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il Quaderno del 23 gennaio

Governo/Unica verità: la menzogna come un'arte

Churchill amava dire che in guerra la verità abbisogna di una scorta di menzogne. Per Romano Prodi, in questo più churchilliano di Churchill, la politica è un convoglio di menzogne sotto scorta d'improntitudine. Qualche esempio, per non dimenticare con chi abbiamo a che fare:

Il commissario dell'Unione europea Joaquin Almunia, ha avvertito l'Italia che considera la manovra attuata da Prodi, col pretesto di portare il deficit sotto il 3%, nient'altro che un trucco da prestigiatore. "Dopo il 2007 non ci sono dettagli sulla strategia di aggiustamento dei conti pubblici – si legge nell'odierno rapporto alla Commissione – e questo rappresenta un rischio per il raggiungimento degli obiettivi di bilancio". Il debito pubblico elevato e l'aumento della spesa previdenziale rende necessario "attuare le riforme delle pensioni già adottate". Quelle stesse riforme che la sinistra rifiuta e che Prodi vuole aggirare con il trucco del "nuovo patto sociale".

Governo/Unico punto d'accordo: resistere

A Caserta è stato raggiunto un accordo: quello di mettere da parte le divisioni programmatiche e politiche a favore di una linea di aggiustamento e di compromesso con l'obiettivo prevalente di restare al governo. D'Alema ha realisticamente preso atto dell'esistenza di posizioni inconciliabili all'interno del governo, che possono convivere solo mediando al ribasso e grazie al collante comune del potere.

Questa linea è stata esposta chiaramente da Bertinotti nell'intervista rilasciata al Corriere, in cui ha ammesso onestamente che l'obiettivo è quello di durare. Il governo - ha detto il presidente della Camera – "ha il dovere di durare".

Questo governo andrà avanti nonostante tutto? I contrasti più assordanti e clamorosi, i battibecchi più ridicoli li fermeranno e li indurranno a prenderne atto?

Il terrore delle elezioni, con la prospettiva di non tornare più al governo per decenni come li ha più volte minacciati Prodi, è un deterrente efficace al rischio di una crisi. Oltretutto, la ricerca di compromessi sulle questioni più delicate e controverse, come la riforma delle pensioni, sarà agevolata dalle maggiori entrate fiscali e dallo stato dei conti pubblici che consentiranno al governo di trovare qualche accordo con i sindacati e l'estrema sinistra.

D'ora in avanti, inoltre, occorre aspettarsi una grande disponibilità di spesa da parte di ciascun ministro, destinata ad essere utilizzata secondo i metodi già sperimentati nelle regioni rosse.

E poi troveranno un rinnovato collante politico nell'attacco a Berlusconi e alle sue aziende, soprattutto nel campo delle televisioni. Diversamente dal passato, questo attacco non sarà solo di natura politica, ma potrà contare anche sulla convenienza e quindi sul sostegno attivo di una parte del mondo imprenditoriale italiano.

La risposta dunque deve essere forte sul piano politico, attraverso una opposizione senza sconti e senza aperture, con la capacità di non dire solo dei no, ma di irrobustirla con proposte alternative e innovative. Naturalmente il passaggio delle elezioni amministrative sarà fondamentale per creare le condizioni di una crisi di governo. A patto naturalmente che l'opposizione sappia approfittarne e presentarsi unita e con candidati credibili nelle città più importanti che vanno al voto.

Sinistra/Uniti dal collante del potere

La rappresentazione plastica di cosa sia questa maggioranza di centrosinistra è data dalle posizioni espresse da Prodi che dice "la maggioranza va avanti tranquilla, troveremo un'intesa e non lasceremo l'Afghanistan" e Pecoraro che detta "tre condizioni oppure il governo non c'è più". Oppure dalla diatriba sulla previdenza, con le diverse sfumature - che in realtà sono voragini - tra il ministro Damiano e il suo collega Ferrero, e con Bertinotti che mette il suo cappello istituzionale sulla linea ultrasociale avvertendo che una riforma che alza l'età pensionistica agli operai non è una riforma.

Tutto e il contrario di tutto, insomma, un ossimoro indigeribile e paralizzante che fa procedere la nave del governo sempre più inclinata senza tuttavia farla mai affondare. Afghanistan, Vicenza, pensioni, legge Biagi, Pacs, eutanasia: temi cruciali sui quali l'Unione procede costantemente in ordine sparso, tra un rinvio parlamentare e l'altro con l'intermezzo di qualche verifica e di molte questioni di fiducia poste alla Camera e al Senato e a cui le forze di maggioranza si assoggettano, avendo in comune il solo obiettivo di "votare per durare", e conseguentemente di allargare l'area clientelare del potere e del sottopotere.

Governare è un'altra cosa, è avere una solida strategia politica, una precisa visione di sviluppo, un'idea innovativa del Paese, e di tutto questo non c'è neppure l'ombra nel programma-babele uscito dall'officina di Prodi. Ma che importa? Al Professore va bene così, perché il disequilibrio di maggioranza è la situazione ideale per fare del premier l'unico possibile elemento di coagulo di una coalizione in cui chi ha più voti - Ds e Margherita - conta molto meno di quanto dicono i numeri, ma deve subire i ricatti dell'ala radicale indispensabile per la sopravvivenza del governo.

Ne esce così una politica a doppia grammatica, una sorta di convergenza parallela tra due anime lontane ma forzatamente complementari che non riescono a fornire una cifra accettabile di governo ma galleggiano sui problemi e li bypassano mirando unicamente alla conservazione del potere. C'è la sensazione di assistere a un colossale gioco delle parti in cui la sinistra, non nascondendo le sue divisioni, tende a coprire ogni spazio della politica, facendosi maggioranza e opposizione e forza di piazza e di governo. E' un gioco pericoloso e, probabilmente, dal corto respiro, ma sembra destinato a funzionare almeno fino a quando il prezzo elettorale per i Ds, che vedono riprodotte al proprio interno le spaccature della coalizione, diventerà troppo oneroso. E dunque non facciamoci ingannare dal nuovo balletto di dichiarazioni e di indiscrezioni sui tre ministri che sarebbero pronti a non votare il decreto sull'Afghanistan perché non si fidano di D'Alema, o su un plotone di almeno "dieci cecchini" pronti ad affossare il provvedimento al Senato. Per ora Prodi la quadra è in grado di trovarla. Per ora.

Sinistra/Kabul, missione a rischio

Il governo è costretto a lanciare un'offensiva diplomatica per cercare di sanare la frattura profonda che si è aperta sulla politica estera.

Operazione difficile, perché le direttive della sinistra radicale – pur con qualche sfumatura di differenziazione – sono sostanzialmente nette e puntano al ritiro della missione militare dall'Afghanistan. In omaggio a un anti-americanismo viscerale ed ideologico, a un pacifismo utopistico, al disprezzo degli obblighi internazionali liberamente assunti dall'Italia.

Romano Prodi e la sinistra meno settaria non hanno la forza per vincere il braccio di ferro con Comunisti e Verdi e allora ripiegano sui contorsionismi verbali, sulle mezze concessioni per limitare gli effetti devastanti di un contrasto interno che denuncia al mondo intero la fragilità dell'attuale governo di Roma.

Ecco allora che il governo "mantiene fede alla parola data" – costretto dalle pressioni dell'opposizione di centrodestra – ma vuole cambiare il volto della missione italiana: non un soldato in più, ma più civili, più aiuti per la ricostruzione di quel Paese tormentato, forse la proposta di una conferenza internazionale di pace, per discutere perfino con i talebani e gli iraniani. Basteranno questi "ritocchi" a placare la sinistra radicale?

In Senato, settore debole del fronte dell'Unione, si fanno i conti e si ritiene che saranno almeno dieci i senatori della sinistra estrema che voteranno contro il decreto di rifinanziamento della missione. E poi, c'è l'opposizione su questo specifico tema, di almeno un senatore a vita.

Alla luce di queste posizioni e di queste prospettive, gli sforzi di Prodi e di parte del suo governo appaiono uno sterile esercizio. La sinistra estrema deve anche blandire la sua base, sul piede di guerra dopo le decisioni sulla base Usa di Vicenza, i loro alleati non riescono a imporre il rispetto degli obblighi e della credibilità italiani. E comunque il governo è in un vicolo cieco ed è molto difficile inventare una exit-strategy che gli consenta di venirne fuori.

Il senso di responsabilità, politica e storica, del centrodestra farà sì che l'Italia possa onorare i suoi impegni, ma sarà chiaro a tutti che Prodi e il suo esecutivo sono incapaci di esprimere una politica estera degna del Paese e del suo ruolo.

Così come sono incapaci, per l'interna disomogeneità, di una politica economica adeguata ai tempi e alle sfide che ci attendono.

Afghanistan/Bonaiuti, sinistra voti e non si annodi da sola. [Agenzia Ansa del 22 gennaio 2007, h. 17,54]

"La sinistra si annoda su se stessa per cercare di trovare una soluzione condivisa da tutti sul rifinanziamento della missione in Afghanistan". Lo afferma in una nota l'on. Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi.

"'Ma - aggiunge il deputato azzurro - la via d'uscita è una sola: votare sì, senza condizioni, alla nostra missione di pace. Tutto il resto - conclude Bonaiuti - sono le solite, inutili chiacchiere".

Sinistra/Pensioni, l'Europa bussa. Invano

"Occorre attuare le riforme delle pensioni già adottate". Bruxelles su questo punto non demorde. Scontata, dopo la spremitura della finanziaria, la promozione del programma di stabilità italiano, la commissione Ue non fa sconti al governo: "Dopo il 2007 non ci sono dettagli sulla strategia di aggiustamento dei conti e questo rappresenta un rischio per il raggiungimento degli obiettivi e rende difficile un'appropriata valutazione". Segue l'ennesima bordata sulle pensioni.

I vertici dell'Europa avevano apprezzato la riforma Tremonti-Maroni per i risparmi strutturali che comporta, ma di fronte alla dichiarata volontà di questo governo di abolire lo "scalone", chiedono una riforma che comunque porti a tagli nella spesa previdenziale.

A questa precisa richiesta dell'Europa - che valuta correttamente gli effetti del trend demografico e delle aumentate aspettative di vita – il governo Prodi non sa come e cosa rispondere. Nell'esecutivo e nella maggioranza ci sono posizioni discordanti e si avverte, anche su questo tema, la pressione aggressiva della sinistra radicale che vuole tutto, subito e per sempre: abolizione dello "scalone", nessuna revisione dei coefficienti di calcolo, aumento consistente per le pensioni più basse.

Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, di Rifondazione comunista, sostiene che "le risorse ci sono" e quindi si dovrebbe finanziare questo piano visionario. Il ministro diessino Cesare Damiano, che nelle scorse settimane si era pronunciato per un graduale innalzamento dell'età pensionale, fa marcia indietro e dichiara: " Non alzeremo l'età pensionabile". Fortemente critica su quest'orientamento di una parte del governo è Emma Bonino, ministra per le politiche comunitarie. I sindacati, dice, non hanno il monopolio delle soluzioni, l'esecutivo valuti anche le richieste dell'Europa. L'altro esponente radicale, Capezzone, sostiene che "la sinistra comunista e sindacal-conservatrice sta vincendo su tutta la linea".

In mezzo, schiacciati, timidi e confusi, i cosiddetti riformisti, che vorrebbero le riforme ma accettano i "diktat" della sinistra estrema e di Romano Prodi, riformisti dei quali la Cdl denuncia da tempo la sconfitta, un'autentica Caporetto. E anche l'amico Corriere della Sera avanza il sospetto che i riformisti presenti nel governo possano essere "riformisti con la retromarcia".

Preso nella morsa delle contraddizioni e della (dis)Unione, Prodi tace, rinvia e il problema della previdenza finisce in coda nell'agenda degli incontri con le parti sociali, nell'assurda speranza che un il trascorrere del tempo possa modificare la situazione.

Ma il rinvio è una prova d'irresponsabilità: studi e previsioni attendibili hanno dimostrato che non innalzare l'età per l'uscita dal lavoro significherà pensioni da fame per i giovani che adesso entrano nel mondo del lavoro.

Sinistra/Il compagno che ruba ai compagni

La notizia è assai gustosa, divertente da scrivere, piacevole da leggere, emblematica nella sua sostanza: anche i comunisti duri e puri prendono i soldi e scappano rovinando parenti e amici e approfittando di un lavoro che certo non è usuale per la falce e il martello, quello del broker.

La notizia è di quelle da non perdere, ma ovviamente – poiché ad esserne colpito nell'immagine è un partito della coalizione di governo, Rifondazione comunista – non ce n'è traccia né sul Corriere della Sera né su Repubblica. E non ci vengano a raccontare che si tratta di un fatto secondario, non degno di attenzione, visto che La Stampa gli dedica una prima pagina, dal titolo: "Compagni che sbancano" e anche un lungo servizio all'interno.

La storia è semplice nella sua gravità: Gianluca Merchiori, ex candidato sindaco di Ferrara nel '95, comunista di quelli tutti d'un pezzo al punto da mollare Bertinotti nel 2003 dopo il nuovo accordo con l'ex democristiano Prodi, da qualche mese si era messo a fare il broker. Di mattina manifestava contro gli Usa e nelle pause giocava in borsa e prometteva a parenti e amici lauti guadagni, interessi dal 2 al 4 per cento al mese, se avessero investito i risparmi in un finanziamento dell'esercito americano (proprio così). Gli hanno creduto in molti, fino ad affidargli complessivamente la ragguardevole cifra di 2 milioni di euro. I primi mesi Merchiori consegnava ai suoi ignari clienti-amici i proventi di questo straordinario affare. Poi, a Natale, il compagno Merchiori è scomparso. Nessuno l'ha più visto ma in compenso coloro che gli avevano affidato i loro soldi (chi impegnando i risparmi, chi ipotecando la propria casa) hanno ricevuto una lettera: «Ho fatto una cazzata enorme, uno sbaglio incredibile. Adesso sono in un posto molto caldo, non ti posso spiegare. Ma te lo giuro, lavorerò come un pazzo per rimborsare te come tutti gli altri». A lume di naso, il posto caldo non è certo Cuba ma il Venezuela di Chavez, né Merchiori è partito per motivi politici. E' scappato con i soldi. Il comunista che diceva "Chi te l'ha detto che i soldi li possono fare solo quelli di destra?", ha sfatato un altro mito nel quale credeva la sinistra: che i compagni non rubano. Sarà forse per non creare troppi traumi a sinistra che Corriere della Sera e Repubblica hanno preferito insabbiare la notizia…

Sinistra/Revisionismo e pentimenti tardivi

Leoluca Orlando, in prossimità delle primarie sinistre per la corsa al Comune di Palermo, "revisiona" il suo giudizio politico e storico (ma non etico) non su Craxi o altre trapassate figure politiche, bensì sul vivo e vegeto Andreotti.

Ecco quanto ha detto: "In passato abbiamo affidato una delega eccessiva alla magistratura, rimettendole il giudizio politico...fosse dipeso da me, Andreotti non sarebbe mai stato inquisito perchè, inquisendolo, mi hanno sottratto un argomento politico...".

Il cattivo di ieri diventa buono (e utile) oggi, Orlando giura che in campagna elettorale non farà il nome di Berlusconi, ma quello di Andreotti sì! L'avversario politico di oggi non conviene affatto chiamarlo in causa (soprattutto quando è in testa in tutti i sondaggi), meglio parlare del passato e magari compiacerlo piuttosto che confrontarsi col presente.

Qualcuno, malignamente, ha definito il revisionismo come quell'atteggiamento tipico di chi ha un interesse personale a rileggere la storia e, per suo uso e consumo, riesuma figure del passato per compiacenza degli eredi, non solo quelli legittimi ma anche quelli culturali.

Recentemente, in prossimità di anniversari e ricorrenze particolari, l'etichetta di revisionista si è ripreso ad appiccicarla sulle spalle di chi ha provato a cambiare il senso finora percorso dalla storia su personaggi "forti" del nostro passato recente come Bettino Craxi. Colui che, nel corso della tempesta Tangentopoli, ha rappresentato la sintesi del peccato partitico targato anni '80, la più completa espressione di corruzione e vizio istituzionale della storia repubblicana, adesso è nuovamente al centro del dibattito politico.

Legittimo e giusto che si ridiscuta la storia, ma è altrettanto curioso che siano i carnefici a piangere la vittima.

Sinistra/Genova ubriaca di Coca Cola

Ora sappiamo, finalmente, la verità su piazza Tienamen. La rivolta degli studenti, che chiedevano libertà e giustizia, fu schiacciata dalla Coca Cola. Non venne repressa e affogata nel sangue dai carri armati del governo comunista, ma annientata dalle lattine della multinazionale Usa, simbolo da sempre del bieco capitalismo con il quale la Cina si è alleata.

La pensa così il segretario genovese di Rifondazione, Bruno Castorino, che su Liberazione risponde alle incredibili e stralunate dichiarazioni del poeta Sanguineti, candidato di quel partito per le primarie dell'Unione.

Quest'ultimo prima aveva rivendicato la necessità di tornare all'odio di classe, poi aveva dato la sua lettura dei moti di piazza Tienamen: "Quegli studenti erano sedotti dai miti occidentali, volevano la Coca Cola". Il suo segretario lo rimbecca: no, la Coca Cola era il carburante dei carri armati, la Coca Cola ha vinto. "Vennero alzati i grattacieli, si accesero i neon, si accasarono le più grandi imprese…Coca Cola, grattacieli e neon li portarono quelli che ordinarono ai carri armati di andare avanti".

Siamo al delirio. A una tesi di sinistra estrema, Rifondazione replica andando ancora più a sinistra. Abbiamo tutti capito male: quegli studenti non chiedevano più democrazia, più giustizia, più libertà, ma si battevano contro la Coca Cola e tutto il "male" che rappresenta.

Viene da chiedersi che cosa ci facciano, in quel di Genova, il candidato industriale Zara e il petroliere Garrone in simile compagnia. Come sia possibile che si apprestino a chiedere e raccogliere i voti di questa sinistra per la conquista della città. Come sia possibile che accettino, in caso di vittoria, di governare con simili alleati. Come non se ne vergognino.

Pubblico impiego/Il peggio dell'accordo

Il recente accordo firmato dal Governo Prodi in materia di Pubblico impiego merita più di una attenzione e di un commento anche in considerazione del contesto in cui viene proposto. Da mesi si parla di efficienza ed efficacia delle pubbliche amministrazioni e del fatto che il Governo abbia dato in finanziaria sia uno strumento per stabilizzare tutti i precari (condono?) sia le risorse per rinnovare ampiamente i contratti senza chiedere in cambio qualcosa alle organizzazioni sindacali in termini di flessibilità e di minor "governo" sindacale della cosa pubblica.

L'accordo si presenta migliore di quelli del 2002 e del 2005, tanto per consistenza quanto per impegni presi, ma osservandolo con occhio attento tutte le suggestioni e gli entusiasmi sollevati dal Governo vengono meno mettendo a nudo scelte fortemente pericolose.

Anche stavolta i Sindacati hanno vinto; ecco perchè:

innanzi tutto si conferma e si amplia ciò che generosamente e irresponsabilmente è stato previsto nell'ultima legge finanziaria ovvero la stabilizzazione di tutti i precari. Circa 300.000 persone assunte a vario titolo e in maniera fiduciaria, che troveranno posto lì dove oggi si trovano andando ad aggravare la già tragica "cattiva distribuzione" del personale. Prima ancora di parlare di mobilità, come è noto, occorrerebbe parlare di "buone assunzioni". Oggi sono circa 120.000 i precari che si andranno a stabilizzare nelle sedi dove già vi sono evidenti eccedenze di personale.

Circa il memorandum certamente per la prima volta si parla di produttività individuale e di potere ai dirigenti. Due parole che solo al pronunciamento fanno svenire migliaia di sindacalisti. Ma in cambio vi sono concessioni pericolose forse non percepite dai non addetti ai lavori.

Al punto 3) il Governo si impegna "per una legislazione a sostegno della piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro": contrattualizzare l'attività legislativa non è proprio coerente con l'attuale costituzione e certamente porterebbe ad ampliare le materie e gli istituti da contrattualizzare, ovvero governare con i sindacati.

Si parla allo stesso punto di "limitare le esternalizzazioni non core" che invece andrebbero, proprio in tali aree portate avanti seriamente per liberare risorse. Un brutto passo indietro.

Al punto 4) si dice che le iniziative di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche devono essere "concordate in connessione con il rinnovo dei contratti", regalando l'organizzazione e il potere di riforma, riserva di legge finora, alle organizzazioni sindacali. Così come è una concessione che i dirigenti, già deboli, nell'adottare il piano operativo "concordino obiettivi e modalità con le parti sociali". Finora ciò non era mai avvenuto. Pericoloso è aver concesso al sindacato il potere di verificare le consulenze e le esternalizzazioni fatte, per arrivare ad una reinternalizzazione e quindi accrescimento delle Pubblica Amministrazione.

Al punto 5), in materia di precariato, si parla di assorbimento di personale precario mediante ricorso a prove, senza specificare (volutamente) concorsuali o selettive, dimenticandosi delle migliaia di giovani vincitori di concorso in attesa di essere assunti.

Per frenare il fenomeno del precariato si dice che il ricorso al lavoro flessibile "potrà avvenire in base a tipologie e limiti individuati nella contrattazione". Sappiamo invece che i limiti contrattuali non sempre esistono anzi (vedi i contratti della ricerca) e i veri limiti sono stati quelli posti negli ultimi anni dalle leggi finanziarie e modificando i presupposti e le causali con fonte pubblicistica (vedi art. 36, d.lgs. 165/2001).

Al punto 7) emergono una serie di concessioni davvero inspiegabili. Divertente innanzi tutto il futuribile benchmark con "esperienze in corso di avvio": di solito il confronto si fa con modelli di eccellenza consolidati. Si contrattualizza l'accesso che oggi è riserva di legge e si parla di "decongestionare i concorsi", che certamente non è mai stato lo strumento più utilizzato per accedere al pubblico impiego come ricorda spesso il Prof. Cassese. Che vuol dire? Sulla dirigenza si registra quindi la concessione più forte e l'indebolimento più grave. Si parla soprattutto di concorsi interni e quindi di accesso alla dirigenza come progressione verticale (fenomeno patologico) da concertare con le parti sociali, con i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro che disciplineranno (oggi è riserva assoluta di legge, v. art. 19, comma 12 bis del d.lgs. 165/2001) gli incarichi dirigenziali e le nomine a direttore generale, prevedendo una rotazione obbligatoria per tutti secondo i Ccnl. Come dire che nel privato le nomine e l'assegnazione di Bondi o Marchionne sono definiti dai sindacati dell'industria.

Non risulta chiaro, dato il già ampio potere di veto, il "coinvolgimento delle organizzazioni sindacali in caso di riparto delle funzioni tra ministeri e amministrazioni", che avviene per legge come è noto.

Sulla contrattazione integrativa si vede qualche passo in avanti, lessicale almeno, ma non fa bene vedere i controlli sui risultati concertati con le organizzazioni sindacali. Fino ad oggi i controlli, anche se poco adottati, non erano oggetto di concertazione. Si comprende perché i sindacati non amino la proposta dell'authority sulla valutazione. Meglio controllarla la valutazione.

I punti 8) e 11) infine fanno tremare i polsi ai più scafati. Dire che viene costituito un gruppo di lavoro con le Organizzazioni Sindacali per "suggerire le modifiche legislative necessarie" attraverso indirizzi specifici e per predisporre gli atti di indirizzo per il rinnovo di tutti i contratti di lavoro è annullare la differenza tra parte datoriale e parte sindacale, inaugurando esplicitamente e senza ipocrisie forse un governo cogestito dell'amministrazione pubblica.

L'amministrazione italiana oggi ha alcuni mali, che con questo accordo non si curano ma si aggravano. Chi conosce l'amministrazione sa che oggi il potere sindacale è eccessivo, di molto oltre quanto previsto da norme e contratti e che quindi servirebbe altro.

Idea-giovani/La bandiera dell'antimilitarismo

Come sempre i comunisti tentano di nascondere le reali motivazioni che sono alla base delle loro scelte politiche. Parlano di segno di discontinuità per la missione in Afghanistan, chiedono l'intervento della cittadinanza per la base di Vicenza, ma in testa hanno ben altro. E se i vari Diliberto e Giordano non hanno più il coraggio di esprimerlo apertamente, fortunatamente alle loro spalle ci sono i no global, i giovani dei centri sociali e dei collettivi universitari a fare chiarezza sul vero messaggio che l'estrema sinistra vuole lanciare.

Sono siti internet come Indymedia, sono le assemblee nelle scuole e nelle università a far capire qual è il loro vero intento. A leggere i forum di discussione "alternativi" sul web, come ad entrare in alcune università abituali "covi" della sinistra estrema, sembra che il tempo si sia fermato a 30 anni fa. Per loro gli Stati Uniti e tutto l'Occidente stanno attuando un politica imperialista, inviando le loro truppe ad occupare militarmente dei Paesi liberi. Per loro Bush, Berlusconi o Pinochet sono facce della stessa medaglia. Trattano la crisi irachena o quella afghana come trattavano le dittature sudamericane degli anni '70. E soprattutto odiano il nostro esercito, farebbero di tutto per tagliare i fondi militari e rispedire i nostri ragazzi a casa.

Purtroppo in Italia esistono ancora gruppi giovanili che non hanno capito che il mondo è cambiato. E che i nostri giovani militari in Afghanistan non vanno per occupare, ma per difendere la libertà. Vanno per aiutare la popolazione, per costruire ponti, scuole, ospedali; vanno per tutelare la sicurezza di altre migliaia di nostri concittadini che lavorano nelle organizzazioni umanitarie.

Come giovani di Forza Italia non possiamo che difendere la libertà, sostenere le battaglie a difesa dei diritti civili, ma anche difendere i nostri militari da chi urla "10, 100, 1000 Nassirya" e brucia fantocci in divisa grigio-verde. Noi non siamo come loro: urliamolo alla gente.

   

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