Ogni sua parola rischia solo di ricompattare la maggioranza. Silvio Berlusconi lo sa e veste i panni del cinese che pazientemente aspetta sulla sponda del fiume in attesa che passi il cadavere del nemico. Il leader della Cdl e' convinto infatti che, se il governo dovesse cadere, non succedera' per merito dell'opposizione, che deve comunque essere ''severa'', ma semmai per una ''implosione'' della maggioranza. La strategia attendista del Cavaliere sembra confermata anche dalle sue giornate romane. Alle quattro del pomeriggio, esce dalla residenza-ufficio di palazzo Grazioli per una lunga passeggiata per i negozi del centro. Fra un antiquario e l'altro, il leader di Forza Italia si ferma a parlare con alcuni giornalisti. Appare disteso e riposato. La mise e' decisamente informale: pantaloni della tuta, scarpe da ginnastica, maglietta sportiva e immancabile maglione azzurro sulle spalle. Scherza con i giornalisti, fa battute con i turisti che gli chiedono una foto (''sono 35 euro'', dice ridendo prima di mettersi in posa), racconta barzellette. L'impressione e' che non abbia nessuna voglia di parlare di politica. Fa una concessione sul caso Telecom, ma solo per ribadire quanto detto qualche ora prima da Fedele Confalonieri. ''Non c'e' e non c'e' stato nessun interesse di Mediaset per Telecom'', scandisce l'ex premier, precisando subito pero' che sono ''12 anni'' che non si occupa del gruppo. Qualcuno gli ricorda l'articolo di 'Europa', il quotidiano della Margherita che propone al Cavaliere uno scambio: si compri Telecom, ma esca dalla politica. ''Bell'affare, con 40 miliardi di debiti... Uno passa tutta la vita a lavorare per cercare di essere senza debiti e poi...'', replica lui con evidente ironia.
Il Cavaliere non vuole entrare nei dettagli della vicenda e a chi gli chiede dell'eventualita' che Tim finisca in mani straniere, alza la spalle: ''Sono sempre stato, anche da presidente del Consiglio, in favore del libero mercato: sono cose su cui non mi pronuncio'', taglia corto. Solo un'ultima parola per dire che sul tema delle intercettazioni sarebbe favorevole anche a un ''decreto legge'' con norme severe.
Sul resto, Berlusconi non si vuole pronunciare. Non commenta la decisione di Prodi di riferire sia alla Camera che al Senato sulla vicenda Telecom (''chiedete a lui''), ne' le indiscrezioni sulla durata dell'esecutivo (''chiedete a loro''). Ma poi, si lascia andare ad una considerazione che la dice lunga sulla sua strategia: ''Noi faremo un'opposizione severa in Parlamento, ma non e' per questo che potra' cadere il governo che, eventualmente, se dovesse cadere sara' per implosione interna alla maggioranza''. Per il presidente di Forza Italia, infatti, ''i partiti di centro dell'Unione sono obbligati ad accettare le posizioni della sinistra estrema''.
Una situazione, aggiunge, ''che avevo previsto in campagna elettorale e che puntualmente si sta verificando''. Insomma, massima cautela, proprio perche' - come spiega lui stesso - ''stanno facendo tutto loro''. Lui non lo dice, ma e' chiaro che non vuole aggiungere altro per non dare vantaggi al centrosinistra. ''Vuole restare defilato, perche' qualsiasi cosa dica rischia di compattare la maggioranza'', spiega un parlamentare che lo conosce bene.
Per il momento, quindi, Berlusconi si gode questo ''clima decisamente cambiato'' che gli trasmette la gente: ''C'e' una generale preoccupazione per quello che ha fatto questo governo e che ha annunciato di voler fare''. Sensazioni che il Cavaliere traduce subito in numeri: il centrodestra, dicono i suoi sondaggi, e' 5,7 punti sopra il centrosinistra, mentre FI e' addirittura al 28,1% dei consensi. Non lo preoccupano neanche le dichiarazioni di alcuni suoi alleati: ''Abbiamo sempre avuto momenti di dialettica interna, ma con la Lega non c'e' nessuna turbolenza e per quanto riguarda gli altri cio' che ci unisce e' talmente chiaro, forte e profondo che supereremo qualunque momento dialettico''.
Negli ultimi due giorni, la tensione tra il presidente del Consiglio e la sua maggioranza e' arrivata alle stelle. I piu' irritati, stavolta, erano coloro cui tocca presidiare il traballante fortino del Senato, dove lo scivolone dell'altro giorno nel voto sul calendario ha ricordato a tutti quanto sia precaria la situazione dell'Unione in quel ramo del Parlamento. A dar voce a un clima assai pesante e' stata la capogruppo dei senatori dell'Ulivo, la dalemiana Anna Finocchiaro: "Le risposte del governo alle richieste dell'opposizione sono state incerte e contraddittorie, e non hanno aiutato a raggiungere una soluzione condivisa. Ho avvertito un forte disagio, mi auguro che quello che e' avvenuto in questi giorni non si debba piu' ripetere". Una staffilata in piena regola, poco gradita a Palazzo Chigi. Ma che da' la misura di come i rapporti tra il premier e il suo schieramento si siano fatti assai tesi.
Il rifiuto di Prodi di recarsi anche in quell'aula a riferire sul caso Telecom e' stato preso malissimo, e nel giro di 24 ore il capo del governo e' stato costretto a una nuova retromarcia: andra' a Palazzo Madama, anche se la trattativa sulla data rimane ancora aperta. Sono stati il portavoce di Palazzo Chigi e il presidente del Senato, Marini a spendersi per ricucire lo strappo che rischiava di prodursi nella maggioranza: i senatori dell'Ulivo non nascondevano il proprio malumore verso Prodi, lamentando la "sottovalutazione" del premier nei confronti della situazione a Palazzo Madama, gia' difficilissima di suo per la maggioranza: "Cosi' non fa altro che aizzare lo scontro con la Cdl, che ci puo' rendere la vita impossibile, se ne rende conto? E alla vigilia della Finanziaria...". E d'oltreoceano rimbalzavano le indiscrezioni su un D'Alema 'furibondo' per la gestione della partita Telecom e anche per le "invasioni di campo" sulla politica estera, "non concordate e spesso improvvide", sibilano alla Farnesina.
"Qualcuno ha calcolato che è stato il quarto dietrofront in pochi giorni. Aveva detto: niente dimissioni di Angelo Rovati. Niente dibattito parlamentare. Non vado alla Camera. Non vado al Senato. Ma alla fine, Romano Prodi si è rassegnato a presentarsi perfino davanti all'aula di Palazzo Madama per parlare di Telecom. La decisione chiude un cerchio. Riscrive e limita gli spazi di manovra del Presidente del Consiglio. Ma non perché esistano complotti per sgambettarlo, o alleati in grado di fare a meno della sua leadership.
Approfittando di impuntature ed errori, i partiti dell'Unione ed i vertici del Parlamento si sono tacitamente accordati per piegarlo alla volontà delle Camere.
Di fatto, è stato ridimensionato quello che hanno vissuto e sofferto come strapotere di Palazzo Chigi. I "no" prodiani diventati improvvisamente "sì" a denti stretti sono il risultato di questo sordo braccio di ferro istituzionale a distanza...
Quasi in una gara di emulazione, Bertinotti e il numero uno del Senato, Franco Marini, sono stati i più decisi nel pretendere che Prodi spiegasse in prima persona al Parlamento il pasticcio della Telecom. E lo hanno quasi obbligato a fare una cosa che riteneva inutile, e frutto esclusivamente delle trame avversarie. Ma la loro non è stata solo una rincorsa solitaria in nome del prestigio della carica. Bertinotti e Marini sapevano di avere dietro l'insofferenza della maggioranza per il modo di agire del "partito di palazzo Chigi"; e la gran voglia dell'opposizione di annettersi una "vittoria del Parlamento" nei confronti di Prodi...".
C'era un tempo in cui gran parte del popolo della sinistra non prendeva in considerazione le tesi e gli argomenti dei moderati soltanto perché non comparivano sulle pagine del quotidiano del Pci. "L'Unità non lo dice", affermavano i compagni, e tanto bastava poiché soltanto il quotidiano fondato da Antonio Gramsci era ritenuto depositario e dispensatore del verbo.
Ebbene, gli scatti, i contorcimenti e la gaffes del Prodi costituiscono un disastro politico e istituzionale così grave che nessuno vuole e può nascondere: anche L'Unità, alfine, lo dice. E con brutale chiarezza, in un crescendo di critiche, ironie, incitamenti a chiarire il ruolo del Professore nel pasticciaccio brutto della Telecom. Che siano matti anche all'Unità?
Sta di fatto che quando è saltato fuori il piano stilato da Angelo Rovati per Telecom, il direttore del quotidiano organico ai Ds, Antonio Padellaro, ha commentato con durezza: "Sul premier e sul suo consigliere si è rovesciato di tutto e di più. Giustamente, aggiungiamo noi, se tutto questo riuscirà a impedire che in futuro si ripetano gli errori andati a ripercuotersi sull'immagine di Prodi e del suo governo".
E quando il Professore comincia a cedere e designa Gentiloni a riferire in Parlamento, è Pasquino a incalzare: "Deve venire di persona". Ancora: quando il premier furioso e dimezzato infine si arrende e si rassegna, chiosa: "Difficile giudicare in modo positivo la lunga incertezza per una decisione che il buon senso avrebbe dovuto indirizzare subito nella direzione giusta".
E poi i titoli. Prodi afferma di non avere sbagliato niente? "Infallibile". Le gaffe si moltiplicano? "Non vado. Anzi sì...Tutte le svolte di Romano il cinese". Non esiste un caso Telecom-Governo? "Rovati, un caso nel centrosinistra. Prodi irritato dal pressing dell'Ulivo". E via dicendo.
E singolare che a far rimarcare le durezze dell'Unità nei confronti di Romano Prodi sia stato il Corriere della Sera con questa puntigliosa citazione.
Il giornale fondato da Gramsci è stato, in questi giorni difficili per il viaggiatore cinese, la puntuale espressione del disappunto, del maldipancia e delle critiche della Quercia nei confronti del presidente del Consiglio. "Non siamo più in campagna elettorale - spiega Padellaro -Prodi è al governo, e il nostro compito dev'essere di incalzarlo e denunciarne i passi falsi, non di lodarne le gesta a prescindere. Nel caso Telecom, le incertezze e gli errori di comunicazione sono sotto gli occhi di tutti".
Sulle pagine dell'Unità hanno trovato sfogo, dunque, i risentimenti e le critiche per Prodi di un ampio spettro della dirigenza diessina, da D'Alema ad Angius, da esponenti della sinistra interna alla Finocchiaro. Preoccupa i vertici della Quercia la tenacia con cui Romano Prodi tenta di crearsi un personale sistema di potere, basato sull'uso spregiudicato di poteri finanziari ed industriali, con una pericolosa commistione di pubblico e privato. Non è un caso, quindi, che per bocciare l'iperattivismo di Palazzo Chigi, dalle alchimie bancarie al protagonismo in politica estera, anche l'Unità abbia sentito il bisogno di criticare le tentazioni del dirigismo.
La guerra a Prodi, dall'interno dell'Unione, continuerà. Quella della caduta per "implosione" è un'ipotesi basata su un'analisi corretta delle dinamiche politiche. E ad avviare il processo d'implosione sarà una mano di sinistra.
Come può l'opposizione di centrodestra monetizzare la crisi della sinistra che si manifesta nella debolezza di Prodi?
Premesso che solo la maggioranza ha il potere di auto-dissolversi e finché si astiene resta al governo, l'opposizione di centrodestra può solo mettere in evidenza le contraddizioni della sinistra, i suoi giochi interni di potere, la sua irresistibile vocazione a mescolare affari e politica, la sua incapacità - a cinque mesi dalle elezioni - di esprimere una linea coerente di politica economica tanto che le autorità internazionali manifestano seri dubbi che il governo Prodi possa fare le riforme strutturali indispensabili.
Le difficoltà della sinistra hanno l'effetto di compattare il centrodestra, al di là della volontà di alcuni suoi protagonisti: Casini, ad esempio, sulla questione Telecom è stato molto duro.
La questione è: conviene a Forza Italia guidare l'assalto al centrosinistra e al governo Prodi (che non sono la stessa cosa)?
Senza dubbio Forza Italia non può restare alla finestra, ma forse sono sufficienti interventi limitati a poche ma efficace battute demolitrici dell'immagine di Prodi e della sinistra, senza rischiare un affondo che potrebbe non riuscire, cioè la pura e semplice caduta del governo sostituito da un altro più solido che tenga la Casa delle Libertà fuori gioco.
Il lavoro grosso, l'attacco "con la fanteria", può essere lasciato agli altri leader, che saranno costretti a gareggiare nella virulenza degli attacchi alla sinistra e a Prodi, riducendo sempre più la possibilità di giustificare poi dei passaggi di campo.
In questa fase alla Casa delle Libertà potrebbe convenire di più mantenere le carte coperte, far crescere negli alleati e nell'opinione pubblica il desiderio del suo ritorno al potere, altrimenti la sua voce sarebbe una tra le tante che in questo momento si levano contro Prodi e, soprattutto, darebbe alla sinistra l'opportunità di attaccarlo come bramoso di rivincita e di tornare al più presto al potere.
L'obiettivo attuale del centrodestra deve essere quello di dimostrare ai cittadini la radiografia, la tac del modo di governare della sinistra.
Questo è infatti il modo di sgretolare alla base il consenso del centrosinistra, per implosione.
La vicenda delle intercettazioni illegali e del sistema di controllo illecito istituito in Telecom indubbiamente colpisce per la sua portata e per le sue implicazioni, ma appare anche controversa, ricca di zone d'ombra e di tempistiche a dir poco sospette. Tanto che persino il quotidiano della sinistra riformista non ha potuto fare a meno di accomunare le invettive e l'irritazione di Prodi nei confronti dell'ex Presidente Tronchetti Provera con la solerte azione avviata dalla Procura (guarda caso) di Milano nei confronti dell'azienda.
In Italia siamo sempre più abituati a vedere, o meglio a subire, una a dir poco sospetta concordanza di tempi e di finalità fra poteri che dovrebbero essere autonomi fra loro, e anzi controllarsi l'uno con l'altro. Invece, una parte della magistratura interviene sulle vicende politico-economiche del Paese con sorprendente puntualità, quasi a rispondere a un richiamo "esterno", sempre lo stesso. Ecco quindi che, nel Paese in cui vi è un sistema di intercettazioni telefoniche "legali" che non ha pari al mondo e che mina gravemente il diritto alla privacy dei cittadini, anziché aprire un fascicolo per associazione a delinquere a fini di speculazione nei confronti di chi prima ha aggredito e poi cercato di influenzare, dalle stanze del governo, le scelte di un'azienda come Telecom, scatta un'operazione giudiziaria proprio ora che l'Azienda si trova di fronte alla necessità di prendere decisioni delicatissime.
Gli abusi vanno puniti, su questo non ci sono dubbi, soprattutto da parte nostra che della tutela della privacy abbiamo sempre fatto una bandiera di libertà. Ma senza coprire le responsabilità di Prodi sull'affare Telecom.
Speriamo che sia il presidente Guido Rossi, appena nominato ai vertici di Telecom, il primo a mostrare fermezza in questo senso, studiando al più presto azioni di responsabilità e tutele giudiziarie a favore dell'Azienda e dei suoi azionisti. E senza lo strabismo messo in evidenza da commissario della Federcalcio.
Da un paio di giorni, sui telefonini, scorre un messaggio "indirizzato ai comunisti". Ecco il testo: "Ora che il tuo Governo ha mandato i soldati in Libano, ora che sta per tagliarti le pensioni, ora che ti obbligherà a pagare con gli assegni, ora che ha liberato ladri, assassini e truffatori, ora che stabilirà per legge il periodo delle tue ferie, ora che aumenterà le tasse, ora che taglierà i fondi ai Comuni.... Ammettilo: inizi a sentirti un po' coglione? Beh, qualcuno ti aveva avvertito!".
Questo sms la dice lunga sul clima politico che si sta respirando in Italia da quando il Professore - saccente, presuntuoso e irritante - è tornato ad abitare a Palazzo Chigi.
Il suo Governo non ne ha azzeccata una e un volumetto andato in edicola proprio in questi ultimi giorni offre uno spaccato inglorioso dei "Primi cento giorni" di Prodi: un rosario di errori, di violenze politiche, di furbate, di incidenti di percorso, di pietose retromarce.
E ancora doveva scoppiare il caso Telecom e l'infelice gaffe sulle Guardie svizzere che, secondo il premier, dovrebbero garantire la sicurezza del Santo Padre! Una battuta infelice che ricorda, drammaticamente, la domanda che Stalin rivolse ai suoi collaboratori: "Quante divisioni ha il Papa?".
A Prodi sono saltati i nervi, ma anche la compagine governativa che gli sta attorno non gode buona salute. E gli italiani se ne sono, purtroppo, accorti in ritardo e sulla loro pelle.
Di Pietro contro Mastella, Bianchi contro Di Pietro tanto per citare i casi più eclatanti ai quali si accompagnano l'arroganza della Turco, la falsa ironia di D'Alema, il nulla di Rutelli, il vampirismo di Visco, l'inesistenza di Padoa Schioppa, il finto militarismo di Parisi... Insomma quello di Prodi è sempre più un governo che "se lo conosci lo eviti". Un vuoto a perdere.
Gli italiani se ne sono accorti. Eccome! Da ieri circolano sondaggi che fotografano un'Italia un po' diversa da quella che è rappresentata oggi in Parlamento. Una Casa delle Libertà in forma al 49,5% rispetto al 48,6% dell'Unione. Forza Italia è in ripresa (più di 4 punti) così la Lega (più di 3 punti). Cala di un punto Alleanza Nazionale mentre l'Udc - con buona pace di Casini & C. - appare in crisi profonda: meno quasi 4 punti.
Sul fronte opposto tutti i partiti dell'Unione sono in calo, salvo l'Udeur di Mastella e l'Italia dei Valori di Di Pietro che non solo tengono ma aumentano di qualche punto percentuale.
Ma quello che balza agli occhi sono gli indici di gradimento: mentre il Cavaliere avanza al galoppo (4 punti in più) persino il Presidente della Repubblica registra un forte calo, per non parlare di Marini, Bertinotti e, prima di loro, Prodi.
Una Caporetto annunciata. Il fattore "C" che doveva accompagnare Prodi nel suo secondo mandato a Palazzo Chigi e' venuto meno: al suo posto il fattore "S" (sfiga) che i maligni vogliono addebitare a quel Silvio Sircana, portavoce del Professore.