Soddisfatto per la decisione di ricontare le schede che porterà a un "ribaltone" nel risultato elettorale di aprile, ma disponibile a sedersi intorno a un tavolo con il centrosinistra nel caso in cui la verifica porti davvero ad una vittoria del centrodestra.
Durissimo nei confronti del governo Prodi e della finanziaria e piuttosto aspro con Pier Ferdinando Casini.
Silvio Berlusconi, dopo le esternazioni di ieri, conferma di aver definitivamente abbandonato la strategia del silenzio per passare al contrattacco. La lunga giornata del Cavaliere, giunto a Roma in mattinata da Milano, inizia con un pranzo con i senatori azzurri.
Il presidente di Forza Italia approfitta delle telecamere per attaccare il presidente del Consiglio: un cambio di passo del governo, spiega, è impossibile visto che "il cavallo non ce l'ha proprio il passo".
In ogni caso, assicura, la finanziaria alla fine passerà grazie al "collante del potere" che terrà unita una maggioranza altrimenti divisa su tutto. Berlusconi non crede neanche all'ipotesi di un aiuto da parte dei moderati del centrosinistra, dato che "in occasione della finanziaria sarebbe un de profundis che nessuno vuole suonare".
Una manovra che, sottolinea, pur restando "pessima" è stata notevolmente migliorata da un "grande lavoro dell'opposizione".
L'ex premier è semmai convinto che i guai per Romano Prodi arriveranno dopo, su temi caldi come pensioni e pacs, su cui vi sono "divisioni profonde" nell'Unione. Nel corso della colazione con i senatori, il presidente di Forza Italia torna sui rapporti con l'Udc di Pier Ferdinando Casini: pur mantenendo la linea della non rottura, il Cavaliere sottolinea che la strada imboccata dal leader centrista "non paga", come dimostrano i sondaggi che vedono l'Udc in caduta libera (3,8% secondo i dati in mano a Berlusconi) contro un aumento dei consensi "straordinario" per Forza Italia.
Ribadisce anche di essere veramente "dispiaciuto" per i fischi a Prodi, sottolineando però che quelli contro di lui erano "organizzati", mentre le proteste rivolte al Professore sono "spontanee".
Poi, a domanda diretta di un senatore, annuncia agli azzurri "libertà di coscienza" sui Pacs. Uscendo dal pranzo l'ex premier torna davanti alle telecamere per dire di "non capire in cosa sia diversa la strada di Casini" e per ribadire che Forza Italia sta "esaminando" il referendum sulla legge elettorale.
Nel tardo pomeriggio arriva la decisione di ricontare le schede nel 10% dei seggi. Berlusconi si reca nella sede di Forza Italia per gli auguri natalizi e nuovamente non si sottrae alle domande.
Definisce un "primo passo nella giusta direzione" la scelta della giunta di Montecitorio, anche se "tardivo" visto che bisognava ricontare le schede "fin da subito".
Il Cavaliere si dice comunque certo che le verifiche porteranno a un ribaltone visto che le elezioni "le ha vinte il centrodestra". Poi, alla domanda se ciò significa che la Casa delle Libertà chiederà il cambio delle cariche istituzionali, il Cavaliere prima nicchia, trincerandosi dietro un "vedremo", poi precisa: "Non siamo irresponsabili e non è che si può buttare via tutto".
Per questo l'ex premier tende la mano al centrosinistra: "Se noi dovessimo risultare vincenti è chiaro che in questo caso faremmo alla sinistra l'offerta che abbiamo già fatto e cioè quella di sedersi attorno a un tavolo e di trovare una soluzione comune ai problemi più urgenti".
"La sinistra non può cambiare passo, non saranno in grado di superare la linea delle tasse". Lo afferma Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, commentando ai microfoni di ‘Silenzio Stampa' su Canale 10 SKY 923, l'ipotesi di una ‘fase 2' del governo Prodi.
"Riusciranno a far passare la Finanziaria per evitare un mostruoso ‘Esercizio provvisorio' - conclude Bonaiuti - ma su pensioni e Pacs si spaccheranno, soprattutto se dovessero uscire sconfitti dalle prossime amministrative in primavera".
La Giunta per le elezioni della Camera ha disposto il riconteggio del 10% di tutte le schede, con l'accordo che se emergessero irregolarità significative si riconteranno tutte le schede. L'Unione aveva fin dall'inizio chiesto che si rivedesse il 10 per cento, mentre la Cdl spingeva perchè fossero ricontate tutte. Il punto di mediazione è stato trovato con la decisione di procedere prima sul 10% e, in caso di anomalie, sul 100% delle schede.
In particolare la Giunta, dando seguito ad una serrata richiesta di Forza Italia, ha deciso di procedere alla revisione di tutte le schede bianche, nulle, contestate e successivamente non assegnate nonché di tutte le schede valide, in un numero di seggi pari in una prima fase al 10 per cento, con riserva di ampliare successivamente l'indagine. I lavori dovrebbero concludersi entro il luglio del prossimo anno, ma potrebbero terminare prima se l'esame del dieci per cento di sezioni non rileverà anomalie o proseguire ulteriormente se effettivamente fosse necessario procedere a un riconteggio complessivo.
La vittoria politica, tutta personale, di Silvio Berlusconi che consente oggi il riconteggio delle schede, sia pure parziale, dopo il Senato, anche alla Camera non ha nulla di casuale o di scontato.
Dimostra che il leader azzurro ha visto giusto fin dall'inizio, all'indomani del voto che offriva l'Italia spezzata in due, quando offrì un governo di larghe intese e a tempo, dal programma limitato con l'obbiettivo di rasserenare il clima e riportare alle urne gli italiani in un periodo ragionevole. La sinistra e Prodi gli sbatterono la porta in faccia e lavorarono, da allora, per screditare Berlusconi definito un leader che, non accettando la sconfitta, "inventava" brogli ed errori elettorali screditando le istituzioni. Ad aggravare la situazione la sinistra aveva nel frattempo occupato, in modo democratico ma politicamente dubbio e quindi fragile, tutte le cariche istituzionali compresa la Presidenza della Repubblica.
Perché dopo sette mesi di battaglie il Senato prima e la Camera poi, hanno dato clamorosamente ragione a quei dubbi di Berlusconi sul possibile vulnus elettorale e democratico?
Perché lo hanno fatto dopo il fiasco clamoroso e controproducente della operazione-Deaglio, nata per dimostrare che qualora il centrodestra avesse ragione sulle irregolarità e sui brogli del voto, non ne era immune ma anzi protagonista e persino beneficiario?
Le risposte sono di due tipi. La prima è che la sinistra sa bene che la denuncia di Berlusconi era vera e che ormai, quella verità è diventata patrimonio comune della maggioranza degli italiani. Continuare ad opporsi anche ad una ipotesi di parziale riconteggio, indipendentemente dall'esito e dalle conseguenze prodotte, finiva per diventare controproducente per l'intera maggioranza.
La seconda risposta riguarda Prodi, il vero miracolato di quel risultato al foto finish, perché molto è cambiato e sta cambiando nelle forze di governo da quel 10 aprile.
Oggi Margherita e Ds hanno ben chiaro che mentre il premier punta solo a durare e a restare regista delle grandi partite economiche, con la sponda strategica della sinistra estrema (unica a crescere nei sondaggi), i grandi partiti del centrosinistra stanno perdendo punti e consenso in modo crescente e stabile. Un solo dato: oggi, mettendo insieme le truppe di Fassino, D'Alema, Bersani e Mussi a quelle di Rutelli e dei popolari della Margherita si resta sotto il 28%, mentre Forza Italia, da sola, è oltre il 30%!
Quel riconteggio delle schede allora è una maniera per tenere anche Prodi sulla graticola. Così come l'insistenza, apparentemente semantica, di una fase due del governo - che accomuna Fassino e Rutelli e infastidisce il premier - è un suono di campana nei confronti di Prodi perché la smetta di tirare la corda spalleggiato da Rifondazione, dai Verdi e dai Comunisti italiani. Sono queste le uniche forze di maggioranza che non hanno interesse a sostituirlo in questa legislatura, mentre per tutti gli altri è iniziata un'altra partita. E l'opposizione non starà a guardare.
I sondaggi per Forza Italia e la Casa delle Libertà continuano ad andare non bene, di più. Il partito di maggioranza relativa ha sfondato addirittura il muro del 32 per cento, la Cdl ha un consenso del 57, mentre l'Udc ha quasi dimezzato i suoi voti, scendendo al 3,8. La tabella del "test winner", poi, quella con cui l'Ipsos misura la previsione dell'opinione pubblica sul vincitore delle prossime elezioni, è inequivocabile: per il 54,5% degli italiani sarà il centrodestra a prevalere, mentre il centrosinistra è dato vincente solo dal 21,5%. Più chiaro di così...
E invece il Corriere della Sera, stamani, è riuscito a titolare il "retroscena" sugli ultimi sondaggi con un curioso: "Silvio perde mezzo punto in piazza".
Secondo la stessa Ipsos, infatti, la manifestazione del 2 dicembre sembra aver riattivato le adesioni di una parte dell'elettorato di centrosinistra, quello "zoccolo duro" antiberlusconiano che si era un po' nascosto dopo le elezioni di aprile. Non a caso, quello striminzito 0,5% va tutto a favore della sinistra radicale e dell'Italia dei Valori, ed è rappresentato cioè da quei segmenti di società che oscillano tra il massimalismo comunista e il giustizialismo d'antan.
Si tratta, comunque, di spostamenti irrilevanti rispetto al dato fondamentale che tutti i sondaggi confermano (lo 0,5% rispetto al 57% rientra infatti in una forbice assolutamente fisiologica, che non dovrebbe dunque "fare notizia"): il netto spostamento verso il centrodestra dell'elettorato italiano. E' molto più notizia, invece - ma il Corriere lo ha nascosto tra le pieghe dell'articolo - il fatto che la Margherita sia precipitata al 9,3%, perdendo tre punti secchi rispetto ad aprile, che i Ds siano di nuovo scesi sotto il 20%, e che insieme Ds e Dl ottengano un modestissimo 28,7 nelle intenzioni di voto, ben al di sotto di Forza Italia, da mesi attestata saldamente oltre il 30%.
I cosiddetti riformisti dell'Unione stanno pagando un prezzo altissimo al ticket Bertinotti-Prodi, una tenaglia che si sta stringendo intorno a Quercia e Margherita che a questo punto temono un crollo disastroso alle amministrative di primavera.
Per questo Fassino e Rutelli spingono per la fase due, anche se poi sono stati costretti a fare marcia indietro per non disturbare il manovratore nei giorni dell'approvazione della Finanziaria.
Ma è sempre più evidente che il governo e i due più grandi partiti che lo sostengono sono ormai vicinissimi alla rotta di collisione, e questo potrebbe aprire a breve nuovi scenari, favoriti magari dal riconteggio della schede a cui non a caso Quercia e Margherita hanno dato il via libera dopo mesi di ostruzionismo. Che faccia comodo anche a loro il "ribaltone" di cui Berlusconi si dice sicuro?
La Fase 2 è la versione politichese del mito della Fenice. Un governo inetto, bruciato dal suo stesso fuoco, che rinasce dalle ceneri in virtù di ammirevoli liberalizzazioni e riforme. E' la scelta del miraggio come ultimo orizzonte, nel deserto della formula di governo. Fassino e Rutelli sono i primi a sapere che Prodi non è in grado di dar loro la Fase 2. Pretendendola da lui, essi non indicano un obiettivo realizzabile, ma designano nel Premier il capro espiatorio per l'inaudito, fulmineo sperpero del credito di partenza realizzato attraverso una Finanziaria male pensata e peggio gestita. La Finanziaria passa, grazie all'aritmetica parlamentare, ma non passano i guasti fatti nel rapporto con la pubblica opinione, e annunciano a Ds e Dl, in quanto garanti per Prodi, sfracelli elettorali in avvicinamento.
Il punto è se, quando e come, i custodi del centrosinistra sacrificheranno il capro espiatorio. La previsione di un approccio subdolo alla soluzione del problema, attraverso il sacrificio sostitutivo, tramite rimpasto ministeriale, dell'inerme e indifendibile Padoa-Schioppa, urta contro il fatto che Prodi fa scudo del suo corpo all'uomo che ha firmato la Finanziaria. Per pessimo comunicatore che sia, Prodi è uomo di potere e capisce bene che la sua sorte è legata a quella del suo ministro dell'Economia.
Un'altra possibilità è che il furore riformatore della coppia Fassino-Rutelli miri in realtà a lavorare al corpo Prodi per ridurlo a più miti consigli nelle nomine. Nella spartizione della spoglie, il Premier ha fatto fin qui la parte del leone, anche se non potrebbe permetterselo, e i suoi alleati sono rimasti a bocca asciutta. Ciò che determina una situazione intollerabile per i partiti, gravida di conseguenze nei congressi Ds e Dl.
Ma non c'è spartizione vantaggiosa che metta i partiti al riparo dalle conseguenze elettorali dell'abisso in cui è caduto il governo. Da ciò l'intimazione al governo perché "cambi passo" per entrare al galoppo nella Fase 2 del miracolo. Il miracolo che ammansisce le belve della sinistra radicale fino al punto di indurle ad abbandonare alle riforme necessarie le clientele elettorali che hanno fin qui ferocemente difeso. In pratica, poiché Prodi non è un santo che fa miracoli, si pretende da lui che accetti di cadere a sinistra, dopo aver devastato la tenuta elettorale del centrosinistra sul versante moderato pur di guadagnare tempo. La pretesa è eccessiva e il tempo stringe. Se la questione non è risolta prima dei congressi di primavera, i partiti non potranno fare a meno di affrontare con questo governo le amministrative che seguiranno. Ciò li costringerebbe ad abbracciare un Premier già bruciato, e a pagare il prezzo elettorale della scelta.
Certo, non è facile abbattere un Premier che non concede di lasciarsi abbattere, dopo essere stato fortemente voluto, in nome dell'antiberlusconismo, come modello della "serietà al governo". Probabilmente il sogno inconfessabile di Fassino e Rutelli è quello che la verifica delle schede elettorali, smentendo la pretesa vittoria del centrosinistra, determini, per stato di necessità, l'apertura di quella Fase 2, inaccessibile all'iniziativa politica, in cui tutto diventa possibile.
Per dimostrare agli italiani che il governo Prodi non è affatto paralizzato dalle sue divisioni, il centro-sinistra ha deciso di fare qualcosa di concreto. Già, ma cosa? Il leader dei Ds, Piero Fassino, ha invocato la «Fase due».
Quella che sembrava solo una considerazione dettata da un saggio buonsenso, ha però immediatamente acceso un vivace dibattito nella maggioranza. Prodi l'ha presa come un'offesa personale: «Non parliamo di Fase due!», ha protestato, facendo sorgere il dubbio che questa formula asettica indichi, in un codice segreto dell'Unione, qualcosa di terribile di cui non si può parlare in pubblico.
I comunisti di Diliberto, di sicuro non ne sono al corrente, perché hanno chiesto chiarimenti: «Fase due? Di cosa si parla?». «Noi, siamo per la Fase uno», hanno fatto sapere i Verdi, un po' piccati. «Non la vogliamo chiamare "Fase due"? Chiamiamola pure Topolino» ha replicato, ironicamente, il vicepremier Rutelli, ma neanche sul sinonimo s'è trovata l'intesa, perché il radicale Capezzone aveva un'altra idea: «Chiamiamola Filippo». Insomma, non si sono messi d'accordo. In compenso, una cosa adesso è chiara: l'Unione, di fatto, non è un'Unione di fatto.
La Corte dei Conti parla di "colpo di spugna" e la maggioranza, pizzicata con la mano nella marmellata, è in forte imbarazzo. Motivo del contendere una norma di appena tre righe al comma 1346 della legge finanziaria, che di fatto cancella gli illeciti perseguibili per danno erariale e il conseguente recupero di somme rilevanti: dai crediti agricoli Ue indebitamente incassati (310 milioni di euro) alle azioni di responsabilità verso gli amministratori di società pubbliche (da Alitalia ed Enel alle aziende comunali spa).
Leggiamo: "Al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n.20, le parole ‘si è verificato il fatto dannoso' sono sostituite dalle seguenti: "è stata realizzata la condotta produttiva del danno". Una mostruosità linguistica, per nascondere e rendere incomprensibile un vero e proprio abominio giuridico, che possiamo così tradurre: negli illeciti contabili per danno erariale, la prescrizione scatta ancora prima che il danno sia compiuto. Chi ha in animo di rubacchiare allo Stato è avvertito: lo faccia pure.
In tempi di dibattito sul nome da dare alla fantomatica "Fase 2" (Topolino, per Rutelli), battezziamo anche questo comma e chiamiamolo Pietro. E' il nome di battesimo del senatore Fuda, che ha presentato e tuttora difende il suo emendamento.
Fuda è un esponente del Partito Democratico Meridionale del governatore della Calabria, Agazio Loiero, recentemente inquisito per appalti truccati nella sanità. Inchiesta che si intreccia con quella sull'omicidio Fortugno. Loiero da tempo scalpita, si sente abbandonato dalla Margherita. Così, guarda caso, l'emendamento porta in calce anche le firme dei margheritini Zanda, Sinisi, Boccia, Ladu.
Al Senato i voti sono contati e siamo alla vigilia di Natale. Pur di riaccogliere nel gregge l'apostolo Pietro (Fuda) si può gettare alle ortiche il settimo comandamento: non rubare.
I rettori delle università italiane hanno scelto una forma clamorosa per manifestare la loro condanna nei confronti di una finanziaria impresentabile: riuniti in conferenza, hanno invitato tutti gli atenei " a sospendere ogni eventuale invito a membri del governo per partecipare a significative manifestazioni". Insomma, gli esponenti dell'esecutivo faranno bene a non farsi vedere nelle università, non passi il ministro né il sottosegretario, non passi lo straniero. Rettori e docenti, che si trovano ormai nell'oggettiva impossibilità di far funzionare gli atenei, vogliono almeno togliersi il fastidio di rivolgere mielosi discorsi ufficiali ai rappresentanti di un potere che ignora stoltamente le esigenze delle università italiane. S'infrange, così, il mito - caro alla stampa amica delle sinistre - di un particolare feeling fra l'establishment accademico e l'Unione. Il governo Prodi ha bruciato, in un colpo solo, vecchie affinità e nuove illusioni, suscitate dalle promesse elettorali non mantenute.
Ma non basta. Un'altra mazzata era già arrivata agli atenei col cosiddetto decreto tagliaspese di Bersani. Con questo provvedimento si è imposto alle università di ridurre le spese ordinarie del 20 per cento. Una pretesa assurda.
"Gioco virtuale", "coro infame e organizzato", "propagandisti organizzati", "fischi da frange politicizzate", "contestazioni di un gruppo organizzato". Così la sinistra ha cercato di liquidare le sempre più frequenti bordate di fischi che hanno raggiunto Prodi, anche quando il premier ha giocato in casa nella sua Bologna. A parte rarissime e nobili eccezioni, quando alcuni esponenti hanno cercato di spiegare al Professore che le contestazioni non andavano sottovalutate, quasi nessuno nel governo ha dato troppo peso ai fischi, né si è soffermato sul fatto che chi non protestava contro il premier di certo non prendeva le sue difese.
Di fronte a un clima del genere Prodi ha deciso la linea dell'indifferenza, e con lui la sinistra per la quale i fischi evidentemente non sono tutti uguali. Quelli al presidente del Consiglio Prodi (ripetuti e sonori) sono "organizzati", quelli al presidente del Consiglio Berlusconi erano la voce del popolo, il segno di un diffuso malessere nazionale.