"Per prendere tempo con un sindacalista, basta aprire un tavolo di trattativa", diceva ieri notte un alto funzionario di Palazzo Chigi. E così è stato alla fine della cena di Prodi con Cgil, Cisl e Uil. Non uno, ma tre tavoli di negoziati verranno aperti nei prossimi giorni con i sindacati. Obbiettivo: diluire le tensioni fra governo e sindacati sulle pensioni; dare modo alla Cgil di metabolizzare il suo allontanamento dal fronte comune con Cisl e Uil.
Guglielmo Epifani è infatti il grande sconfitto del primo confronto sulla previdenza fra governo e sindacati. Non sa cosa dire, e tace. A cena, Prodi e Padoa Schioppa hanno fatto chiaramente capire ai sindacati che non possono non intervenire sulle pensioni. Lo chiede Almunia, lo chiede il Fondo monetario, lo chiede l'Ocse. Quindi, qualcosa devono fare. E visto che nel programma dell'Unione hanno scritto nero su bianco che si impegnano ad eliminare lo "scalone" della riforma Tremonti-Maroni (tutti a riposo a 60 anni con 35 anni di contributi, anziché i 57 anni attuali), devono applicare la riforma Dini. Cioè, devono rivedere-ridurre i coefficienti di calcolo dei futuri assegni previdenziali. Soluzione che comporta implicitamente un taglio delle pensioni per chi va a riposo.
Contro questa soluzione, Uil e Cisl dicono chiaramente che, piuttosto che ridurre gli assegni dei futuri pensionati, è meglio far restare in vita lo "scalone". Epifani non lo può dire.
"Il mio programma è il vostro programma", disse Prodi al congresso della Cgil. Una frase che al leader di Corso Italia impedisce ogni libertà di manovra. La sua "inazione" gli è già costata i fischi di Mirafiori. E piuttosto che prenderli nuovamente (conseguenza naturale della riduzione dei coefficienti), gli altri due sindacati sono pronti a tutto. Fino al punto di privilegiare la riforma Tremonti-Maroni a quella accennata da Prodi.
Una soluzione, questa, che per Epifani rappresenterebbe la sconfessione di anni di opposizione al governo Berlusconi. Ed una presa di distanza da Prodi, un "governo amico".
Per queste ragioni, il silenzio di ieri sera del leader della Cgil è stato assordante.
Di fronte al suo popolo, il popolo di Mirafiori, non può assumere i panni della "quinta colonna" del governo dentro il pianeta sindacale. Ed al tempo stesso, nelle riunioni di governo non può prendere apertamente le distanze dall'azione di Prodi per via di quella tessera dei ds che tiene nel portafoglio.
In più, sul piano personale, Epifani sa bene che gli sconvolgimenti della galassia diessina finiranno prima o poi per coinvolgerlo. Ed in attesa del congresso ds, Epifani tace e finisce isolato da tutti: governo e partner sindacali. Sarà difficile per Padoa Schioppa tradurre in inglese e spiegare a Bruxelles che se l'Italia non applica la riforma Tremonti-Maroni sulle pensioni (apprezzata da Almunia la settimana scorsa) è per i "patimenti del giovane Guglielmo" Epifani.
Sabato scorso, a Genova, Silvio Berlusconi ha detto si essere lui il campione delle liberalizzazioni, aggiungendo che se non ha potuto fare quello che avrebbe voluto, è stato per la resistenza di alcuni alleati.
In realtà il governo Berlusconi non solo ha avviato alcune liberalizzazioni strategiche, come la riforma del mercato del lavoro e la riforma del sistema previdenziale, ma l'approvazione e l'avvio delle grandi infrastrutture è di per sé una prima grande liberalizzazione.
Il lavoro compiuto dal precedente Governo è stato propedeutico: le sue scelte sono la madre di tutte le liberalizzazioni indispensabili a questo Paese, per cui l'accusa che gli viene rivolta di non avere intaccato i corporativismi non tiene conto di quel lavoro e rifiuta che le liberalizzazioni specifiche sarebbero state il suo naturale proseguimento.
L'apertura di Berlusconi sulle liberalizzazioni è arrivata a prefigurare un contributo positivo del centrodestra a iniziative del centrosinistra in questo campo: si tratta di una posizione coerente perché se la sinistra farà qualche liberalizzazione autentica, lo dovrà alla breccia aperta dal precedente governo.
Questo non significa che Berlusconi cerchi le grandi intese fine a se stesse, ma chiarisce che la sua battaglia contro il governo Prodi non deve mettere in pericolo il valore del superiore interesse nazionale, perseguito dal centrodestra.
Ciò spiega anche la dichiarazione di Berlusconi (e di Bossi) di essere pronti a votare il rifinanziamento della missione in Afghanistan, altra chiara dimostrazione di coerenza.
E' proprio questa coerenza a rendere dura l'opposizione di Berlusconi a Prodi perché lo mette in difficoltà con l'ala sinistra della maggioranza.
E' certo infatti che se il Governo proporrà vere liberalizzazioni, non populistiche, come quelle che riguardano tassisti e parrucchieri, l'appoggio del centrodestra susciterà la reazione della sinistra.
Né si può pensare a un calcolo berlusconiano: appoggiare le liberalizzazioni affinché la sinistra estrema le blocchi.
La linea di Berlusconi infatti è chiara: dimostrare che Prodi è prigioniero della sinistra; così spetta proprio a Prodi dimostrare il contrario.
Il governo ha presentato come una svolta epocale la firma del "memorandum" del ministro Nicolais con i vertici sindacali sul pubblico impiego. Il testo indica alcuni obiettivi rilevanti sui quali si discute da anni: la mobilità, la valutazione dell'efficienza, la meritocrazia, la possibilità per esperti estranei all'amministrazione di accedere a tutti i dati sul lavoro pubblico. Ma si tratta soltanto di una petizione di principi, perché lo stesso memorandum non indica quali saranno gli strumenti per conseguire quegli ambiziosi obiettivi, anzi fissa un metodo che li renderà sempre più lontani e di fatto irraggiungibili. Il metodo è quello della contrattazione continua con i sindacati, che oggi Pietro Ichino sul Corsera, pure vicino al centrosinistra, chiama della "cogestione" dandone un giudizio negativo.
Un esempio del fumo che col memorandum si è voluto gettare negli occhi degli italiani è rappresentato dall'intesa sulla mobilità. Si è stabilito che la mobilità potrà realizzarsi soltanto spostando un impiegato nell'ambito della stessa provincia, e, soprattutto, soltanto quando l'impiegato lo chiede o è d'accordo, su base cioè "volontaria". Per il resto, i criteri di valutazione dell'efficienza si dovranno concordare coi sindacati e qualsiasi cambiamento o spostamento dovrà essere di volta in volta contrattato.
Insomma, il potere reale del sindacato si allargherà e in tutta la pubblica amministrazione avverrà ciò che abbiamo constatato nei decenni scorsi soprattutto nelle Poste, nelle Ferrovie, nell'Inps e nella Pubblica Istruzione. I sindacati intendono continuare a proteggere a ogni costo i pubblici impiegati (anche quelli improduttivi) e non sarà un timido memorandum a riportarli sulla via della responsabilità. E la forza frenante della burocrazia – della quale non saranno sfoltiti i ranghi – continuerà ad esercitarsi.
Vertici, riunioni notturne, cene di lavoro. Col metodo inaugurato a Caserta, senza successi rilevanti, il governo tenta di sanare la frattura profonda che si è creata al suo interno anche in politica estera. La sinistra radicale (comunisti, verdi, "movimenti" aggregati) non digerisce il rospo dell'allargamento della base Usa di Vicenza e preme perché il suo anti-americanismo venga premiato con un ripudio delle tradizionali alleanza atlantiche ed occidentali. La prossima mossa riguarda l'Afghanistan e, temendo le vendette degli estremisti irriducibili, suoi alleati di riguardo, Romano Prodi cerca un'intesa e con un vertice notturno cerca di rammendare gli strappi presenti e futuri. Un piccolo passo indietro ci fa ricordare che mentre sull'intervento militare in Iraq ci fu fin dall'inizio un contenzioso negli stessi Stati Uniti, sull'Afghanistan non ci sono mai stati dubbi: Onu, Unione Europea, Nato, Paesi arabi moderati e quant'altri sono stati tutti concordi sull'intervento perché i talebani avevano reso quello stato funzionale ad Al Qaeda e a Bin Laden il quale, fra l'altro, probabilmente è ancora rifugiato lì.
A Kabul, l'intervento americano, inglese, italiano e degli altri paesi partner è funzionale solo alla lotta al terrorismo islamico e come tale viene interpretato da tutto il mondo. Non si tratta di una generica guerra, ma di un intervento mirato.
Ora, se la sinistra radicale pone l'obiettivo di una exit strategy ciò vuol dire due cose: primo, che è del tutto inattendibile anche sul terreno della lotta al terrorismo e, secondo, che il suo antiamericanismo arriva al punto di favorire i terroristi islamici.
Tertium non datur: la sinistra di lotta e di governo passa dal pacifismo generico al fiancheggiamento politico del terrorismo fondamentalista.
Ora, con i tatticismi prodiani si prevedono nuovi esercizi di linguistica lenitiva: si dirà che la nostra missione a Kabul diventerà più umanitaria e meno militare, si lancerà la proposta di una conferenza internazionale allargata a quei gentiluomini dei talebani e dei governanti iraniani, si farà sfoggio di pacifismo e di buone intenzioni. E' prevedibile che un'intesa sarà trovata, per quanto divisi fra riformisti e radicali nessuno nell'Unione vorrà abbandonare le poltrone e il potere. Ma l'immagine dell'Italia nell'ambito internazionale è ormai sminuita, anche se il decreto sul rifinanziamento della missione afghana passerà. La linea dell'ambiguità porta alla perdita di prestigio e all'isolamento. I giri di valzer dell'Unione e di Prodi gettano un'ombra sui nostri rapporti con gli Usa, ma segnano un distacco anche nei confronti dell'Europa, che si accinge a smussare gli angoli nei suoi rapporti con gli americani. Sotto costante osservazione e sempre più soli: questi saranno i risultati della nuova politica estera del governo Prodi. E d'altra parte l'isolamento diplomatico strisciante dell'Italia ha una sua ragione di fondo: siamo l'unico Paese occidentale nel cui governo siedono, con motivazioni, argomentazioni e obiettivi vecchi di decenni, comunisti in servizio effettivo permanente.
"D'Alema e Rutelli sfoggiano la grisaglia ministeriale mentre Giordano, Diliberto e i Verdi indossano l'eskimo della lotta di classe. Divisi su grisaglie e eskimo, divisi su partiti di governo e partiti di lotta, divisi sulla base di Vicenza e sulla missione in Afghanistan, divisi sui Pacs e sulle pensioni, divisi su tutto, restano uniti soltanto dall'attaccamento al potere": lo dice l'on. Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
La questione dell'allargamento della base Usa di Vicenza ha scatenato una reazione a catena che ha coinvolto anche il rifinanziamento della missione in Afghanistan.
Prodi ha cercato prima di scaricare la colpa su Berlusconi poi smentito dai fatti e scoperto nella sua menzogna, ha provato a incolpare il sindaco di Vicenza. Ma nessuno, persino nella sua coalizione, gli ha creduto. Ovvio che la decisione di dire sì agli americani abbia provocato una risposta durissima da parte della sinistra radicale. Diliberto, a parole, sostiene di non avere più intenzione di fare sconti al governo.
Lo stesso dicasi per il suo partito, per Rifondazione comunista e per i Verdi. Il premier ha convocato le parti ma se le prese di posizione sono sincere il problema sarà di difficile soluzione.
A meno che il governo non s'impegni nella mozione a lasciare l'Afghanistan entro il 2008. Un impegno che consentirebbe al centrodestra di votare no al rifinanziamento.
Scalone sì, scalone no. Innalzamento dell'età o abbassamento? La partita delle pensioni è tutt'altro che chiusa. I cosiddetti riformisti, che purtroppo perdono sistematicamente la partita con i radicali, ammettono che il problema esiste e va risolto, anche perché la stessa Europa ce lo chiede. Ma non hanno la forza per imporlo a Prodi. La sinistra massimalista, gli ex comunisti, mettono sul tavolo questioni opposte al contenuto di una legge al passo con l'Europa: innalzamento delle rendite, abolizione dello scalone e anticipo dell'età pensionabile. Lo stesso Prodi non può accettare simili condizioni e – ancora una volta – prende tempo, dice tutto e il contrario di tutto, mentendo sulle reali condizioni di salute della sua coalizione. In pratica il premier a parole fa finta di essere in grado di gestire la situazione, nei fatti la subisce.
Sulla guerra intestina alla Quercia, in previsione del Partito Democratico c'è davvero poco da commentare, basta leggere i giornali, perché i diessini se le stanno dando di santa ragione a mezzo stampa. Se Fassino accontenta Mussi e la sinistra del suo partito, Angius reagisce. Se fa l'opposto, Mussi se ne va insieme con un bel pezzo dei Ds. Risultato? La Quercia perde foglie, rami e pure il tronco traballa. E se traballa il tronco della Quercia, figuriamoci con quali prospettive può nascere il Pd. Questa, come tutte le spine, hanno la caratteristica non da poco di pungere senza che l'opposizione di centrodestra apra bocca. Nella smania di accaparrarsi tutto e di fare tutto da sola, la sinistra riesce nella non facile impresa di crearsi autonomamente anche le fratture.
In Val di Susa sta per arrivare il ministro Bianchi. E la tensione sale: partono telefonate minatorie, viene messo a fuoco un ripetitore telefonico (con annessa rivendicazione delle Br), piovono volantini. Ma non è come accadrebbe in un Paese normale, con il governo che decide e parte della popolazione – soprattutto le frange più ideologizzate – che si ribella. No, è proprio all'interno dello stesso governo che si registra una netta opposizione alla Tav e conseguente appoggio a manifestanti ed estremisti, coccolati come di certo non meriterebbero. Anche questa è una perla del governo, lacerato fra chi vuole la realizzazione della Tav per farci restare e contare in Europa e chi, per un calcolo elettorale e di bottega, è deciso a sacrificare il bene del nostro Paese. E tutto, come sopra, si svolge solo all'interno della cosiddetta maggioranza.
Il modo in cui corre a sindaco di Palermo è la sintesi della coalizione – si fa per dire – di sinistra. Per poter sperare di vincere, Leoluca Orlando chiede pubblicamente le dimissioni di Prodi, attacca Marini e Rutelli e ironizza sul centrosinistra, riempie di complimenti due sindaci di centrodestra come la Moratti e la Poli Bortone e arriva perfino a rinnegare il suo passato giustizialismo, ammettendo che fu un errore processare Andreotti. In pratica, Orlando ha capito che per dare una speranza di vittoria alla sinistra, deve comportarsi, muoversi, parlare e pensare come un uomo di centrodestra. Sperando pure che qualcuno gli creda.
E' soltanto la "fase uno", ma tocca la bellezza di due milioni di proprietari di abitazioni: con aumenti medi di 80 euro per l'Ici e di 50 euro per l'Irpef (quest'ultimo aggravio solo per le seconde case). In tutto 200 milioni di tasse in più, capaci di annullare da subito i miserevoli vantaggi fiscali (per pochi) della revisione delle aliquote contenuta nella finanziaria e magnificata dal governo.
Il primo conto verrà presentato ai proprietari di abitazioni di tipo rurale e ultrapopolari. Che passeranno a breve nella categoria superiore, cioè "popolari". Secondo una ricerca del Sole 24 Ore, soltanto per queste categorie l'incremento delle rendite catastali sarà di 313 milioni di euro, portando così nelle casse pubbliche 179 milioni di Ici e 21 di Irpef.
Se è vero che, in larga parte dei casi, si tratta di un'operazione destinata a far emergere una larga sacca di evasione (quanti italiani non hanno il bagno in casa?), va annotato che questi primi 200 milioni non rappresentano che l'antipasto di una più che considerevole abbuffata per le casse statali e comunali.
Le unità immobiliari abitative sono in Italia 31,2 milioni, divise in dieci classi. Le nuove classificazioni, dunque, con passaggio alla categoria superiore, interesseranno molti più cittadini. Fatta questa operazione, che è di puro e semplice riordino di una situazione pregressa e certamente caotica, il conto che verrà presentato agli italiani sarà comunque molto, ma molto più salato.
Perché la fase successiva sarà quella della revisione degli estimi. Altri soldi verranno drenati dalla tasche dei proprietari, partendo dall'assunto che il valore reale delle abitazioni è enormemente cresciuto. La cosiddetta "bolla immobiliare" rischia di far schizzare a livelli insostenibili le rendite catastali, sulle quali viene calcolata l'Ici. Nella maggior parte dei casi si tratta di case acquistate da tempo e spesso ereditate, comunque acquisite a prezzo di grandi sacrifici personali e utilizzate come prima abitazione. Case che non sono fonte di reddito per i proprietari. L'aggancio, ai fini fiscali, al valore puramente immobiliare anziché alla redditività reale è un'operazione di pura e semplice voracità fiscale.
Il Patto di stabilità interna varato dal governo per i Comuni costerà (media nazionale) 53 euro a cittadino. Ma è la classica "media del pollo". Il miglioramento dei saldi di bilancio richiesto dalla manovra drenerà dalle tasche dei cittadini di numerose città cifre ben più imponenti: 221 euro pro capite a Venezia, 159 a Palermo, 152 a Torino, 115 a Siena e via dicendo.
Anche laddove la situazione delle casse comunali è più rassicurante, comunque i bilanci dei cittadini ne risentiranno: il minimo è di 17 euro pro capite.
Cofferati aveva avvertito il governo e i "suoi" cittadini sugli effetti della finanziaria. E' stato di parola, portando l'addizionale Irpef verso il raddoppio (da 0,4% a 0,7%). Nella scelta fra tagliare la spesa e far pagare più tasse, ha imboccato la seconda strada. Ma Bologna non è sola.
Si avverano così le previsioni del centrodestra, che aveva segnalato come gli sgravi fiscali tanto pubblicizzati dal governo sarebbero stati annullati dalle tasse locali (addizionali Irpef, Ici, aumento delle tariffe), dai ticket e dalle tante imposizioni aggiuntive contenute nella Finanziaria.
Un discorso a parte meriterebbe la rigidità di una norma che parifica le spese agli investimenti. Così accade che i contribuenti di Comuni virtuosi, siano danneggiati dagli impegni assunti per piani di investimento destinati a migliorare la vita dei cittadini. E che ai sindaci venga lasciata piena libertà di decidere come ripianare i conti, senza distinzione "premiale" fra chi decide di tagliare le spese inutili e chi imbocca la strada più facile di ingrassare il sistema delle clientele.
Il Tg1 di domenica sera è stato impostato, per fare un favore al governo, su uno dei grandi miti del centrosinistra: la concentrazione. L'apertura del tg è quindi andata al vertice di Palazzo Chigi tra governo e parti sociali con ampio spazio per inviati e interviste. Toni trionfalistici per un avvenimento di pura routine che non avrà nessun seguito.
Di conseguenza alla missione italiana in Afghanistan il Tg1 ha dato poca rilevanza e una manciata di secondi alla voce dell'opposizione: circa venti secondi per il Polo più dieci per Casini, tutto il resto alla maggioranza e al governo.
Da questo si deduce facilmente che lo spazio politico nel servizio (durata 1'30") è tutto sfacciatamente a favore del centrosinistra.
Stemperare, stemperare, stemperare… questo il motto del Tg di Stato quando si tratta di coprire le laceranti divisioni all'interno dell'Unione.
Il commento di Mastella in video e voce ("La sinistra, quella radicale, si ricordi che se saranno decisivi i voti del centrodestra il governo avrà delle conseguenze…") viene giudicato addirittura un tentativo di avvicinamento verso la vasta area no-global dell'Unione.
Il Tg1, insomma, dopo il senso della realtà ha perso anche quello del ridicolo: è un concentrato di messaggi diretti o indiretti tesi a convincere il telespettatore sull'efficienza del governo. Una missione impossibile.
La sinistra non ha mai svolto un'analisi completa del proprio passato extraparlamentare. Anzi, coloro che un tempo erano sovversivi, se non brigatisti o appartenenti ad altri nuclei armati anti Stato, sono stati spesso ricollocati addirittura nelle istituzioni.
Ma mai come ora, gli "irriducibili" stanno conoscendo un'accelerazione nella riabilitazione pubblica. Così, Curcio parte per un tour accademico in Puglia; Scalzone, pronto a tornare in Italia, dichiara che le sue idee non sono cambiate, che bisogna superare la forma di Stato. A questi si aggiunge il neo cattivo maestro Sanguineti, attuale candidato sindaco a Genova per Rifondazione Comunista, il quale esalta l'odio sociale e afferma che a Tienanmen i giovani schiacciati dai carri armati comunisti aspiravano solo alla Coca Cola.
C'è di che essere preoccupati perché i destinatari di questi messaggi sono soprattutto le giovani generazioni. E' chiaro, infatti che, proprio per aver vissuto una stagione in cui "da giovani" volevano distruggere il sistema, ora impregnati di un paternalismo ideologico, gli irriducibili pretendono di ergersi a guide per i giovani di oggi.
Il rischio è alto: nel nostro Paese l'humus dell'eversione politica non è un fatto da archivio storico. Lo smantellamento delle nuove Brigate Rosse è ancora in corso e recenti arresti (come quello del br Matteini) hanno portato alla luce tentativi di reclutare nuovi adepti nei centri sociali.
I giovani di Forza Italia sono pronti a denunciare ogni tentativo di ritorno sulla scena politica e culturale dei "cattivi maestri", vecchi o nuovi che siano, e a manifestare pubblicamente contro chi si ostinava a non cambiare idea, come già abbiamo fatto durante l'intervento di Curcio all'università di Lecce. Perché, noi giovani di Forza Italia siamo convinti che è piena responsabilità politica di questa sinistra, con la sua rete di solidarietà condotta da giornali, case editrici e programmi televisivi, se ci troviamo di fronte al pericolo di diffusione di messaggi di odio che possono ancora riportare alla luce un incubo che è stato dolorosamente arginato soltanto grazie ad una forte volontà politica.