stabilmente da una grande forza di cambiamento. La Federazione della libertà è la risposta giusta a un'esigenza reale.
Sarà una Federazione dei tre partiti disposti da subito a fissare per le rispettive speranze il tracciato di un percorso comune. Una Federazione che non vuol essere un recinto chiuso ma, al contrario, aperto alle forze affini che legittimamente seguono raggi di speranza lungo percorsi diversi. Anche gli altri ex condomini della Casa delle Libertà finiranno per riconoscere presto che non c'è bisogno di spingersi verso l'ignoto, se tutto quel che cercano, e che i loro elettori vogliono, è già a portata di mano, tra gli amici di sempre.
Chi ha memoria, e ricorda l'inizio della storia, apprezzerà la disponibilità di An e Lega a legarsi più strettamente in un medesimo progetto politico. Non era fatale che andasse così. All'inizio, il peso del passato portava i partiti di Fini e di Bossi a fronteggiarsi con l'arme al piede, concedendo al senso della opportunità non più di un patto elettorale garantito da Berlusconi. Oggi il condizionamento del passato cede alle ragioni di un futuro già cominciato: il federalismo, come forma della politica più adatta all'esigenza di preservare democrazia e sviluppo nella realtà della "globalizzazione". Dove non ha più senso puntare sul gigantismo della fabbrica in funzione di mete di grandezza nazionale, secondo lo schema competitivo ancora dominante nel secolo scorso. Le nuove dimensioni dell'economia "reticolare" spingono i popoli a cercare nell'autogoverno il mezzo per rimanere padroni del proprio destino, salvaguardando nella diversità le ragioni ultime dell'unità nazionale. Non l'utopia secessionista, né l'anticaglia dello Stato centralista, ma la federazione è la forma della democrazia per il Duemila.
Non è un caso, se An sta per dotarsi di una struttura federale con l'elezione dal basso dei propri coordinatori regionali, e se tutt'e tre i partiti disponibili al progetto federativo sono già orientati ad affidare ad elezioni primarie su scala locale la scelta dei propri candidati alle prossime amministrative. Queste decisioni aprono la via alla Federazione che verrà. E che sarà destinata ad evolversi in un'autentica comunità di destino, col passaggio al partito unico.
E' un contributo importante alla funzionalità del sistema politico bipolare, in attesa che anche il centrosinistra trovi la nuova forma politica che sta faticosamente cercando. Quando il bipolarismo si sarà dato gambe per camminare, non avrà molto senso persistere nell'utopia nostalgica di una terza posizione, come ricerca di un paradiso perduto.
Il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, che ha definito la Federazione tra FI-An e Lega, un'alleanza "di destra e populista", ha preso un "forte abbaglio".
Così Paolo Bonaiuti, portavoce del Presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi replica al dirigente centrista. "Populisti noi? Sono forse populisti - si chiede Bonaiuti - due milioni di cittadini venuti da tutta Italia a Roma per quella che è stata una festa civile e serena più che una manifestazione? È forse populista più della metà degli italiani che oggi voterebbero Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega? È chiaro che Cesa parla 'pro domo sua': in parole povere - conclude Bonaiuti - ha preso un grosso abbaglio. Ma se e quando vorrà entrare nella federazione, sappia che troverà sempre porte aperte e mai critiche pretestuose".
Si può cambiare idea 348 volte? Si può cambiare idea ogni cinque ore? Si può, si può. La prima cifra, parimenti all'invidiabile record di autocorrezioni in sette mesi della gestione parlamentare della manovra finanziaria, è stata calcolata da un quotidiano economico. Prodi l'aveva detto: stupiremo gli italiani. Detto e fatto, risultato raggiunto.
Il governo della sinistra corre un'olimpiade tutta sua, alla rovescia, e conquista sempre e comunque il podio, in tutte le discipline. Aveva cominciato con il record delle poltrone, tra ministri e sottosegretari. Sono seguiti, strada facendo, il record nel crollo dei consensi, meno 30% dal suo insediamento; il record delle tasse, 67 tra nuove e maggiori; quello del numero di categorie scese in piazza per protestare; da ultimo, il record dei commi, oltre 1400, del maxi-emendamento affidato allo strumento della fiducia parlamentare.
C'era una volta la finanziaria presentata al Capo dello Stato, ora non c'è più. Da fine settembre a oggi non c'è un solo provvedimento, un solo comma che si sia scampato alle modifiche, spesso sostanziali, promosse dalla stessa maggioranza. In tutto un migliaio (altro record). Abbiamo assistito a un grottesco balletto di emendamenti, poi di emendamenti degli emendamenti e, non è un gioco di parole, a emendamenti di emendamenti già emendati.
Nulla è più come prima. Del cuneo fiscale i lavoratori non troveranno in busta paga un solo euro; il Tfr è stato scippato senza ombra di concertazione; la supertassa sui Suv è diventata un superbollo per undici milioni di automobilisti; la tassa di successione ha subito innumerevoli modifiche. E via dicendo. Hanno fatto tutto loro. E poi si lamentano dei fischi…!
«La legge finanziaria ha incrinato il rapporto del governo con il Paese. Adesso serve una significativa e sensibile correzione di rotta». Chi parla non è Silvio Berlusconi, ma Piero Fassino, cioè l'azionista di maggioranza di questo governo. E per essere più esplicito si rivolge a Romano Prodi e Tommaso Padoa Schioppa, aggiungendo: «senza un radicale mutamento degli indirizzi di politica economica e della finanza pubblica, l'Italia non ce la fa».
Sarà il clima precongressuale che si respira in casa Ds, saranno i sondaggi sulla perdita di consenso, saranno i due milioni di San Giovanni, ma Fassino suona la campanella dell'ultimo giro per Romano Prodi. E lo fa con un linguaggio ed una tecnica che ricorda da vicino quella utilizzata da Bettino Craxi per far cadere il governo di centro sinistra: «si sbaglia anche all'unanimità», disse quando decise che De Mita era arrivato al capolinea. Ed anche quella volta l'attacco dell'alleato al governo arrivò mentre il Parlamento stava discutendo la legge finanziaria (per memoria: quel «si sbaglia all'unanimità» Craxi lo disse riferito all'introduzione dei ticket sanitari, decisi dal consiglio di gabinetto, nel quale sedeva Gianni de Michelis).
Fassino insiste sulla "fase due": termine che fa venire l'orticaria a Prodi. «Non c'è bisogno di nessuna fase due – disse il premier nella conferenza stampa di Villa Pamphili – La nostra fase due è la finanziaria ed il Dpef».
Il segretario dei Ds non è della stessa idea. «Per salvarsi dalla decadenda e dal declino, l'Italia ha bisogno di riforme incisive e profonde all'insegna del primato dell'interesse generale». Le riforme che ha in mente «devono – secondo Fassino - segnare un cambio di passo. Rappresentare una forte innovazione e discontinuità per aggredire le fragilità strutturali del Paese».
Ovviamente, il segretario del Botteghino pensa alla riforma delle pensioni; tema che la sinistra estrema nemmeno vuol sentire accennare. E la cui mancanza porta Standard and Poor's a giudicare «inadeguata» la risposta del governo sulle riforme. L'assenza di interventi in finanziaria sul lato del contenimento della spesa – secondo l'agenzia di rating – non favorirà la riduzione del debito.
Una cinquantina di persone hanno fischiato il presidente del Consiglio Romano Prodi all'uscita dall'hotel Plaza in via del Corso a Roma, dove il premier era intervenuto con un discorso all'assemblea nazionale di Confartigianato.
Ad 'accoglierlo' in strada anche un gruppo di tassisti, che lo ha fortemente criticato per la liberalizzazione della categoria; il premier è salito in macchina e ha fatto ritorno a Palazzo Chigi.
Bonaiuti: Prodi è un tenore che ha fatto troppe stecche
"Dopo i fischi di Bologna anche quelli di Roma: il tenore Prodi ormai ha fatto troppe stecche". Così il portavoce di Silvio Berlusconi, Paolo Bonaiuti, commenta la contestazione subita questa mattina dal presidente del Consiglio a Roma.
Continua ad essere in calo, anche nell'ultimo mese, il trend della fiducia al governo. Nel sondaggio che l'Istituto Ipr Marketing ha effettuato per conto di Repubblica.it e che è on line sul sito del giornale (campione di mille elettori, rappresentativi per età, sesso ed area di residenza della popolazione italiana maggiorenne), si evidenzia che la fiducia nell'esecutivo nel suo complesso si abbassa di altri 5 punti rispetto al mese scorso, passando dal 43 al 38% (era il 63% a metà luglio). Più alta la fiducia nel presidente del Consiglio, 42%, che tuttavia diminuisce di 4 punti rispetto a novembre mentre a luglio era al 58%. Quanto ai ministri, crolla il consenso per il responsabile dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, che finisce ultimo da sedicesimo con il 36%. Al primo posto nella 'graduatoria' sulla fiducia resta il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, con il 66%, in crescita di due punti.
Per quanto riguarda Prodi, gli italiani che dicono di avere poca o nessuna fiducia nei suoi confronti sono il 52 per cento, contro il 42 per cento di chi dichiara di averne molta o abbastanza. I senza opinione sono il sei per cento. Il governo nel suo complesso perde cinque punti rispetto all'ultima rilevazione: passa dal 43 per cento di fiducia al 38. Rispetto a luglio, quando la fiducia era al 63 per cento, il calo è di 25 punti. Molto più numerosi gli italiani che dicono di non avere fiducia nell'esecutivo: sono il 58 per cento, tre punti in più rispetto a un mese fa. I senza opinione sono al 4 per cento.
Oggi la sfida politica e culturale più alta e più impegnativa, che non ha nulla a che fare con le tradizionali divisioni del passato, è quella che vede uniti laici e cattolici in difesa dei principi fondamentali della Costituzione in materia di famiglia e contro la cultura dell'individualismo libertario in nome di una diversa concezione della libertà.
E' proprio per questo che non si possono affrontare i temi dell'eutanasia, delle coppie di fatto, della fecondazione artificiale in maniera separata, senza tener conto che la disputa riguarda il significato che attribuiamo alla libertà.
Per la sinistra ormai la libertà è di fatto tutto ciò che estende il campo delle preferenze e della libertà individuale senza alcun limite. Per Forza Italia invece la libertà deve riguardare il concetto della responsabilità e, soprattutto, con il concetto del bene.
Anche in Italia la sinistra cerca di copiare le ricette sulla famiglia, che Zapatero ha messo in pratica in un altro Paese cattolico come la Spagna. Questa deriva laicista e anticlericale riporta indietro il confronto tra laici e cattolici avviato da tempo in Italia e rischia di aprire un'altra dura contrapposizione di cui non si sentiva il bisogno.
Forza Italia, in quanto partito che riunisce al proprio interno laici e cattolici, ha una particolare responsabilità nel tenere aperto questo confronto e di trovare un punto di equilibrio tra le ragioni degli uni e quelle degli altri.
Occorre perciò che all'appuntamento del prossimo gennaio, quando la maggioranza di governo presenterà il disegno di legge sulle coppie di fatto, Forza Italia e l'opposizione tutta abbiano la capacità di presentarsi con una posizione condivisa in positivo e non solo in negativo e contro.
Ora che i sondaggi danno Prodi e il suo sgangherato Governo in caduta libera e Berlusconi torna a far paura, la sinistra ha riacceso i motori e marcia, compatta, contro il Cavaliere.
Ogni uscita pubblica o privata dell'ex presidente del Consiglio si trasforma in una ghiotta occasione per gridare allo scandalo, per attaccare il centrodestra, per demonizzare l'avversario.
L'ultima è di ieri: Berlusconi, parlando a una cena di azzurri in Lombardia, ha raccontato di essere subissato di fax di cittadini stufi di pagare il canone per una Rai che, ogni giorno di più, è appiattita sulle posizioni del Governo. "Io come ex presidente del Consiglio – riferiscono le cronache – non posso dire niente. Ma qui vi dico che questa gente ha ragione".
Apriti cielo: in meno di pochi minuti la sinistra ha fatto partire la consueta raffica di katiuscia. Tra le tante dichiarazioni di "sdegno", vogliamo citare quella di Fabrizio Morri, capogruppo dell'Ulivo in commissione di vigilanza: "L'uomo che per cinque anni ha deciso chi può e chi non può lavorare nel servizio pubblico mentre restava proprietario di tre reti televisive private non riesce a sopportare che qualcuno dei "suoi" licenziati sia tornato o possa tornare a lavorare in Rai".
Abbiamo scelto queste parole perché ci consentono di ricordare che il male endemico della Rai non è la presenza in video dei Biagi e dei Santoro, dei Fazio e dei Ghezzi, dei Floris e dei Luttazzi (ammesso che torni). La malattia della Rai è molto, molto più profonda: è una metastasi che ha ormai attaccato tutti i centri nevralgici dell'Azienda, è l'esasperazione della politica, la gestione a senso unico di una Rai che dovrebbe essere pluralista e al di sopra delle parti.
Nella tanto discussa stagione berlusconiana non ci sono mai stati eccessi come quelli che registriamo in questi giorni. Adesso tutti i programmi, da quelli di intrattenimento a quelli più propriamente politici, sono infarciti di veleno e di odio contro gli avversari politici dell'attuale maggioranza (risicata) parlamentare.
Dal Tg1 all'ultimo dei talk show questi veleni si dipanano lungo le strutture aziendali creando all'interno di viale Mazzini un clima irrespirabile. Ogni "videata" viene confezionata tenendo conto dei risvolti politici; ogni format viene studiato per colpire i "nemici".
Certo, un consiglio di amministrazione che vede i membri della Casa delle Libertà sotto inchiesta (per la vicenda del Dg Meocci) non aiuta a superare questo drammatico momento. Ma qualcosa va fatto subito.
"Ancora una volta la sinistra trova comodo non capire cosa dice il presidente Berlusconi. Come può difendersi oltre la metà dei cittadini del Paese che vedono quelle trasmissioni, per esempio su Rai 3, dove vengono definiti come gente comprata e venduta e viene sempre e comunque insultata la Casa delle libertà mentre la sinistra è portata sugli scudi? Questo ha detto il presidente Berlusconi, nessun appello a non pagare il canone Rai".
A sostenerlo il capogruppo di Forza Italia in Commissione vigilanza Giorgio Lainati.
"E pensare - aggiunge - che il presidente Petruccioli e il direttore generale Cappon sono venuti in commissione vigilanza per affermare che la Rai è pluralista quando di pluralismo in viale Mazzini non c'è nulla. Basta vedere Anno zero, Blob e Che tempo che fa per convincersi".
"Consigliamo all'onorevole Castagnetti di evitare processi alle intenzioni nei confronti di chiunque e in particolare dell'ex Presidente del Consiglio e leader dell'opposizione".
Lo afferma Piero Testoni, responsabile dipartimento editoria di Forza Italia, rispondendo alle dichiarazioni dell'esponente della Margherita contro il presidente di Forza Italia.
"Se ha voglia di commentare indiscrezioni giornalistiche che riguardano la faziosità di un certo servizio pubblico pagato dai contribuenti italiani, abbia il buon gusto di informarsi", aggiunge Testoni. "Adesso che il prodismo è in caduta libera - conclude - nonostante il soccorso di una parte del giornalismo Rai, Castagnetti si vuole proporre per una trasmissione in seconda serata sull'essenza del berlusconismo? Da quando è diventato docente della materia?".
Il deputato di FI, Luigi Casero afferma: "Siamo alle solite: la sinistra manipola anche i pensieri degli avversari, nel tentativo maldestro di coprire i grandi errori commessi. E così mentre al Senato, dove puntualmente sono salvati dai senatori a vita, mettono l'ennesimo voto di fiducia sulla finanziaria per evitare il naufragio, allo stesso tempo tentano di spostare il tiro mediatico attaccando il leader dell'opposizione. Le dichiarazioni sulla Rai dei signori della sinistra sono assurde, patetiche e inopportune. Dopo aver occupato tutto quello che c'era da occupare in azienda, gli resta solo la scalata alla tv dei ragazzi, ma per fortuna quelli di oggi non si lasciano ingannare da inutili chimere ideologiche".
Angelino Alfano, coordinatore Forza Italia Regione Sicilia replica alla sinistra che accusa Berlusconi di invadere la Rai. "Dopo le recenti performance di Santoro, dopo la notizia del rientro in Rai di quella penna imparziale di Enzo Biagi, ci vuole un bel coraggio a dire che è Berlusconi ad invadere il campo della Rai. Se questa sinistra una volta per tutte si qualificasse per le cose che tenta di fare al governo piuttosto che per quelle che imputa all'opposizione, sarebbe finalmente credibile per l'opinione pubblica".
"Ci vuole il coraggio e la faccia tosta dell'onorevole Giulietti per parlare ancora del presunto editto bulgaro. Piuttosto non abbiamo mai sentito in questi mesi una mezza parola di scuse per l'editto dalemiano proclamato alla festa dell'Unità di Bologna il 4 settembre scorso, quando il ministro degli Esteri disse: 'Sulla Rai mi domando se non siamo stati troppo buoni, anziché occuparla ci siamo occupati di politica estera. Alla direzione del Tg1 c'è ancora Mimun, a quella del Tg2 c'è ancora Mazza, e così in tutti gli altri incarichi. È chiaro però che non può durare così all'infinito'".
Lo afferma Giorgio Lainati, capogruppo di Forza Italia in Commissione di Vigilanza Rai "Parole da comunista doc, queste di D'Alema, anche nella sfacciata sincerità - dice Lainati - che ha confermato la continuità storica dei comunisti che considerano la Rai una loro proprietà che deve essere occupata".