In questa fase convulsa della politica italiana, con la sinistra che sta implodendo a causa delle sue contraddizioni, con il ritorno all'antica suggestione del Grande Centro e con l'Italia sotto il tallone del peggior governo della Repubblica, qualcuno sta creando artificiosamente un falso problema, quello di Forza Italia, che mai come oggi è stato così radicato nella società. Il partito di maggioranza relativa - che tutti i sondaggi, anche quelli "di sinistra" danno in crescita costante - dispone dell'unico vero leader e ha tutte le carte in regola per continuare ad essere la forza trainante di una democrazia moderna il cui corpo sociale si riconosce ormai nel bipolarismo.
Dentro Forza Italia è in atto un grande processo costituente, una rifondazione che parte dal nuovo statuto e dall'ulteriore radicamento territoriale attraverso la celebrazione dei congressi comunali e provinciali che porterà alla formazione di una classe dirigente in grado di crescere e di assumersi responsabilità sempre maggiori. Il coordinamento nazionale è impegnato in questo sforzo organizzativo sotto la guida del presidente Berlusconi.
Forza Italia nacque per una necessità storica: quella di impedire l'instaurazione in Italia di un regime di sinistra dopo la capitolazione per via giudiziaria del blocco democratico che aveva garantito libertà e sviluppo al Paese nell'alveo occidentale. Ebbene, quella necessità, anzi quell'emergenza storica resta in tutta evidenza attuale, e Forza Italia, oggi come allora, ha sulle sue spalle il compito di dare una risposta politica - immediata e di alto profilo - alla maggioranza degli italiani che teme di restare prigioniera, in una spirale senza ritorno, nella deriva statal-leninista a cui la sta conducendo il governo Prodi.
Di fronte a questa involuzione antistorica, che costituisce un'autentica anomalia politica, Forza Italia resta l'antidoto più efficace e la diga più solida. E molte categorie economiche che erano state attratte dal prodismo, ritenendolo erroneamente un elemento stabilizzatore del postcomunismo, stanno riscoprendo nel nostro partito lo strumento più idoneo in grado di dar voce all'Italia della modernità. In questo senso, i circoli costituiranno una sorgente di partecipazione alla politica che nessun partito può esaurire, e la grande manifestazione del due dicembre a Roma sarà il manifesto di questa nuova fase di Forza Italia.
Forza Italia e i circoli della libertà vanno visti infatti come due facce della stessa medaglia, come un circuito virtuoso tra politica e società capaci di convogliare il massimo del consenso intorno a Berlusconi, che in questo momento è e resta l'unica reale alternativa al sistema di potere pericoloso, irresponsabile e sempre più autoreferenziale che la sinistra italiana sta cercando di consolidare sulla pelle degli italiani. La crescita dei circoli porterà simmetricamente alla crescita di Forza Italia per trovarci pronti a governare quando Prodi cadrà.
Bisogna uscire dalla stagione degli opportunismi di partito e di fazione per offrire al Paese un grande partito dei moderati di stampo europeo che completi l'opera avviata dodici anni fa con la fondazione di Forza Italia. Una fondazione liberaldemocratica e riformatrice nel solco della migliore tradizione politica italiana. L'unione tra forze che si riconoscono negli stessi princìpi non è mai un'annessione ma, appunto, una necessità storica.
Franco Giordano, soddisfatto, annuncia a Matrix: faremo assumere 150 mila precari dalla pubblica amministrazione. Sulla carta, ha ragione. Sebbene la legge finanziaria non preveda una norma in tal senso, un emendamento di Rifondazione comunista lo chiede.
E lo aggancia alla misura che punta a regolarizzare i precari assunti con la Legge Biagi, soprattutto nei call center.
Ma chi sono i precari di cui si parla?
Per "precari" s'intendono i lavoratori assunti in virtù della maggiore flessibilità del mercato del lavoro, creata dalla Legge Biagi. Si tratta per lo più di giovani che, senza la Legge Biagi, sarebbero stati disoccupati; od occupati "in nero".
Verso queste figure professionali, il governo mostra un atteggiamento contraddittorio.
Da una parte li vuole assumere a tempo indeterminato. Dall'altra, aumenta del 3% i contributi previdenziali. Entrambe le mosse sono sbagliate, da un punto di vista economico.
La prima mossa è sbagliata, perché: i cosiddetti precari non godono dei benefici previsti dagli ammortizzatori sociali; insomma, non hanno la cassa integrazione. Ne consegue che, di fronte all'obbligo della loro regolarizzazione, molte aziende saranno costrette ad eliminare quei lavoratori che – se costrette ad assumerli a tempo indeterminato – finirebbero per pesare troppo sul costo del lavoro. E non avendo gli ammortizzatori sociali, questi lavoratori diventerebbero automaticamente disoccupati.
La seconda mossa è sbagliata, perché: aumentare i contributi previdenziali a questa categoria finisce per ridurre il loro già modesto potere d'acquisto. Si tratta di lavoratori già oggi, per la maggior parte, esentati dall'Irpef. Ne consegue che non possono essere raggiunti da eventuali sconti fiscali. L'aumento dei contributi finisce quindi per essere una tassa occulta a carico di chi ha già un modesto potere d'acquisto.
Sullo stesso tema dei precari si inserisce il condono previdenziale, contenuto nella manovra.
Nella sostanza un datore di lavoro può condonare, con sconto, i lavoratori tenuti "in nero". Nella fattispecie, la manovra prevede, da una parte, libertà di licenziamento per i precari; agli stessi si può dare lavoro "in nero", e poi condonarli e regolarizzarli nuovamente.
E veniamo alla regolarizzazione dei precari della pubblica amministrazione. Anche qui siamo in presenza di una palese contraddizione.
Buona parte dei precari a cui si riferisce Giordano sono i ricercatori universitari ed i lavoratori "socialmente utili" nei comuni con meno di 5 mila abitanti. Per regolarizzarli, i vari emendamenti alla finanziaria presentati dal governo prevedono stanziamenti di maggiori risorse. Ma solo a partire dal 2008. Per il 2007, riguardo alle risorse a disposizione per la regolarizzazione dei ricercatori universitari, gli stanziamenti non arrivano a 10 milioni di euro (7,5 in un emendamento, ed un altro milione in un altro); fra l'altro, prelevati da altri capitoli del bilancio delle Università. Ne consegue che l'annuncio di Giordano è fuori luogo.
E veniamo ai precari dei comuni con meno di 5 mila abitanti. Questi comuni sfuggono al rispetto del Patto di stabilità interno. Ma non a quello del bilancio vidimato da un revisore dei conti. Ne consegue che nemmeno questi precari potranno essere regolarizzati così facilmente, rischio il commissariamento del Comune.
Insomma, l'annuncio di Giordano è pura demagogia. Anche perché è tutto da verificare che l'emendamento chiesto da Rifondazione rientri nel maxi emendamento sul quale il governo chiederà (forse già oggi pomeriggio) il voto di fiducia alla Camera.
In Cgil fanno e rifanno i conti, ma non tornano. I sindacati si preparano a "spiegare la finanziaria" alle assemblee convocate nei luoghi di lavoro e sulla scrivania di Epifani, grande sponsor della manovra economica di questo governo, si accumulano tabelle e cifre preoccupanti, sfornate dal suo ufficio studi. Dopo la grancassa sulla restituzione del cuneo fiscale, chi glielo va a raccontare ai milioni di Cipputi di questo Paese che, nella migliore delle ipotesi, nella busta paga "più pesante" promessa dal governo che fa piangere i ricchi troveranno, quando va bene, la bellezza di 3,63 euro al mese in più?
Questa cifra non è frutto della propaganda della destra, ma il risultato di un semplice conteggio del sindacato metalmeccanici della Uil. E' presto detto: la retribuzione tipo di un operaio è di 20mila euro lordi l'anno; il vantaggio fiscale è di 107 euro; da questa cifra vanno dedotti 60 euro di aumento dei contributi sociali. A conti fatti, 47 euro in più l'anno, l'equivalente di due caffè al mese.
Se poi il nostro operaio-tipo sarà proprietario di un'autovettura euro zero, il bilancio andrà in rosso. Senza contare poi le addizionali comunali e regionali.
A svelare il "grande inganno" di un manovra fiscale che penalizza tutti, chi più chi meno, si era già levata la voce del governatore di Bankitalia, che aveva segnalato come i benefici più che modesti di quella che il governo chiama pomposamente "redistribuzione della ricchezza a favore dei meno abbienti" saranno erosi dall'aumento dei contributi,dal drenaggio fiscale e dalle imposte locali.
Non se la passano meglio, naturalmente, le piccole imprese, alle quali il governo aveva magnificato i benefici effetti della riduzione del cuneo fiscale. Anche qui, le cifre parlano chiaro. Prendiamo una impresa individuale con quattro dipendenti: 332 euro il vantaggio del cuneo fiscale; un appesantimento di 691 euro (se il reddito è sotto quota 15mila) e 1200 euro (entro i 40mila) per maggiori contributi, oneri burocratici, nuovo trattamento fiscale per le auto di servizio. Senza contare la torchiatura aggiuntiva da parte degli enti locali.
Il governo dovrebbe spiegare come mai una manovra che si affanna a definire equa e redistributiva finirà per falcidiare direttamente la capacità di reddito di cinque milioni di famiglie e indirettamente (addizionali comunali e regionali) di altri cinque milioni. Anche qui non lo dice l'opposizione, ma l'ha spiegato il presidente dell'Isae, il centro studi legato al ministero del Tesoro, nel corso di un'audizione parlamentare. Dieci milioni di famiglie usciranno da questa manovra con i bilanci in rosso. Tutti ricconi?
Il governo continua a presentare emendamenti alla legge finanziaria, portando così ad oltre 450 le richieste di modifiche presentate dal governo alla manovra. Un record.
Soprattutto se, come appare inevitabile, verrà chiesto il voto di fiducia sulla manovra. Ne consegue che, per snellire i lavori parlamentari, e dare modo a Montecitorio di licenziare il complesso della manovra entro domenica, tutti gli articoli della stessa dovranno essere accorpati in uno o più maxi emendamenti.
Visto che la legge finanziaria è composta da circa 220 articoli, ne consegue che i commi del nuovo maxi emendamento (che accorperà tutti gli articoli, più gli emendamenti del governo e delle principali forze della maggioranza) saranno oltre i 1500.
Un altro record.
Ed a questo punto, scattano i rischi. Nella notte, i tecnici del governo hanno lavorato fino a tardi per trasformare gli articoli della finanziaria in altrettanti commi del maxi emendamento. Nella sostanza hanno riscritto la manovra per l'ennesima volta. E bisognerà verificare il comportamento di quelle forze di maggioranza che non troveranno nel maxi emendamento le loro richieste avanzate alla manovra.
La prima versione è quella entrata nel consiglio dei ministri del 29 settembre. Era fatta di 169 articoli. Nel week end del 30 settembre-1° ottobre, è venuta fuori la seconda versione della finanziaria, cresciuta a 220 articoli. Tant'è che per stessa ammissione del Quirinale, il capo dello Stato ha potuto firmare la finanziaria non entro il 30 settembre, come previsto dalla legge, ma solo il 1° ottobre. A Montecitorio è ulteriormente lievitata, con i vari emendamenti del governo, al punto che la commissione Bilancio della Camera l'ha dovuta trasferire all'aula senza voto finale. Un altro record.
Ed ora l'aula non riesce a discuterla per le continue correzioni da parte del governo.
Insomma, è il governo che sta facendo ostruzionismo alla manovra. Ennesimo record di una finanziaria dei record. Tutti negativi.
Quella "mancia" di cinque euro stanziata nella Finanziaria è stata la classica goccia che ha fatto travasare il bicchiere. Così, ieri, il malcontento e il malumore dei centomila carabinieri si sono trasformati in una protesta clamorosa che, senza l'intervento in prima persona del comandante generale Siatzu, avrebbe visto per la prima volta una folta rappresentanza dell'Arma picchettare i Palazzi della politica.
Da mesi il fuoco covava sotto la cenere: il comando generale aveva segnalato al ministro della Difesa e successivamente alla Presidenza del Consiglio che la politica militare e di sicurezza di questo Governo incontrava forti resistenze non tanto ai livelli più alti dell'Arma quanto nella base, in quei carabinieri, cioè, che nelle cinquemila stazioni sparse per l'Italia garantiscono la sicurezza e rappresentano lo Stato.
D'altra parte era naturale che l'Arma guardasse con sospetto verso quelle forze politiche – Rifondazione, Comunisti Italiani, Verdi, Sinistra Ds – che hanno sempre avuto atteggiamenti negativi nei confronti del mondo con le stellette. E' stato come un crescendo waghneriano: prima l'intitolazione di una sala della Camera all'"eroe" Giuliani, il ragazzo ucciso a Genova mentre assaltava una camionetta dei carabinieri; poi la richiesta della Commissione d'inchiesta sempre per i fatti del G8 di Genova; ancora la non commemorazione delle vittime di Nassyria; quindi la collocazione di ex terroristi ai vertici della Camera e nelle segreterie dei sottosegretari al Viminale. Infine la regalia, quei cinque euro al mese che il Governo ha offerto come aumento ai carabinieri e alle altre forze armate.
Ieri circa 400 delegati del Cocer si sono riuniti a Tor di Quinto, hanno chiesto e ottenuto di parlare con la Commissione Difesa e hanno deciso di recarsi a Palazzo Chigi a bordo dei pullman che già stazionavano nella piazza d'arme.
Il gesto sarebbe stato troppo clamoroso per l'Arma "nei secoli fedele" così lo stesso comandante generale si è presentato dinnanzi al Cocer e alla fine ha convinto i rappresentanti "sindacali" ad annullare la protesta in cambio di un incontro, limitato a una ristretta delegazione, con i vertici governativi.
Oggi la situazione è apparentemente calma. Ma il fuoco non è spento, anzi, perché i carabinieri continuano a essere bistrattati da questo governo ogni giorno più appiattito verso quelle forze politiche che, da sempre, odiano i militari.
Anche per l'indulto il governo è sotto accusa. Gli si contesta, innanzitutto, di aver presentato il provvedimento di clemenza, prima che il Parlamento lo votasse, minimizzandone la portata e le conseguenze. La tensione per questo delicato argomento è andata crescendo nelle ultime settimane, via via che le cronache riferivano di gravi reati commessi da criminali da poco scarcerati proprio per effetto dell'indulto. I casi di Napoli sono stati i più eclatanti, ma in tutte le regioni italiane si sono segnalati episodi di violenza commessi da recidivi che avevano beneficiato del provvedimento di clemenza. Secondo cifre ufficiose, nel giro di poche settimane sono tornati in cella circa 1300 degli scarcerati.
Ma per quanti detenuti si era aperta con l'indulto la porta del carcere?
Il sottosegretario alla Giustizia Manconi presentando il provvedimento alla Camera aveva assicurato che la clemenza statale avrebbe portato alla liberazione di 13 mila carcerati, non di più.
Ieri è scattato l'allarme a Palazzo Madama quando, sulla base di una nota del Dap – Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria - si è diffusa la notizia che gli scarcerati erano in realtà circa 29 mila, dei quali 24.543 per effetto dell'indulto e 4.964 per avere ottenuto misure alternative alla detenzione. Insomma, più del doppio del previsto. L'opposizione è insorta, sottolineando che le cifre fornite da Manconi prima del voto erano state fuorvianti, e non per caso. Nella denuncia dell'opposizione ha pesato anche la pessima prova data dal governo in materia di sicurezza pubblica, sottovalutando le gravissime situazioni della Campania e della Calabria e mortificando, nella pasticciata finanziaria, le richieste di mezzi adeguati presentate più volte dalle forze dell'ordine.
Dopo un paio d'ore d'imbarazzo e di confusione, su impulso di Romano Prodi, il governo ha smentito che gli scarcerati fossero stati più del doppio del previsto. In realtà, questa la tesi ufficiale, sarebbero stati "soltanto" 17. 449. E il Guardasigilli Mastella si è affrettato a spiegare che l'equivoco era stato generato da un errore del sottosegretario alla giustizia Daniela Melchiorre che, ai 17.449 scarcerati per l'indulto avrebbe aggiunto i 7.178 detenuti liberati perché la magistratura ha revocato la detenzione cautelare.
Il diessino Cesare Salvi, che come presidente della Commissione giustizia del Senato aveva chiesto le cifre ufficiali al governo, ha commentato: "Quando c'è approssimazione, i conti non tornano". Secondo indiscrezioni, il Guardasigilli avrebbe chiesto le dimissioni della Melchiorre.
Il valzer delle cifre e la denuncia dell'errore non hanno convinto nemmeno parecchi esponenti della maggioranza. Ha sbagliato la signora sottosegretario? Ha sbagliato il Dap? O ha mentito, per l'ennesima volta, Romano Prodi imponendo di dare la cifra ufficiale dei 17.418 scarcerati? La mancanza di credibilità che caratterizza l'attuale esecutivo non consente di diradare il mistero e legittima ogni sospetto. Esponenti del Sappe, il maggior sindacato degli agenti di polizia penitenziaria, affermano che a loro risulta la cifra di circa 25 mila detenuti liberati.