Silvio Berlusconi è convinto che la manovra finanziaria alla fine passerà poiché "la colla del potere unisce la sinistra che tuttavia resta divisa su tutto il resto". "Penso che la sinistra si coagulerà" ha detto il presidente di Forza Italia rispondendo ad una domanda sul futuro della manovra poco prima di recarsi ad un pranzo con i senatori del suo partito.
"La non approvazione della finanziaria - ha aggiunto - sarebbe troppo grave". "Credo che la colla che unisce questi sette partiti della sinistra, che sono divisi su tutto, sia quella di restare al potere", ha ribadito l'ex premier.
"Per questo - ha proseguito - sono sicuro che troveranno i numeri per approvare questa manovra". Il Cavaliere ha detto infine di non credere più ad un intervento dei moderati del centrosinistra contro la legge di bilancio.
"In certe occasioni ho detto che si poteva contare sui moderati - ha sottolineato - ma in occasione della finanziaria sarebbe un de profundis per la maggioranza, e non credo che lo vorranno suonare".
"Una volta avevo anch'io un cavallo che non era sempre al top: glielo abbiamo chiesto tante volte di cambiare il passo, ma quando il cavallo non ce l'ha...". Così Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia, ha risposto ad una domanda sulle richieste da parte dei Ds di un cambio di passo da parte del governo.
Esprime solidarietà a Romano Prodi, ma non nasconde che lui, da premier, di fischi ne ha ricevuti molti di meno. Si dice convinto che l'Udc alla fine resterà nel centrodestra, ma non rinuncia a togliersi qualche sassolino dalle scarpe con Pier Ferdinando Casini, ribadendo tra l'altro che il leader dell'opposizione resta lui. Silvio Berlusconi coglie l'occasione della presentazione del libro di Bruno Vespa per fare il punto a 360 gradi su governo e centrodestra.
Le prime parole sono per il suo avversario politico, contestato nuovamente oggi. "Devo essere sincero: mi dispiace - osserva serio il Cavaliere - Prodi rappresenta le istituzioni e il governo di tutti gli italiani". Per Berlusconi, d'altronde, è normale che il leader dell'opposizione "goda di attenzioni amorose" e quello del governo no. Tuttavia, aggiunge, "i fischi per me furono sporadici, mentre ora succedono con continuità".
Il Cavaliere nega poi di aver mai creduto nella "spallata" al governo. "È un termine confezionato dai giornalisti o dall'altra parte politica", ha minimizzato, sottolineando di non ritenere "realistica" nemmeno l'ipotesi di un "tradimento" di qualche senatore dell'Unione.
L'esecutivo guidato da Prodi, osserva semmai, "imploderà su temi come pensioni e i Pacs", dove non c'è accordo fra le diverse anime della maggioranza.
L'ex premier affronta quindi il tema della riforma della legge elettorale. Definisce "pericolosa" l'idea di abbandonare il sistema bipolare, sottolineando che bisogna "semmai perfezionare l'attuale legge per non lasciare diritto di veto alle piccole forze politiche".
Inevitabile un passaggio sui centristi dell'Udc. Aderiranno alla federazione? "Aspettiamo di vedere cosa ritiene di fare Casini", risponde cauto il Cavaliere. Certo, aggiunge, "più che lasciare la porta aperta, la mano tesa e l'ingrassamento quotidiano del vitello, cosa possiamo fare?". Anche perché, Fini e Bossi, hanno aderito con "entusiasmo" al progetto.
In ogni caso, osserva, "il segretario Lorenzo Cesa mi ha confermato che l'Udc resta nel centrodestra e che andremo insieme alle elezioni amministrative". Così come "sono convinto che saremo uniti alle prossime politiche" visto che "non penso che Casini possa andare dall'altra parte".
Detto ciò, precisa l'ex premier, la questione della leadership non è in discussione. Certo, "sarei felicissimo di potermi riposare un po', ma ciò non sarà possibile fino a quando non ci sarà qualcuno in grado di tenere unita la coalizione e di ottenere il consenso degli elettori". Ecco perchè, alla domanda se sarà ancora lui il leader del centrodestra in caso di elezioni fra tre anni, Berlusconi risponde di non potersi "sottrarre alle responsabilità che gli elettori gli hanno addossato".
Il Cavaliere non si sottrae a nessuna domanda.
Massimo D'Alema? "Avversario, ma anche interlocutore".
Giorgio Napolitano? "Lo stimo" e starà attento al "giudizio degli italiani".
La legge Gentiloni sulle tv? I "galantuomini" in Parlamento non la faranno passare.
Il caso Welby? Vicenda "troppo dolorosa, non riesco a dare un giudizio". E, infine, la finanziaria: "Passerà, ma è pessima".
La colonna sonora di fischi e contestazioni che accompagna ad ogni apparizione in pubblico Romano Prodi e i suoi ministri è la prova provata di una perdita di consensi che non ha precedenti nella storia repubblicana. In sei mesi il premier solo e stizzoso e il suo esecutivo rissoso sono riusciti a precipitare nel baratro dell'impopolarità più netta e irrimediabile. Li ha aiutati in questa azione di auto-smascheramento una legge finanziaria impresentabile, punitiva e confusionaria – per almeno 348 volte premier e ministri hanno cambiato parere sui suoi contenuti – che ha unito, in un rifiuto corale, italiani di ogni condizione sociale e di ogni tendenza politica.
Per una singolare manifestazione della nemesi storica, oggi è un giornale amico, La Repubblica, a pubblicare un'indagine demoscopica che ha per il governo delle sinistre e il suo livoroso premier il valore di una pietra tombale.
L'inchiesta è quella condotta per il quotidiano romano dall'istituto Demos, il "Rapporto sugli italiani e lo Stato". Vi si analizzano gli orientamenti nei confronti delle istituzioni, a cominciare dal governo. E qui arriva la mazzata. Secondo l'indagine, il 41,1 per cento degli italiani considera il governo Prodi "molto peggiore o peggiore" del governo Berlusconi. Soltanto il 18,9 ritiene l'attuale esecutivo "molto migliore o migliore" di quello di centrodestra. Per la prima volta si valuta con un sondaggio, dunque, il confronto diretto – da misurare per credibilità e consensi – fra l'attuale presidente del consiglio e Silvio Berlusconi ed è proprio il leader del centrodestra che vince con un distacco di 22 punti.
Un altro elemento sul quale Prodi e la sua armata allo sbando dovrebbero riflettere è l'ampiezza della delusione fra coloro che alle ultime politiche hanno votato per l'Unione. Fra questi soltanto il 47,7 ritiene che l'attuale governo sia migliore del precedente, mentre il 13 per cento ritiene che sia peggiore.
Questi dati dovrebbero convincere il Professore che non è necessario tirare in ballo gli avversari politici quali mandanti delle contestazioni ai suoi danni: i fischiatori, Prodi può trovarli senza sforzo in casa. Sempre che voglia vederli e ascoltarli.
Altri spunti interessanti del Rapporto Demos riguardano la graduatoria della fiducia che gli italiani nutrono per istituzioni, enti, organizzazioni. Si segnala che fra il 2005 e il 2006, con la successione al Quirinale di Giorgio Napolitano a Carlo Azeglio Ciampi la fiducia nella Presidenza della Repubblica è scesa dall'80,1 per cento al 59,6.
Continua a calare, inoltre, la fiducia nella magistratura: l'anno scorso era al 43 per cento, quest'anno è al 41,8.
Sempre oggi La Repubblica offre ai suoi lettori il sondaggio mensile dell'Ipr, diffuso già ieri dalle agenzie di stampa. Quel che colpisce, nella perdita di consensi del governo, è la rapidità della progressione, della caduta. In un solo mese Romano Prodi ha perso quattro punti: coloro che hanno fiducia nel Professore in novembre erano il 46 per cento, oggi sono il 42; la percentuale di chi non ha fiducia in lui è salita dal 50 al 52.
Anche la credibilità del governo precipita: in un solo mese è scesa di 5 punti, dal 43 al 38 per cento.
Il problema della formazione del Partito della Libertà ha preso finalmente una giusta direzione di marcia.
Rispetto all'ipotesi di confluire in un nuovo partito, Alleanza Nazionale e la Lega Nord hanno risposto positivamente all'appello di Berlusconi di stipulare un patto federativo in vista della futura nascita del partito unitario che dovrebbe rappresentare gli elettori moderati e riformisti del centrodestra.
Si tratta di un annuncio importante e significativo da parte di due forze politiche che non appartengono alla famiglia del partito popolare europeo, ma che si dichiarano disponibili a dare vita ad una federazione che si ispiri ai valori e ai programmi del Ppe.
La federazione prende atto innanzitutto che il progetto del partito unitario della Libertà può realizzarsi attraverso tappe successive e non attraverso un'accelerazione che allontanerebbe piuttosto che avvicinare il traguardo finale.
I passaggi intermedi sono costituiti per l'appunto dalla nascita della federazione e dal coordinamento dei gruppi parlamentari e dall'unificazione dei gruppi consiliari a livello locale.
In questo modo la prospettiva del partito della Libertà non nasce dal centro per un disegno astratto ed elitario, bensì dal basso, da un processo autonomo e condiviso che coinvolga i militanti e la società civile in un grande ed appassionante progetto politico e ideale.
La federazione corrisponde anche ad un dato della realtà che non si può ignorare, e cioè le diverse tradizioni politiche che rivendicano un orgoglio di partito, un'organizzazione e una identità culturale difficilmente comprimibile nell'immediato.
In questa fase la pluralità di rappresentanze politiche può e deve coniugarsi con un processo di unificazione e di aggregazione politica che ha bisogno di tempo e di maturazione.
All'opposizione era e all'opposizione resta, anche se è uscito dalla Casa delle libertà per mettersi alla prova con una corsa solitaria. Pier Ferdinando Casini parla della sua scelta in una intervista al Magazine del Corsera. Se ha deciso di uscire dal gruppo, è stato perché convinto che convenga all'Udc proseguire in modi diversi la sua battaglia contro un "governo iniquo". Aveva una sua idea del modo migliore di continuare a servire l'interesse del proprio partito, e l'ha messa in pratica. Ma non passa dall'altra parte: l'etichetta di "voltagabbana" non gli appartiene.
Quel che cambia, per il nuovo Casini, non è l'avversario, che rimane il centrosinistra di Romano Prodi. Cambia il rapporto con gli ex condomini della CdL: oggi è più apertamente competitivo di quando non fosse nei tredici anni precedenti. Una questione d'interesse, appunto, e si sa che gli interessi, a differenza delle passioni, transigono sempre. Alla domanda: "Che cosa le mancherà di più di Berlusconi", Casini risponde: "Non siamo mica morti". Risposta che è una finestra spalancata sul futuribile.
L'intervista è percorsa dal senso di euforia che sempre prova chi si sente padrone del suo destino. Libero dai vincoli di coalizione. Ma il sentimento di amicizia maturato durante anni di esaltanti lotte comuni traspare attraverso un velo di affettuosa ironia. Casini ha l'esaltante certezza che il futuro gli appartenga, ma non è altrettanto persuaso della sua presa sul presente. Quando l'intervistatore vuol sapere se pensa che avrebbe vinto le elezioni, se il candidato premier fosse stato lui al posto di Berlusconi, non lo esclude: "Ma alla condizione che ci fosse stato un impegno forsennato di Berlusconi". Un omaggio esplicito al rapporto personale di fiducia tra gli elettori di centrodestra e Berlusconi.
E' evidente che la corsa solitaria di Casini ha il senso di una scommessa sulla fine del sistema politico incardinato su due schieramenti in competizione per il governo. Finché il bipolarismo è una realtà, la competizione dell'Udc nei confronti della coalizione di centrodestra trova un limite preciso nella necessità di far fronte comune alle elezioni.
Come si vedrà già in occasione delle amministrative di primavera.
L'Udc non andrà mai a sinistra, resterà nel centrodestra ma continuerà a distinguersi dagli altri partiti. Casini continua a difendere la sua linea a spada tratta e dice no alla federazione proposta da Berlusconi, un'operazione ritenuta troppo speculare al Partito democratico in gestazione nel centrosinistra, "con l'aggravante che non è nemmeno un partito". L'ex presidente della Camera sa bene che il suo strappo è già costato un discreto numero di consensi al suo partito, ma è convinto che gli elettori ora hanno già cominciato a capire, tanto che gli ultimissimi sondaggi segnano un lieve recupero.
Secondo Casini, il distacco dell'Udc dalla CdL dovrebbe servire a fare da sponda a tutti gli scontenti della Margherita che rifiuteranno l'approdo della fusione con la Quercia. Nel partito, però, le perplessità restano forti, e in molti sottolineano l'esigenza di chiarire meglio che l'uscita dalla Casa delle Libertà non significa automaticamente uno spostamento a sinistra. Ma l'Udc ha l'occasione concreta di dimostrare di non perseguire ribaltoni: le amministrative di primavera.
Su questo punto Casini è stato sufficientemente chiaro: "Le periferie saranno libere di decidere, ma con chi può dialogare l'Udc se non con il centrodestra?". Una scelta di campo incoraggiante, che non va lasciata cadere, perché le elezioni comunali saranno il primo vero banco di prova del governo, e in caso di una sua pesante sconfitta le ripercussioni sulla tenuta della maggioranza sarebbero inevitabili. Dunque, a livello locale il patto con l'Udc dovrà essere stretto come se nulla fosse accaduto, e dove sarà difficile trovare un accordo si potrà attivare lo strumento delle primarie, come ha ipotizzato proprio Casini.
La fase politica che si apre è delicatissima, perché da una parte c'è la Federazione del centrodestra da portare avanti in vista del partito unitario e per dare continuità alla manifestazione di piazza San Giovanni; e dall'altra bisogna in tutti i modi evitare che si ingrandisca il solco con l'Udc e impedire ulteriori lacerazioni politiche.
Divisioni che il vice di Casini, Tassone, tende a minimizzare dicendo: "L'Udc ha una sua posizione che stiamo portando avanti dalla nascita, che recupera la storia del Cdu, un partito di centro che raccolga le membra sparse della Democrazia Cristiana. Una posizione non certo nuova, che non è né contro Forza Italia né contro il suo leader. E' la linea decisa alla nascita dell'Udc e confermata al congresso".
In cinque anni di governo della Casa delle Libertà, la sinistra ha organizzato un numero impressionante di girotondi e manifestazioni di piazza seminando un odio viscerale contro Berlusconi, il quale, seppur contestato, non si è mai sognato di dire che gli italiani erano impazziti. Anzi, quando un ragazzo spinto dall'odio irrazionale che certi cattivi maestri gli avevano inculcato, lo ferì con un treppiede, il Presidente si adoperò subito per svelenire il clima telefonando alla sua famiglia.
L'attuale premier dovrebbe meditare non tanto sui fischi che lo sommergono ogni volta che esce da Palazzo Chigi, ma sulla rapidità con cui il suo governo ha dilapidato i consensi in appena sei mesi. Un fenomeno senza precedenti, che dimostra come sia relativamente facile mettere insieme un cartello elettorale contro Berlusconi, ma quanto sia poi difficile formare un governo decente solo sulla base dell'avversione ideologica e personale.
Quando protestano gli operai di Mirafiori, i giovani del Motorshow, i tassisti romani, e quando due milioni di persone scendono in piazza spontaneamente, significa che c'è un drammatico corto circuito tra il governo e il Paese, e che la vera causa delle protesta è il governo con i suoi errori.
Persino Fassino oggi ha affermato che il rapporto del Governo con il Paese è incrinato. E che cosa fa il Presidente del Consiglio in questa situazione? Insulta i suoi contestatori e la nazione che lo disapprova. Davvero un brutto spettacolo.
Se poi guardiamo a cosa sta accadendo con la Finanziaria, c'è proprio da piangere: Prodi ha posto un'altra fiducia, ma su una Finanziaria che non era ancora pronta a causa delle divisioni tra i partiti e tra gli stessi ministri.
Forse al premier servirebbe un fischietto da arbitro per mettere le cose a posto. Ma per il momento Prodi ha fischiato solo contro gli italiani e gli italiani hanno risposto.
Se una coppia, nel senso di un uomo e una donna, vuole accedere ai diritti e alle tutele previste per la famiglia, può sposarsi, civilmente o in Chiesa, secondo le proprie convinzioni. Chi sceglie di non sposarsi ha tutto il diritto di farlo, e la sua scelta è perfettamente lecita e va rispettata. Ma è una scelta per sua natura diversa dal matrimonio.
La questione di fondo è un'altra: si vuole stravolgere il significato stesso di famiglia, da un punto di vista sociale e civile. Le scelte morali, gli stili di vita, gli orientamenti sessuali di ciascuno, ai liberali, non interessano. Sono tutte lecite, fra adulti consenzienti. Ma la famiglia è un'altra cosa.
La Costituzione e le leggi assegnano alla famiglia una tutela particolare perché essa ha una precisa funzione sociale, richiede una stabilità nel tempo, è funzionale alla crescita dei figli ecc. Una famiglia, dal punto di vista sociale, non è semplicemente la scelta di due persone di abitare nello stesso luogo.
Istituti come i Pacs o sono inutili (esiste già il matrimonio civile, perché creare un'altra istituzione?) o si riferiscono alle coppie omosessuali che sono una legittima scelta di vita ma con la famiglia non hanno nulla a che vedere.
D'altronde quell'approccio porta a conseguenze assurde: se qualunque forma di convivenza dovesse essere tutelata dallo Stato, perché allora non ammettere anche la poligamia, come forse vorrebbero alcuni ambienti islamici?
L'accelerazione che una parte importante della maggioranza ha cercato di imprimere al riconoscimento dei diritti alle coppie di fatto, etero e omosessuali, è stata bloccata grazie alla dura opposizione del centrodestra, alla mobilitazione di gran parte del mondo cattolico ed anche di diversi parlamentari cattolici eletti nel centro-sinistra, ma lo scontro è solo rinviato a gennaio.
I liberali e i laici convinti si oppongono alla deriva laicista che vorrebbe "diluire" ideali e valori. Sulla famiglia, peraltro, sorprende molto l'atteggiamento di tanti guardiani della Costituzione i quali ora non dicono nulla per difendere l'articolo 29, che parla di famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio".
Nei giorni scorsi Oliviero Diliberto esultava: "grazie ai Comunisti italiani, 300 mila precari della pubblica amministrazione trascorreranno un Natale più sereno. Verranno assunti".
Ieri pomeriggio il governo ha presentato il maxiemendamento alla finanziaria che avrebbe dovuto contenere la norma in grado di rendere felici i 300 mila precari. Così com'è scritta, però, renderà felici solo 166 precari della pubblica amministrazione ed a partire dal 2008.
La misura salva-precari, infatti, si è trasformata – per il meccanismo di copertura individuato – in uno strumento di riduzione del debito. Ed a favore dei precari sono stati stanziati 5 milioni di euro: risorse sufficienti per regolarizzarne solo 166 a partire dal 2008.
Per recuperare le risorse necessarie e per far finta di soddisfare le richieste di Diliberto, infatti, il ministero dell'Economia ha recuperato il 20% dei "conti dormienti" delle banche. Si tratta di quei conti che non vengono "movimentati" da almeno 10 anni. Il loro valore complessivo ammonta a circa 15 miliardi di euro. Ne segue che lo Stato preleva al sistema bancario (per i precari) 3 miliardi.
Questo "deposito" frutta, all'anno, circa 90 milioni di euro; ma a favore delle regolarizzazione dei collaboratori della Pubblica amministrazione, il governo accantona con il maxiemendamento solo 5 milioni. Il resto (85 milioni) servirà ad alimentare il fondo così da finanziare la spesa dei precari regolarizzati. E con 5 milioni di euro, tenuto conto che uno statale "costa" in media allo Stato 30 mila euro, si riescono a regolarizzare le posizioni di soli 166 precari. Una beffa come quella della riforma fiscale a favore delle fasce meno fortunate della popolazione.
Il refrain di Romano Prodi per difendere la "sua" manovra è: aspettate a criticarla troppo, a gennaio vedrete gli effetti positivi che produce.
Il problema è che il 27 gennaio il premier corre il rischio di vedere ulteriormente ridotta la sua popolarità, proprio a causa della finanziaria.
Con lo stipendio (o salario) di gennaio milioni di contribuenti avranno un'amara sorpresa. Chi guadagna più di 20 mila euro annui, scoprirà che paga più tasse rispetto al passato: poche di più intorno ai 22 mila euro; molte di più, in funzione dell'aumento del reddito. Chi ne guadagna meno scoprirà che i benefici fiscali promessi saranno inferiori a quelli attesi. E verificherà che, grazie alla finanziaria, potrà permettersi un caffé al giorno in più.
Contemporaneamente, sempre a gennaio, chi avrà un malore a cui non segue il ricovero dovrà pagare il ticket del pronto soccorso di 25 euro. A marzo è assai probabile che i Comuni applichino la finanziaria nella parte che li autorizza ad introdurre tasse di scopo, attraverso un aumento dell'Ici; e le Regioni decidano di aumentare le addizionali Irpef. A luglio, poi, è possibile che il governo traduca in decreti delegati la legge delega che dà il via libera all'armonizzazione delle rendite finanziarie: così aumenteranno del 50% le tasse sul risparmio, Bot e Cct compresi.
Insomma, con l'andare dei mesi, la delusione verso la manovra aumenterà; e con essa – specularmene – calerà la popolarità del governo, e del premier in primo luogo. E forse anche quei 2 italiani su dieci soddisfatti del governo Prodi saranno costretti a ricredersi.
Stretto tra i fischi e il crollo di consensi, tra le critiche dei suoi alleati e le contestazioni delle categorie, tra i mal di pancia dei ds e le fughe in avanti della sinistra radicale alla quale è appesa la sua leadership, ieri Prodi ha detto: "Abbiamo fatto errori". Parole che hanno spinto gran parte dei commentatori a parlare di "autocritica". Non è così.
In realtà il premier ha intonato il solito ritornello, quello della comunicazione. Dire quel che ha detto, e poi aggiungere: "La finanziaria la rifarei identica", non è altro che ribadire un concetto trito e ritrito, attinente al metodo e non alla sostanza.
Con la consueta prosopopea professorale, dalla sua "cattedra", ha nuovamente assestato uno schiaffo alla diffusa protesta popolare degli italiani che "non hanno capito", a quel popolo ignorante, ora "maleducato" ora "incivile", che non ha saputo comprendere verso quali magnifiche sorti di crescita e di sviluppo lo sta conducendo questo governo.
Certo, ha detto qualcosa in più, accollandosi la colpa di "aver fatto trattative troppo ristrette fra sindacati e Confindustria". Parole che vanno misurate con la platea che si trovava davanti: artigiani inferociti per aver subito una finanziaria di tasse, senza un minimo di concertazione.
Un goffo tentativo di "captatio benevolentiae" verso una categoria tartassata dalla manovra, nel tentativo di riscuotere un timido applauso, prima dei fischi in strada.
Cosa è, se non una presa in giro, dire agli artigiani che avrebbe dovuto consultarli, per poi dichiarare che la finanziaria l'avrebbe "fatta identica"? E allora, a cosa sarebbe servita la concertazione?
Mentre Prodi, davanti agli artigiani, si attribuiva colpe "di metodo" (suscitando le reazioni inviperite dei sindacati), Fassino assestava al premier ben altri colpi di ariete, chiedendo una esplicita "correzione di rotta" (non "cambio di passo", come poi si è corretto) e "un mutamento degli indirizzi di politica economica".
Critiche di sostanza, come dimostra un passo della sua relazione che è stato sottovalutato e che va, invece, dritto al cuore della Finanziaria: "Non è pensabile un ulteriore aggravio fiscale, dato che la pressione fiscale, nel nostro Paese, sta raggiungendo livelli critici".
Ecco qui: la manovra delle tasse, delle troppe tasse, di quelle nuove o maggiorate.
Il punto è che, con l'ulteriore aumento dei tributi locali, quel livello critico, oltre il quale si bloccano sviluppo e consumi, è già stato toccato. Se ne sono accorti gli italiani, ne prende atto Fassino. Non Prodi, il grande "incompreso".
La sinistra è stata sconfitta su telepromozioni e limiti d'affollamento pubblicitario sulle tv all'Europarlamento di Strasburgo. Il governo Prodi chiedeva che le telepromozioni venissero incluse nel limite del 20% orario (il tetto di 12 minuti per ora) imposto alle inserzioni pubblicitarie ‘tradizionali' e il ‘teleshopping'. Ma gli emendamenti in questi senso non sono passati. Secondo il testo approvato, insomma, le telepromozioni sarebbero possibili senza particolari limiti (come accade già oggi). Da notare che il tetto dei 12 minuti non si applica neanche al ‘product placement'.
Prodi e il ministro Gentiloni sono stati sconfitti anche sugli emendamenti in cui si chiedeva di inserire fra i ‘programmi protetti' (nel capitolo sull'affollamento orario e gli intervalli minimi fra un break e l'altro) le trasmissioni relative a concerti e opere teatrali.
Per l'ex ministro delle Telecomunicazioni Gasparri "la modifica della direttiva approvata dall'Europarlamento stabilisce per altro che le telepromozioni non vanno calcolate all'interno dei tetti pubblicitari. Esattamente ciò che ho affermato nella mia legge e che la sinistra italiana, ed anche molta parte dell'informazione, hanno detto essere una cosa che non si poteva fare. I bugiardi sono stati smentiti".
Per Giorgio Lainati, capogruppo di Forza Italia in Commissione vigilanza Rai "gli sconfitti sono i signori Prodi e Gentiloni e la loro sgangherata maggioranza che sulla riforma del sistema televisivo tenta soltanto di colpire e punire il leader del centrodestra. È davvero sgradevole constatare – conclude Lainati – che i quotidiani italiani, nella maggior parte dei casi, non abbiano sottolineato questa nuova figuraccia del perdente binomio Prodi-Gentiloni".
Per l'on. Piero Testoni infine "se Gentiloni riproverà a far entrare dalla finestra italiana l'impianto che è stato buttato fuori dalla porta europea dimostrerà che il suo intento non è di liberalizzare o equilibrare un settore, ma di punire uhn sistema ed una azienda italiana".