La manifestazione romana del 2 dicembre contro la Finanziaria richiede una straordinaria mobilitazione di Forza Italia. È giunto il momento, per un partito liberale di massa come il nostro, di mettere in campo tutta la sua macchina organizzativa per dimostrare che la piazza non è più una "riserva di caccia" solo della sinistra e dei sindacati. Spetta infatti soprattutto al partito di maggioranza relativa, saper convogliare in energia politica il diffuso malumore che si è prodotto spontaneamente nei ceti produttivi del Paese davanti al peggior governo della Repubblica e a una legge Finanziaria vendicativa e classista, che attraverso un'esosa leva fiscale mette a repentaglio la stessa sopravvivenza di tanti artigiani e commercianti, parte integrante del nostro elettorato.
Ci troviamo di fronte a un attacco senza precedenti ai cardini della democrazia da parte di una sinistra che ha ottenuto un'investitura popolare dimezzata e che nonostante questo prima ha occupato tutti i vertici istituzionali e ora sta letteralmente espropriando il Parlamento delle sue prerogative attraverso il ricorso sistematico al voto di fiducia. Parlare di "emergenza democratica" questa volta non è solo uno slogan, e Forza Italia, partito delle libertà, ha il dovere di scendere in piazza, insieme ai suoi alleati, per comunicare ad alta voce l'avviso di sfratto a un governo pericoloso e illiberale.
La manifestazione di piazza San Giovanni dovrà, con la sua imponenza, essere anche una ferma - e definitiva - risposta a chi nel centrodestra sta strumentalmente cercando di mettere in discussione la leadership del presidente Berlusconi, che è e resta l'unico insostituibile punto di riferimento per chi si oppone al "golpe di velluto rosso" che vuol trasformare l'Italia nel Paese dei Soviet e delle Coop.
Per tutti questi motivi è necessario lo strenuo impegno di tutti i parlamentari, i coordinatori e i consiglieri regionali perché la manifestazione di piazza San Giovanni si trasformi in un fatto epocale. Non possiamo permetterci di sbagliare, perché se l'iniziativa non riuscisse o riuscisse soltanto a metà, questo sarebbe il più grande favore che potremmo fare a Prodi e alla sinistra. L'unica vera garanzia di successo è la certezza del numero dei partecipanti, stabilito dalle forze politiche e dal comitato organizzativo in almeno 200.000 persone, che deve essere assicurato attraverso i pullman. La quota assegnata a Forza Italia è di 100.000 unità, il che significa che dobbiamo essere in grado di allestire almeno 2.000 pullman. Si tratta di un enorme sforzo finanziario per il partito, visto che, purtroppo, le sedi periferiche non hanno fondi, poiché sono due anni che, a causa della riduzione del costo delle tessere, i coordinamenti provinciali non ricevono finanziamenti.
"È integralmente falso il titolo riportato da Repubblica a pagina 8 in cui il presidente Berlusconi manifesterebbe l'intenzione di ‘svuotare' l'Udc. Altrettanto falsi e inventati di sana pianta sono i ‘virgolettati' attribuiti ancora a Berlusconi. Complimenti comunque alla Repubblica perché riesce a mettere insieme nello stesso articolo un finto patto di Berlusconi e l'Udc e, addirittura, un'apertura di Bossi a sinistra". Lo afferma Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi.
Su una notizia falsa è stata costruita una incredibile campagna di stampa, una bufera mediatica. In più le smentite rilanciate dalle agenzie poche ore dopo che scoppiasse il caso non hanno trovato alcun spazio nei giornali del giorno dopo.
È questo il senso della protesta di tutta la Casa delle Libertà sul caso riguardante l'8 per mille, i cui fondi secondo la denuncia del Fai, sarebbero stati destinati dal precedente governo non alla cultura ma al finanziamento della missione in Iraq.
In una conferenza stampa a Montecitorio, l'allora sottosegretario alla Presidenza Paolo Bonaiuti, assieme a tre ex-ministri, il leghista Roberto Maroni, Carlo Giovanardi (Udc) e Mario Landolfi (An) polemizzano vibratamente, minacciando anche il ricorso a vie legali, contro la stampa che avrebbe distorto gravemente una notizia a loro dire "falsa".
Particolarmente amareggiato Paolo Bonaiuti: "Nella scorsa legislatura abbiamo lavorato in modo strettamente bipartisan a un testo che lungi dal prevedere il carcere per i giornalisti rilanciava il valore fondamentale della smentita".
"Ora però di fronte a un'accusa tanto grave, quanto falsa, quella di aver distratto fondi non si pubblica una smentita: vuol dire che dobbiamo correggere qualcosa alla radice".
"Ricordo come un vecchio maestro di giornalismo, Angelo Rozzoni del Giorno diceva che una smentita deve essere sempre pubblicata e la sua misura non deve essere mai inferiore alla dimensione di una penna biro. Stavolta non c'era nemmeno una riga".
"Oggi voglio invece notare come correttamente il ‘Corriere' abbia registrato il nostro pensiero sulla questione del ‘broglio' elettorale, rilanciato ieri con un intervista a Deaglio. Tanto di cappello. Si tratta - conclude Bonaiuti - di un esempio di una correttezza che nel caso dell'8 per mille non c'è stata".
Per Giovanardi "è di un caso di disinformazione senza precedenti, si tratta di una virulenza calunniosa nei confronti del governo Berlusconi visto che nessuna delle smentite categoriche ha a trovato spazio nei quotidiani. Ci hanno chiamato truffatori, banditi".
"Ora però - aggiunge l'ex ministro centrista - cerchiamo soddisfazione dei torti ricevuti".
Anche Roberto Maroni (Lega Nord) parla di atto di "farabuttismo politico".
Mario Landolfi (An) infine ritiene "censurabile" che gli stessi giornali che hanno dato tanto spazio a una "notizia falsa" non abbiano "fatto cenno alcuno alla smentita del portavoce del governo dell'epoca".
Il valzer delle tasse continua senza soste e senza pudore. Il dato che caratterizza questa manovra, infatti, non è solamente l'entità dell'incremento fiscale, non è solamente la quantità di nuove tasse ma è il numero dei comparti economici e, conseguentemente, degli ambiti di vita del cittadino colpiti dai nuovi dazi. Dalla casa alla macchina, dalla vacanza alla persona fisica in quanto tale, dalle successioni alle donazioni, dai Comuni alle Associazioni, fino a pezzi di territorio del paese a cui viene chiesto di pagare un conto alto (il Sud). Il governo Prodi prosegue con astuzia, con tenacia e con sciagurata coerenza fino alle estreme conseguenze, la sua ricetta fiscale che, per esplicita ammissione di Padoa Schioppa, nel 2007 deprimerà ulteriormente le aspettative di crescita del Paese.
A questo punto ormai la sinistra ha descritto il rapporto tra il cittadino ed il Fisco come un gigantesco videogame in cui giocano 60 milioni di persone e che appare come una sorta di infinito "guardie e ladri" che si conclude quando il cittadino contribuente viene colpito dal Fisco dopo essere stato braccato. Ora tocca a noi dell'opposizione non fermarci. Andare avanti nell'opera di comunicazione meticolosa dei contenuti della Finanziaria. Occorre cioè che i cittadini sappiano con precisione specifica i balzelli che li colpiranno prima ancora che le loro tasche ne vengano afflitte. Da sabato due dicembre mancheranno tre settimane dall'approvazione definitiva della Finanziaria e sarà appena cominciata la partita decisiva, quella del Senato. Quelle sono le tre settimane dove ci giocheremo un pezzo del nostro futuro, e dovremo giocarle al meglio.
Di veramente pazzesco in questo Paese c'è innanzitutto il modo in cui la peggiore finanziaria degli ultimi lustri viene fatta di giorno e disfatta di notte, con poste, voci e fondi che entrano, escono, si mostrano e scompaiono. Come nel gioco delle tre carte, dove l'abilità del truffaldino fa balenare una vincita che non c'è mai. Di qui un contenzioso continuo fra i membri del governo, con promesse e critiche, mentre i cosiddetti tecnici annaspano fra cifre e percorsi diversi alla ricerca della quadratura del cerchio. Che non c'è.
Grazie alla follia di questo metodo nessun serio problema viene risolto, viene soltanto rinviato e ogni giorno la finanza immaginaria di lorsignori escogita nuovi balzelli.
La questione del rinnovo del contratto degli statali era stata dichiarata chiusa dopo un incontro fra governo e sindacati. I soldi ci sono, s'è detto, gli aumenti retributivi scatteranno regolarmente. Ma pare che i soldi non ci siano; secondo la Ragioneria dello Stato soltanto dal 2008 potrebbero essere pagati gli aumenti stessi. Dopo l'annuncio dell'accordo i sindacati degli statali avevano revocato lo sciopero. Adesso sono molto inquieti: se la tesi della Ragioneria si rivelerà corretta - e tutto lascia credere che lo sia - la protesta dei dipendenti illusi non tarderà.
Messo sotto accusa dal premio Nobel Rita Levi Montalcini e dall'assemblea dei rettori per aver tagliato i fondi alla ricerca e all'Università, il governo ha fatto un altro giro di valzer e ha messo sul tavolo un po' più di 170 milioni di euro. Giubilo, retorica a gogò: i nostri cervelli non dovranno più emigrare. Ma il ministro Mussi ha svelato il trucco: quei fondi non sono aggiuntivi, sono esattamente quelli che figuravano nella prima stesura della finanziaria, successivamente scomparsi proprio per il gioco delle tre carte. Un pasticcio. I soliti tecnici cercano coperture che non s'intravedono, anche perché i "fondi a pioggia", promessi per accaparrarsi qualche voto, hanno assorbito parecchie risorse.
Ai Comuni che per i minori trasferimenti dallo Stato faticheranno a garantire i servizi, il governo ha fornito soltanto vaghe e generiche promesse, interventi marginali. Ma in compenso trasferisce ai sindaci il potere di aumentare le tasse, facendo lievitare l'addizionale sull'Irpef. In tal modo gli amministratori locali avranno il privilegio di essere accomunati, nella disistima dei cittadini, ai rapaci governanti nazionali. E i cittadini pagheranno carissimo, e in anticipo, il diritto di critica.
Poiché i tecnici incaricati di scovare nuove tasse non hanno una fantasia illimitata, si torna a colpire gli automobilisti. Per il 90 per cento di loro aumenterà il bollo, ma non basta: con la finanziaria costerà di più rinnovare la patente o chiederne un duplicato, immatricolare e revisionare un veicolo. Una stangata dietro l'altra, che colpirà ovviamente anche moto e motorini.
L'industria automobilistica italiana è in ripresa, ma all'assemblea dell'associazioni delle aziende automobilistiche è stato sottolineato che questo bombardamento di tasse e rincari potrebbe deprimere il mercato.
C'è un altro settore importante per l'economia italiana, quello delle industrie farmaceutiche. Questa manovra le penalizza, scarica su di loro anche le inefficienze di Regioni che spendono male, le considera con sospetto e pregiudiziale avversione. Al convegno di Farmindustria a Milano, i rappresentanti di questo settore produttivo hanno sottolineato il ruolo fondamentale svolto dalle loro aziende nella ricerca, aggiungendo che se l'attuale governo proseguirà su questa linea di preconcetto contrasto, molti imprenditori potrebbero essere tentati di trasferire le loro aziende all'estero.
L'ultimo sondaggio di Mannheimer pubblicato oggi sul Corriere della Sera registra un fatto ormai noto: la caduta verticale della fiducia nel governo Prodi, in particolare nell'area di centrosinistra e, quel che più conta, tra gli elettori più consapevoli (fascia di età compresa fra i 35 e i 54 anni) e più istruiti (media superiore, laurea e post-laurea).
I giudizi positivi sull'attività di governo sono scesi dal 39% di giugno al 32% mentre i giudizi negativi sono saliti dal 41% al 63%.
In pratica questi spostamenti sono prodotti dalla drastica riduzione della percentuale dei "non so", scesa dal 20% al 5%.
Chi era in attesa, alla prova dei fatti, dà un giudizio negativo.
Da notare, inoltre, che rispetto alle aree geografiche, la caduta di fiducia nel governo è massima nel Centro con un - 17%, seguono in Nord-Est con il - 13%, il Nord-Ovest con il - 5% e il Sud con il - 4%.
Commenta Mannheimer: "Di fronte a questo stato di cose, lamentarsi della stoltezza degli italiani pare servire a poco".
In realtà Prodi cerca consapevolmente diversivi dalla Finanziaria per la quale applica la tattica del "divide et impera", sgranando il gruppo dei questuanti e dando a ciascuno qualcosa.
Per ultimo, allo scopo di buoni i radicali, ha concesso il raddoppio della quantità di droga consentita per uso personale!
Fallita la "bufala totale" dello spionaggio fiscale ai danni di Romano Prodi, che la sinistra aveva cavalcato per mettere sotto accusa la destra, adesso è partita l'operazione "brogli" elettorali secondo cui, con un programma informatico, le schede bianche si sarebbero tradotte in voti per Forza Italia alle ultime elezioni politiche.
La prima operazione è stata smontata facilmente quando si è visto che gli spioni delle dichiarazioni dei redditi guardavano un po' tutti i personaggi famosi.
La seconda operazione dovrebbe smontarsi altrettanto facilmente e forse con ripercussioni drammatiche proprio per la sinistra. Infatti:
Si sostiene che i sondaggi davano a Forza Italia una previsione di voti in percentuale più bassa di quella che avrebbe avuto, e precisamente proporzionale a meno 1,2 milioni di voti, proprio il calo delle schede bianche.
In realtà i sondaggi hanno sbagliato anche sul secondo partito, quello dei Ds, finito con molti meno voti del previsto. Infatti ai Ds veniva attribuito il 20-21% dei voti e ne ha ottenuti il 17,5%. Forse un programma informatico li ha cancellati?
Proprio il calo dei Ds autorizza a pensare che se brogli ci sono stati, questi sono avvenuti a favore della sinistra.
In realtà i sondaggi erano artefatti e manipolati, in particolare sulla prospettiva dei Ds. La prova consiste nel fatto che, come rilevò subito Luigi Crespi, anche gli exit poll davano i Ds sopra il 20%.
E qui torna in ballo l'anomalia della Campania, da dodici anni controllata dai Ds e dove alla fine la sinistra ha vinto al Senato con il 49,6% contro il 49,1%: 15.771 voti di differenza, ma bastanti per ottenere quattro senatori e quindi la maggioranza in Senato, lasciando da parte il voto estero.
Inoltre in Campania il calo delle schede bianche è stato del 76% contro la media nazionale del 60%.
Solo nella metà delle 5.736 sezioni della Campania erano presenti rappresentanti di lista della CdL: sarebbe stato sufficiente attribuire tre schede per ogni sezione alla sinistra per avere questo risultato. E a livello nazionale, su 60 mila sezioni, sarebbe bastato manipolare una scheda su tre.
In Campania si potrebbero forse trovare testimoni dei brogli perpetrati dalla sinistra, ribaltando in tal modo quest'ultima "bufala" messa in giro per colpire Berlusconi.
E meno male che era Berlusconi! Lui - il despota, il Cavaliere Nero, il Mago delle televisioni - che voleva il piccolo schermo tutto per sé, i giornalisti proni al suo volere, le lunghe interviste-monologhi, le telecamere piazzate in modo da mettere in risalto il sorriso…
Appena Romano Prodi ha conquistato il potere (sic!) e si è trovato in mezzo alla prima bagarre politica (la Finanziaria) ha preteso un trattamento ben oltre quello che le televisioni pubbliche e private hanno riservato al Cavalire durante i cinque anni di Governo. Prodi e il suo portavoce, Sircana, hanno deciso di trattare direttamente con Murdoch e Sky Tg24, lasciando perdere le televisioni "nemiche" (?) del Cavaliere e dando uno schiaffo alle televisioni di mamma Rai.
Perché lo hanno fatto? Perché di Mediaset non si fidano e dalla Rai, hanno avuto (miracolo!) un netto rifiuto per realizzare interviste a una voce sola (quella del premier) senza contradditorio.
Nel giro di un paio di mesi Prodi ha ignorato la Rai prima portando con sé in Libia le telecamere e l'inviato di Sky, poi - notizia di ieri - rilasciando una lunga intervista (venti minuti) alla stessa emittente satellitare.
Sircana ha fatto circolare la voce che l'intervista era stata chiesta dal direttore di Sky Tg24, Emilio Carelli; ma la verità è che lui stesso - Sircana - ha organizzato il monologo televisivo del Professore, il quale per sua stessa ammissione ha bisogno di un tempo lungo: "sono un diesel" ha specificato per articolare un discorso.
Spiega Sircana: il premier non è un attore, non si abbassa a fare battute, cerca di spiegare i suoi concetti con frasi chiare e cristalline.
Peccato che appunto gli ci voglia mezz'ora e più per illustrare un concetto, un tempo biblico per la tv.
Comunque Prodi e il suo staff hanno fatto una scelta: utilizzare Sky per comunicare al Paese. Una scelta che ha un doppio scopo: schiaffeggiare le televisioni pubbliche e private e cercare di raggiungere televisivamente il pubblico giovane che, secondo le ultime rilevazioni, segue con attenzione i programmi di informazione di Sky.
Quello che resta inconcepibile è l'utilizzo che tanto Mediaset quanto la Rai hanno fatto ieri dell'intervista di Prodi alla concorrente emittente satellitare. Anziché ignorare quel monologo tutti i notiziari - clamoroso il Tg1 - hanno ripreso il sonoro e il video del Prrofessore costruendoci sopra i servizi di apertura dei più importanti notiziari.
E come se non bastasse anche questa mattina il Tg1 delle 8 ha ripetuto l'intervista.
Di solito, nel giornalismo, quando una notizia viene "bucata" si cerca o di ignorarla o comunque di minimizzarla. Questo hanno sempre insegnato i maestri di giornalismo; evidentemente Riotta deve aver frequentato scuole diverse dove si insegna che la ruffianeria vale più della professionalità.
"L'intervista di Prodi a Sky Tg 24 rappresenta la miglior propaganda possibile per noi dell'opposizione".
Lo afferma Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi, a margine di una conferenza stampa a Montecitorio.
"Il presidente del Consiglio - aggiunge Bonaiuti - ha occupato il video per venti minuti e oggi i giornali riportano solo il commento di Sircana. Francamente - conclude - non posso neanche immaginare cosa sarebbe successo se la stessa cosa l'avesse fatta Berlusconi...".
"Povero Sircana: che gli succede? Sta sottovalutando Prodi, che prova a fare le battute, conquista i titoli sui giornali, ma la gente ride o si spaventa. Basta pensare al suo ‘roba da matti' dalla Cina o al complimento ‘all'Italia impazzita' davanti alla sua finanziaria. E ora siamo al ragionamento che dura 20 minuti grazie all'ospitalità del Tg del signor Murdoch'': così il deputato di Forza Italia Piero Testoni, che aggiunge: "Un giornalista chiede a Sircana se un tale sproposito di tempo in un Tg non sia eccessivo... E il fido portavoce ammette che gli italiani si sono accorti che Prodi non è un battutista e non fa titolo con frasi ad effetto, dunque bisogna fargli fare un lungo ragionamento. Povero Sircana e poveri italiani che il titolo da Prodi se lo sono preso due giorni fa: un popolo impazzito! Fino a quando?''.
Il dinamismo in politica estera rivendicato da governo e del quale D'Alema si propone come protagonista è l'ennesimo bluff che non regge alla prova dei fatti.
L'ultimo esempio viene dal viaggio che in questi giorni il Ministro degli esteri ha effettuato a Kabul e poi la tappa cinese.
D'Alema ripropone il solito ritornello della sinistra che la soluzione dei problemi internazionali sta nel dialogo. In linea di principio indubbiamente non sono le armi, nel mondo in cui viviamo, che risolvono i problemi ed il negoziato. Il dialogo, appunto, e la possibilità di sedersi ad un tavolo e raggiungere un'intesa per quanto faticosa sia, resta l'opzione più valida. È questo in particolare il caso di Israele con i palestinesi. Appare evidente che gli israeliani, in questo caso, ed alla luce anche dell'ultima esperienza libanese, non sono in grado di imporre la soluzione militare. Anzi sono rimasti prigionieri della vittoria della guerra dei sei giorni del 1967.
La "road map" proposta dalla comunità internazionale, resta la via obbligata del resto rivendicata ripetutamente e con vigore dal governo Berlusconi. Il dislocamento di forze dell'ONU a Gaza, auspicato da D'Alema è, allo stato delle cose, fuori della realtà. Perché un a tale scelta non può che essere il punto di arrivo di un negoziato tra le due parti, israeliani e palestinesi, ancora ben lontano dall'avviarsi e che è, comunque, subordinato alla costituzione di un governo di unità nazionale tra Fatah e Hamas ,ancora non realizzato.
Ma è sull'Afghanistan che la diplomazia dell'effimero di questo governo balza in maniera evidente. Qual è la grande trovata di D'Alema? Convocare una conferenza internazionale ad hoc, nel presupposto che la strategia sinora impiegata dalla Nato, dall'Onu, e quindi dagli Stati Uniti, non è in grado di far fronte ad una situazione sempre più grave. Non ci sono soluzioni militari, aggiunge il Ministro degli Esteri. La conferenza dovrebbe servire a spianare la strada ad una soluzione politica che non si vede quale sia.
Il presupposto da cui parte D'Alema, è che il problema in cui si dibatte il paese, con un grave ritorno dei talebani che hanno dato vita ad un'attiva guerriglia nelle zone meridionali a popolazione pashtun, al confine con il Pakistan, possono essere risolti con il concorso dei paesi confinanti. Convocati per una conferenza apposita. Quali sono? A Nord le ex repubbliche sovietiche del Tagikistan, dell'Usbekistan e del Turkmenistan, ancora sotto influenza russa. Ad Ovest, l'Iran. Ad Est, per un tratto di frontiera minimo e montuoso (il saliente di Warkan), la Cina. A Sud il Pakistan.
Questi paesi effettivamente hanno la chiave della pace in Afghanistan? Si potrebbe rispondere sì a questo interrogativo, se fosse scontato un loro attivismo volto a destabilizzare il paese. Ma questo non risulta, fermo restando l'ovvio gioco di interessi geopolitici locali. Fa eccezione il Pakistan che costituisce un caso tutto a parte.
Le ex repubbliche sovietiche fronteggiano anch'esse la spinta dell'integralismo musulmano che preoccupa anche la Russia. Non va dimenticato che proprio Mosca, servendosi delle sue ex repubbliche, ha reso possibile, armando l'Alleanza del Nord del defunto Massud, la vittoria contro i Talebani della coalizione internazionale, capeggiata dall'America. La Cina condivide, a sua volta, le preoccupazioni russe sul terrorismo islamico.
L'Iran, poi, non può che essere grato agli Stati Uniti per avergli tolto di mezzo, oltre al nemico Saddam Hussein in Iraq, i Talebani a Kabul.
Da queste considerazioni si evince, intanto, che le aree di frontiere con l'insieme di questi paesi non sono teatro di una presenza integralista islamica tale da minacciare il governo di Kabul. C'è, invece, l'endemico problema dei signori della guerra e del traffico dell'oppio che, va ricordato, l'Iran combatte energicamente.
Allora il nodo sta nel Pakistan il cui governo, quello del generale Musharaff, è strettamente alleato degli Stati Uniti. È vero che l'area tribale di frontiera al confine con l'Afghanistan, che anche alla loro epoca imperiale gli inglesi non riuscirono mai completamente a controllare, rappresenta il "santuario" per i Talebani ed Al Qaida. Ed è, infatti, in quest'area che gli americani dell'Enduring Freedom e la Nato dell'Isaf sono sempre più coinvolti per fronteggiare il risorgere dei Talebani, favoriti da condizioni ambientali e complicità pakistane.
Considerando che Mushraff, per Al Qaida un nemico da eliminare, perché al servizio degli americani, appare evidente che la questione non sta nel governo, ma nella situazione generale di deriva islamista del paese, della complicità di settori dell'l'intelligence pakistana con i Talebani, loro vecchi alleati e più generalmente dalla difficoltà di controllare l'area tribale. Quindi a che cosa serve una conferenza internazionale, quando l'unico paese che dovrebbe collaborare contro i Talebani è il Pakistan sul quale solo gli Stati Uniti hanno una capacità, difficile, come vediamo, di agire?
La conferenza di D'Alema è solo una sortita demagogica a buon mercato. Non serve a nulla. Karzai la sottoscrive, ovviamente, perché spera che i paesi donatori, che nell'ultima conferenza di Londra non hanno mostrato grande volontà decisionale, mantengano gli impegni di finanziamento. Ma certo non crede che siano in grado di neutralizzare i Talebani e di indurre Bin Laden, o chi per lui, a porre fine al terrorismo.
Che significa, poi, ripensare la missione? Creare le premesse per quel disimpegno militare che la sinistra radicale con rinnovata insistenza va chiedendo. Il ruolo del Isaf, infatti, è duplice: quello militare con la Nato che è passata dall'assistenza alle forze armate afghane ad un diretto coinvolgimento nelle operazioni militari; quello politico attraverso programmi di assistenza tecnica, economica e sociale mirate alla ricostruzione. E se tali programmi faticano a dare risultati, la causa sta nella corruzione e nella disorganizzazione afghana. Che non si risolve, certo, con una conferenza internazionale.
Purtroppo, il primo problema per l'Afghanistan è militare: se non si stronca la guerriglia talebana, cioè il processo di irachizzazione del paese, le soluzioni politiche indispensabili sono difficilissime. Diciamo, quindi, che l'impegno politico non può prescindere o sostituire quello militare. Una conferenza internazionale, nella presente situazione, non serve a niente.
In conclusione, la sortita di D'Alema si rivela per quella ch'è: polvere negli occhi e fuga dalla realtà.
Dall'Afghanistan alla Cina, il MInistro degli Esteri, infine, ha detto che con la sua visita a Pechino, in occasione della quale ha rivendicato il suo passato di comunista di amico del PC cinese, intende "quagliare" in materia di affari. Il che vuol dire che la mastodontica missione di Prodi non è servita a nulla e che tocca ora a D'Alema passare dalle costose esibizioni ai fatti. Da ricordare, che D'Alema che non ha partecipato al viaggio in Cina è stato molto polemico verso Prodi. In un loro incontro a New York per l'Onu, non si sono nemmeno rivolti la parola. Senza commenti.