peter patti

La Città dell'Alfabeto (Web version)

- H -

Impazzivo o ero già pazzo? Potevo sperare, finalmente, in un nuovo inizio. Trascinati come fiere, io e Fiordaliso ci lanciammo guizzanti occhiate. Non potei fare a meno di dedicare al nostro salvatore un sincero: «Grazie, Mister!» Il tizio però non si diede la pena di rispondere; continuava a strattonarci per il collare come se avesse una fretta del diavolo. In questo modo risalimmo le vie di Alphabet City; uno scenario perturbatissimo, dove il nostro passaggio non incuriosiva nessuno.

Alphabet City non fu mai una vera e propria città. Nata come rione periferico dell’antica Schifanoja (The Big Cucumber), un rione dimesso, provvisorio, tanto poco importante che alle strade erano state assegnate consonanti e vocali invece che nomi, Alphabet City si era col tempo gonfiata ed era cresciuta fino a inghiottire ogni cosa. Un enorme mostro al cui interno regnava un’unica legge: quella del caos, della violenza, della provvisorietà ad oltranza.

Malgrado l’anarchia che vi regnava, o, meglio, tramite di essa, la Città dell'Alfabeto era ormai diventata l’indiscussa capitale di entrambi gli emisferi.

L’avenue H rappresentava, se si vuole, la roccaforte dei ricchi di questa sgangherata megalopoli. Passammo attraverso svariati posti di controllo elettronici, e io e Fiordaliso fummo sottoposti a una doccia di neuroni prima di venire introdotti nell’atrio di un vasto palazzo. Qui ci si fece incontro un individuo abbastanza giovane che, a una seconda occhiata, si rivelò essere di sesso maschile. Il ragazzo squadrò Fiordaliso e, immediatamente, un filo di bava gli inumidì un angolo della bocca. Si avvicinò al signore che ci aveva comprati - suo padre, come capii - e, gorgogliando qualcosa, gli tolse di mano la catena che legava la mia amata. Quando accennai a fare un passo in avanti, il giovane smise di gongolare e inalberò un cipiglio minaccioso. Poi osservò, oscuramente: «A mamma lui piacerà di sicuro». E nitrì alto.

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