Capitolo 3 - Da Nabucco agli "anni di galera" - 2/2

Solera, utilizzando un lavoro di Tommaso Grossi, approntò rapidamente per Verdi il libretto di una nuova opera, I lombardi alla prima crociata. Librettista e musicista intendevano evidentemente sfruttare il successo di Nabucco, ripercorrendo nella nuova opera alcuni passi fondamentali che avevano decretato il trionfo della precedente. I cori dei Lombardi sortirono gli stessi effetti di quelli di Nabucco: in particolare, "O signore, dal tetto natìo" ricevette le stesse ovazioni, e per i medesimi motivi, di "Va pensiero".

Con i Lombardi, Verdi ebbe il primo di una lunga serie di scontri con la censura. Il cardinale arcivescovo di Milano, Karl Gaysruck, si appellò infatti alla censura austriaca accusando Verdi di sacrilegio poiché il musicista intendeva mettere in scena una vicenda nella quale veniva trattato con troppa superficialità e leggerezza, a giudizio del prelato, un argomento di carattere strettamente religioso. L’atteggiamento del musicista fu comunque estremamente risoluto, e Verdi non si piegò ad alcuna pressione: non apportò modifiche ai Lombardi, e il pubblico della Scala l’11 febbraio 1843 accolse il nuovo lavoro verdiano con entusiasmo.

L’opera venne dedicata dal musicista a Maria Luigia granduchessa di Parma, in segno di ringraziamento per le iniziative che l’amministrazione del ducato nel quale Verdi era nato aveva attuato anni prima, in particolare per gli episodi ai quali si è già accennato e riguardanti il concorso di Busseto e la borsa di studio ottenuta per proseguire la preparazione musicale a Milano.

Un mese dopo la prima rappresentazione dei Lombardi alla Scala, Verdi andò al Teatro di Porta Carinzia di Vienna per assistere a una rappresentazione del suo Nabucco

Al suo rientro in Italia, tornò a trovare gli amici di Busseto, e in tale occasione si interessò anche di un eventuale acquisto di terreni presso Le Roncole, nei luoghi legati ai ricordi d’infanzia. Il senso pratico, che non lo abbandonerà mai e che gli derivava probabilmente dalle origini contadine che lo contraddistinguevano anche in alcuni aspetti del carattere e del comportamento, lo spingeva evidentemente a far fruttare i guadagni che divenivano sempre più consistenti a mano a mano che i suoi lavori ottenevano riconoscimenti più ampi.

Poiché, come si è accennato, erano stati rivolti inviti al musicista dal conte Mocenigo, presidente del Teatro La Fenice di Venezia, Verdi giudicò opportuno, dopo la calorosa accoglienza e il riconoscimento derivatogli a Milano dall’ottimo esito dei Lombardi, prendere finalmente contatto con i maggiorenti del teatro veneziano. 

L’incarico ufficiale conferitogli da Mocenigo impegnò Verdi a comporre un’opera per la stagione 1843-44: il musicista iniziò subito a esaminare alcune opere letterarie, alla ricerca di un soggetto degno della nuova impresa. 

In un primo momento Mocenigo stesso suggerì a Verdi di trarre il libretto – al quale avrebbe lavorato un giovane poeta già in buoni rapporti con il teatro veneziano, Francesco Maria Piave – da Cromwell di Victor Hugo; si prospettarono però alcune difficoltà riguardanti la trasposizione del testo letterario in testo teatrale. Il musicista parve tentato da Re Lear di Shakespeare, poi propose, tra altri soggetti, I due Foscari di George Byron. Fu subito dissuaso, però, da quest’ultimo progetto poiché molti, a Venezia, non avrebbero gradito assistere alla messa in scena di vicende legate alla famiglia veneziana dei Foscari, alcuni componenti della quale erano ancora viventi. 

Verdi optò infine per un altro lavoro di Hugo e scelse di rappresentare in musica Hernani, ou l’honneur castillan, un poema del già celebre autore francese, ridotto per le scene nel 1830, e al quale, nello stesso anno, si era ispirato per una trasposizione in musica anche Vincenzo Bellini: l’impresa non era poi stata condotta a termine per i continui problemi sollevati dalla censura austriaca. (12)

Il 5 settembre 1843 Verdi scrisse al conte Mocenigo:

Oh se si potesse fare l’Hernani sarebbe una gran bella cosa! È vero che sarebbe pel poeta una gran fatica, ma prima di tutto io cercherei di compensarnelo, e poi otterressimo sicuramente pel publico un più grande effetto. Il Sig. Piave poi ha molta facilità nel verseggiare, e nell’Hernani non vi sarebbe che di ridurre e stringere: l’azione è fatta, e l’interesse è immenso. Verdi affrontò con Mocenigo anche la fase di contrattazione relativa al proprio compenso per la nuova opera, fissato infine in 12.000 lire austriache, il più consistente fino ad allora percepito dal musicista.

Durante la stesura di Ernani sorse qualche contrasto con Piave che era agli inizi della propria carriera di librettista. (13) Verdi modificò spesso i versi composti dal proprio collaboratore, e cercò anche di rendergli maggiormente familiari alcuni problemi teatrali legati al gioco scenico, ma anche, per quanto riguardava in particolare il teatro d’opera, i problemi creati dalle possibilità interpretative e dal tipo di vocalità possedute da ogni singolo cantante.

Scrivendo a Guglielmo Brenna, segretario del teatro veneziano, Verdi così si espresse:

[...] Piave amerebbe d’intendersi meco per evitare il più possibile la necessità dei cambiamenti a lavoro finito. Per parte mia non vorrei mai seccare un poeta per cambiarmi un verso [...] Il signor Piave non ha mai scritto, è quindi naturale che in queste cose manchi. Difatti chi sarà quella donna che canterà di seguito una gran cavatina, un duetto che finisce in terzetto, ed un intero finale come è in questo primo atto dell’Ernani? Il sig. Piave avrà le sue buone ragioni da addurmi, ma io ne ho delle altre e rispondo che i polmoni non reggono a questa fatica. Chi sarà quel maestro che potrà mettere in musica senza seccare 100 versi di recitativo come in questo terz’atto? [...] Lei che ha tanta bontà per me, prego di far capire queste cose a Piave e persuaderlo. Per quanta poca esperienza io mi possa avere, vado nonostante in teatro tutto l’anno, e sto attento moltissimo: ho toccato con mano che tante composizioni non sarebbero cadute se vi fossero stati miglior distribuzione dei pezzi, meglio calcolati gli effetti, più chiare le forme musicali... insomma se vi fosse stata maggior esperienza, sì nel poeta, sì nel maestro. Tante volte un recitativo troppo lungo, una frase, una sentenza che sarebbero bellissimi in un libro, ed anche in un dramma recitato, fan ridere in un dramma cantato. È evidente quanto il musicista fosse attento a tutti i problemi – anche a quelli che avrebbero potuto apparire secondari – per assicurare al proprio lavoro i migliori risultati. Nel caso di Ernani, inoltre, la direzione della Fenice impose di fatto al compositore l’intera compagnia di canto e ciò significava che Verdi avrebbe dovuto affrontare una situazione di rischio del tutto imprevista e sulla quale gli era negata qualsiasi possibilità di intervento. Sua preoccupazione principale era dunque quella di disporre perlomeno di un testo che non contenesse incongruenze o situazioni incompatibili con una corretta ed efficace elaborazione e gestione della parte musicale.

Alla fine, comunque, il progetto venne realizzato, anche se, a complicare la vicenda, si dovettero registrare numerosi interventi disturbatori da parte della censura austriaca, con la quale Mocenigo, Piave e lo stesso Verdi furono costretti a continue trattative e a ripetute ricerche di mediazione.

Il 26 dicembre 1843, frattanto, andò in scena alla Fenice di Venezia l’opera I lombardi alla prima crociata; l’esito della rappresentazione fu del tutto negativo. Verdi non prese troppo sul serio l’insuccesso e scrisse in questi termini a Giuseppina Appiani: 

Ella è impaziente di sentire le notizie dei Lombardi, ed io le mando fresche fresche: non è un quarto d’ora che è caduto il sipario. I Lombardi hanno fatto un gran fiasco: uno di quei fiaschi veramente classici. [...] Questa è la storia semplice, ma vera, che io le racconto né con piacere né con dolore. In quello stesso mese di dicembre lo spartito per canto e pianoforte di Ernani fu completato e iniziarono le prove dell’opera: a mano a mano che esse procedevano, Verdi ne realizzava l’orchestrazione. 

Il 9 marzo 1844 ebbe luogo la prima rappresentazione: l’accoglienza fu tiepida. L’esecuzione, d’altronde, non fu esente da pecche, in parte giustificate dallo stesso Verdi in una sua ennesima lettera alla contessa Appiani:

L’Ernani apparso jeri sera ebbe un successo abbastanza lieto. Se avessi avuto dei cantanti, non dirò sublimi, ma almeno tali da intonare, l’Ernani avrebbe avuto l’esito che ebbero a Milano il Nabucco e I Lombardi. Guasco era sempre senza voce e aveva una raucedine che faceva spavento, ed è impossibile stonare di più di quello che fece jeri sera la Loewe. (14) I cantanti, comunque, nelle repliche successive si rinfrancarono e anche i consensi del pubblico crebbero, consolidando la progressiva affermazione del nuovo lavoro teatrale di Verdi. 

La popolarità di Verdi, a partire dall’esperienza di Nabucco, continuò a riscuotere crescenti consensi, e pressanti furono in quegli anni anche le richieste che pervennero al musicista da parte delle direzioni dei teatri di città italiane che desideravano rappresentare sue nuove opere. 

Verdi fece seguire a Ernani quattro lavori che andarono in scena rispettivamente a Roma, Milano, Napoli e Venezia: I due Foscari (3 novembre 1844), Giovanna d’Arco (15 febbraio 1845), Alzira (12 agosto 1845) e Attila (17 marzo 1846).

Il musicista fu costretto quindi, per rispettare gli impegni sottoscritti con gli impresari, a produrre mediamente una nuova opera ogni cinque-sei mesi: da questi ultimi quattro lavori si percepisce un certo affaticamento nella vena creativa dell’autore che musicò soggetti di argomento storico dai quali vennero tratti libretti "deboli" i cui versi, spesso al limite del ridicolo o dell’assurdo, colmi di incoerenze, non contribuirono certamente a fare delle quattro opere altrettanti capolavori. Malgrado un’accoglienza spesso favorevole da parte del pubblico dell’epoca, queste opere contengono in effetti solamente rarissime tracce di quelle peculiari qualità che costituiranno il segno più tangibile della originalità nell’insieme dei lavori verdiani. 

Oltre a occuparsi della composizione delle nuove opere, in quegli anni Verdi dedicò buona parte del tempo e delle proprie energie a stabilire contatti con i teatri italiani nei quali di volta in volta venivano rappresentati per la prima volta suoi precedenti lavori, per assicurare anche con la sua presenza il successo di Nabucco, dei Lombardi, di Ernani.

Risalgono sempre a quegli anni i primi impegni con impresari parigini e londinesi: nel 1846, dopo la rappresentazione di Attila a Venezia, mentre iniziava a lavorare a una nuova opera per il Teatro alla Pergola di Firenze – sarà Macbeth – mise mano a un’altra opera, I masnadieri, richiestagli dall’Her Majesty’s Theatre di Londra, mentre nel 1847 il rifacimento dei Lombardi, con il nuovo titolo di Jérusalem, andrà in scena all’Opéra di Parigi.

Non trascurò, contemporaneamente, di occuparsi di "affari": si è già accennato al suo sempre vivo interesse per l’acquisto di terreni, che Verdi considerava la forma di investimento più proficua delle somme guadagnate con i successi teatrali e con la vendita agli editori delle partiture delle sue opere. Risale infatti all’8 maggio 1844 il contratto di acquisizione del podere Plugaro presso Le Roncole.

Negli anni successivi, riconsiderando il tour de force al quale si era sottoposto dal 1842 in poi, Verdi stesso definirà quel periodo "anni di galera".

Dal Nabucco in poi non ho avuto, si può dire, un’ora di quiete. Sedici anni di galera!
scrisse Verdi in una lettera del 1858 alla contessa Maffei. Furono indubbiamente anni di lavoro durissimo ai quali il compositore, indebolito oltretutto da continui mal di stomaco e afflitto da fastidiosi e dolorosi reumatismi, si assoggettò con pervicace tenacia con il duplice obiettivo di conquistare prestigio e benessere crescenti.

In effetti, Verdi, che godeva di ampia considerazione ed era assediato da impresari ed editori, non accettò di buon grado quelle che si potrebbero definire "le regole del gioco" della popolarità. Non gradiva soprattutto interferenze nella sua vita privata e accentuò di conseguenza il proprio riserbo fino a divenire quasi scontroso; diradò le occasioni di incontri mondani; smise di frequentare i salotti nobiliari, che d’altronde per lui non rappresentavano più il mezzo per allargare le proprie conoscenze o per stabilire relazioni che avrebbe dovuto coltivare solamente a fini utilitaristici.

I consensi nei confronti delle sue opere erano andati aumentando, come si è detto, già dopo i successi di Nabucco ed Ernani: gli sarebbe dunque stato possibile scegliere come, dove, quando e a chi proporre i propri lavori. Scontento, per esempio, del cattivo allestimento scenico e della trascuratezza riservata all’esecuzione musicale nella realizzazione di Giovanna d’Arco alla Scala, ebbe durissimi scontri con l’impresario Merelli e, senza mezzi termini, gli dichiarò che non avrebbe più composto un’opera per quel teatro: trascorreranno ben ventiquattro anni prima che il compositore torni su questa decisione, riallestendo per la Scala una nuova versione della Forza del destino – l’opera che Verdi comporrà per il Teatro Imperiale di Pietroburgo – e solo le due ultime opere di Verdi, Otello e Falstaff (1887, 1893) saranno composte espressamente per il teatro milanese.

Nel 1845 Verdi ruppe definitivamente i rapporti con Solera che, dopo avere iniziato a scrivere il libretto per Attila aveva sospeso il lavoro (in seguito terminato da Piave), ed era partito per la Spagna.

Da qualche tempo, Verdi aveva stretto amicizia con un giovane conterraneo, Emanuele
Muzio. (15) Questi fu dapprima suo allievo di composizione: in seguito, diverrà anche prezioso collaboratore, confidente e segretario del maestro, e sarà spesso incaricato da Verdi di intrattenere soprattutto i rapporti con gli impresari teatrali. 

Si erano acuiti frattanto per Verdi i problemi legati allo stato della sua salute: il musicista decise di trascorrere un periodo di riposo a Clusone con gli amici Andrea e Clara Maffei. In quella occasione dovette però assistere anche a continui contrasti fra i due coniugi, il cui accordo era ormai compromesso e che si separeranno l’anno successivo: lo stesso Verdi e il letterato Giulio Carcano saranno testimoni dei Maffei, che stipuleranno, presso il notaio Tommaso Grossi nel giugno 1846, l’atto legale che sanzionerà lo scioglimento del loro matrimonio.

Verdi continuò ad accusare malesseri e a causa di questi dovette, nel 1846, rinviare l’impegno già assunto con l’impresario londinese Benjamin Lumley per I masnadieri e rinunciare, almeno temporaneamente, ad accogliere la proposta dell’Opéra di comporre un lavoro per il prestigioso teatro parigino.

Si occupò invece dei propri affari personali, estendendo la proprietà terriera di Sant’Agata presso Busseto. Lui stesso amava lavorare nei campi, dissodando e bonificando i terreni e realizzando nuove colture.

Nella seconda metà del 1846, il compositore si dedicò comunque ad alcuni nuovi libretti d’opera, tra cui quello di Macbeth

A coronamento di una progetto a lungo accarezzato, Verdi trasse Macbeth dall’omonima tragedia di Shakespeare. Già da tempo aveva in animo, infatti, di musicare uno dei capolavori del grande letterato inglese: in particolare, il suo interesse si era in passato soffermato su Re Lear, Amleto e La tempesta. Risolse infine di lavorare a Macbeth e iniziò a comporne le musiche in un periodo nel quale era gravato anche da altri onerosi impegni (I masnadieri per l’Her Majesty’s Theatre di Londra e Il corsaro, commissionatogli dall’editore Francesco Lucca per il Teatro Grande di Trieste).

La stesura del libretto di Macbeth venne affidata a Francesco Maria Piave, al quale Verdi inviò nel 1846 una propria versione in prosa del testo shakespeariano, con una lettera nella quale tra l’altro scrisse al librettista:

Eccoti lo schizzo del Macbeth. Questa tragedia è una delle più grandi creazioni umane! [...] Lo schizzo è netto: senza convenzione, senza stento e breve. Ti raccomando i versi che essi pure siano brevi: quanto più saranno brevi e tanto più troverai l’effetto.  In seguito, non pienamente soddisfatto del lavoro di Piave, Verdi pregò l’amico Andrea Maffei di effettuare un’accurata revisione del libretto: tra i brani più riusciti ed efficaci dell’opera vi sono un coro di streghe e la scena del sonnambulismo di Lady Macbeth i cui testi si devono integralmente proprio alla positiva collaborazione di Maffei. Verdi inviò la partitura di Macbeth ad Antonio Barezzi, accompagnandola con la seguente dedica:  Da molto tempo era ne’ miei pensieri di intitolare un’opera a Lei che mi è stato padre e benefattore ed amico [...] Ora, eccole questo Macbeth che io amo a preferenza delle altre mie opere [...]: l’accetti di cuore, e Le sia testimonianza della memoria eterna, della gratitudine e dell’affetto che Le porta il suo aff.mo G. Verdi. Macbeth venne rappresentata a Firenze il 14 marzo 1847 e non ottenne un grande successo. Il critico Abramo Basevi (16) scrisse, relativamente all’accoglienza dell’opera da parte del pubblico, in questi termini:  Benevoli accoglienze, ma più in riguardo all’autore presente che della musica, la quale non piacque che per metà.  La partitura dell’opera fu poi ceduta a Ricordi al quale Verdi, memore delle proprie decisioni rispetto alle rappresentazioni nel teatro d’opera milanese, raccomandò di non permetterne la realizzazione alla Scala:  Ho troppi esempi, per esser persuaso che qui non si sa o non si vuole montare come si conviene le opere, specialmente le mie. Non posso dimenticarmi del modo pessimo con cui sono stati messi in scena I lombardi, l’Ernani, I due Foscari, ecc. [...]. Ti ripeto adunque che io non posso né devo permettere la rappresentazione di questo Macbeth alla Scala, almeno fino a che le cose non sieno cambiate in meglio.

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(12)  Le difficoltà frapposte dalla censura austriaca obbligarono di fatto Bellini a rinunciare al progetto: il musicista utilizzò poi  alcuni dei brani che aveva già composto per Ernani nella sua opera Sonnambula (1831).
(13)  Piave e Verdi, dopo questa prima collaborazione veneziana, rimarranno legati da una sincera e profonda amicizia: il poeta scriverà successivamente molti dei libretti che Verdi musicherà.
(14)  Il tenore Carlo Guasco era l'interprete principale nei panni di Ernani; il soprano Sophie Loewe sosteneva la parte di Elvira, principale interprete femminile.
(15)  Muzio nacque a Zibello, presso Busseto, nel 1825. Venne a Milano, dietro suggerimento di Barezzi, nel 1844. Fu l'unico allievo che Verdi ebbe in tutta la sua vita. Compositore e direttore d'orchestra, tra le opere di Muzio ricordiamo: Giovanna la pazza (1852), Claudia (1853), Le due regine (1856), La sorrentina (1857). 
(16)  Noto critico musicale e musicologo, Basevi (1818-1885) fondò a Firenze due riviste musicali e diede vita ai cicli di concerti denominati “Mattinate beethoveniane”.
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