Parleranno le carte del consiglio d’amministrazione, aveva detto Marco Tronchetti Provera. E quelle carte hanno iniziato a parlare. Al cda del 15 settembre, Tronchetti annuncia di aver riferito – i primi del mese - a Prodi della sua intenzione di scorporare Tim da Telecom. Il presidente del Consiglio non gli disse nulla: il governo non interviene in scelte di aziende private. Salvo, poi, comunicare ai quattro venti il suo "sconcerto" per l’operazione decisa da Telecom e protestare per essere stato tenuto all’oscuro della vicenda.
Nei verbali del cda, Tronchetti dice che non solo Prodi era al corrente di tutto, ma svela anche le varie pressioni esercitate per costringerlo a scorporare la rete fissa e farla finire alla Cassa depositi e prestiti. Un disegno prodromo della costituzione di una nuova Iri, direttamente controllata dal presidente del Consiglio.
Pressioni che si traducevano sulla necessità di conservare l’italianità della rete fissa. E per esercitarle, Tronchetti racconta di un documento elaborato da Costamagna, all’epoca consulente per Murdoch. In tale veste ha fatto arrivare a Palazzo Chigi una relazione in base alla quale Murdoch era pronto ad acquisire anche più del 50% di Olimpia, la finanziaria che ha in portafoglio le azioni Telecom. Il testo di Costamagna favorì la "chiamata a corte" per la difesa dell’italianità dell’azienda. Ma la veridicità di quel testo e le reali intenzioni di Murdoch sono messe in dubbio da Tronchetti nel cda.
In più, arriva lo schema Rovati che punta a scorporare la rete fissa e dirottarla alla Cassa depositi e prestiti. Quello schema, dice Tronchetti, "non è per nulla artigianale", come, al contrario, volevano far credere, ed hanno detto, Prodi e Rovati. "E’ stato messo a punto da esperti del governo in collaborazione con uomini di una banca d’affari". Fra l’altro quello schema prefigurava che il pagamento della Cassa per la rete fissa di Telecom sarebbe avvenuto attraverso un aumento delle imposte dovute dalla Telecom allo Stato per una supervalutazione delle azioni cedute.
Schema troppo articolato perché Prodi lo ignorasse. Ed ora i magistrati romani, che hanno già acquisito questi verbali del cda Telecom, sono in attesa di verificare questa versione con quella che giovedì Prodi illustrerà alla Camera.
Tutti parlano di "scandalo delle intercettazioni". Eppure ieri sera, a Porta a Porta, nessuno se l’è sentita di smentire Scajola, che ha fatto una denuncia per molti versi clamorosa: nei provvedimenti giudiziari assunti dalla magistratura milanese sul caso Telecom, non appare mai la parola "intercettazioni illegali".
Esistono o esistevano dossier, elenchi di nomi, l’evidenza di operazioni di spionaggio, con raccolta di informazioni e pedinamenti. Ma nessuno, al momento, risulta indagato per attività di trascrizione o raccolta di intercettazioni abusive. Potrà anche accadere, ma per ora non è così.
Si rafforza così, anche per la tempistica dell’intervento della magistratura, l’impressione di un gran polverone utile a dare assistenza a Prodi in vista del difficile passaggio parlamentare sul caso Telecom.
Le forze della maggioranza si chiudono a riccio in difesa del presidente del Consiglio e mettono le mani avanti: il dibattito deve servire a parlare delle strategie delle telecomunicazioni in Italia e non delle "provocazioni e strumentalizzazioni" dell’opposizione sul ruolo ambiguo (la "zona grigia"?) di palazzo Chigi nella vicenda. E invece no.
E’ una manovra che va sventata. Gli incontri con Tronchetti, lo "sconcerto" di Prodi, il "ma siamo matti?" della prima ora, il piano Rovati, l’incredibile comunicato che dava in pasto all’opinione pubblica e ai mercati finanziari informazioni sensibili sulle trattative di Telecom con soggetti terzi: la presenza del presidente del Consiglio alle Camere era stata richiesta a gran voce per chiarire tutto questo. E di questo Prodi dovrà parlare. Non gli va lasciata via di fuga.
Notizie delle ultime ore confermano la necessità di questi chiarimenti.
Turbativa di mercato: Prodi deve rendere conto anche di questo. Si lamenta che non lo informano, poi spiattella i contenuti dei suoi colloqui: quale altro capitano d’industria, alla vigilia di importanti decisioni, si avventurerà a varcare il portone di palazzo Chigi?
I redditi compresi fra i 50 ed i 100 mila euro saranno i più colpiti dall’aumento delle tasse, previsto dalla legge finanziaria. La cancellazione del secondo modulo della riforma fiscale comporterà l’eliminazione di 8 miliardi di benefici introdotti da quella riforma. E che solo in parte – e per i redditi più bassi – verrà compensata dal taglio di cinque punti del cuneo fiscale; taglio che, per i lavoratori, si tradurrà in una restituzione fiscale di 4 miliardi.
Questa operazione comporterà un aumento della pressione fiscale sulla classe media superiore al mezzo punto di pil. Una specie di patrimoniale, che non sarà per nulla compensata dal taglio del cuneo fiscale.
Dovrebbero essere penalizzati dalla politica fiscale del governo tutti quei lavoratori dipendenti con uno stipendio che sfiora i 3 mila euro al mese.
Si tratta dei contribuenti con la maggiore propensione al consumo. Un appesantimento del loro carico fiscale avrà, quindi, un effetto negativo sui consumi; quindi, sul pil, visto che sono proprio i consumi interni a tirare la crescita.
Ne consegue che la manovra del governo sarà fortemente recessiva per l’economia nazionale.
Vale la pena di ricordare che il secondo modulo della riforma fiscale, reimmettendo nel circuito economico 8 miliardi di euro, favorì nel 2005 una spinta dei consumi. E che proprio grazie a quella spinta oggi il pil cresce dell’1,6-1,7%. Eliminarlo sarebbe talmente grave per l’intero sistema produttivo da annullare gli effetti benefici della riduzione di 5 punti del cuneo fiscale.
Per non parlare dei riflessi politici. L’operazione fiscale che hanno in mente Visco e Padoa Schioppa punta a colpire proprio quell’elettorato moderato. Prodi lo vuole "punire" perché "reo" di aver votato Berlusconi. Con il risultato che sta reintroducendo la lotta di classe. Fiscale, questa volta.
Il gran parlare di "cogliere le opportunità della ripresa" nasconde il disegno di gestire la recessione, o quanto meno la stagnazione, che si annunzia alle porte.
Tutte le indicazioni che provengono dal Governo vanno in questa direzione sullo sfondo di un previsto rallentamento della crescita mondiale nel 2007.
Perciò la sinistra al potere rifluisce sulla strada che conosce meglio: aumentare le tasse per evitare di ridurre le spese e andare avanti con i trasferimenti.
L’abolizione dell’esenzione fiscale sotto i 7.500 euro e l’aliquota massima del 43% per i redditi superiori a 75 mila euro sono il punto di partenza della manovra redistributiva che deve consentire gli aumenti salariali chiesti dai sindacati.
Aumenti che vengono falcidiati dagli incrementi di spesa per le tariffe (nonostante il calo del prezzo del petrolio) e dalle tasse: perciò si ridurrà, o rimarrà stabile, la quantità di reddito per la domanda, così che la ripresa non avrà il sostegno della domanda interna ma si affiderà a quella estera, sulla quale la concorrenza di Paesi che non cedono ai ricatti sindacali avrà partita vinta facilmente sui prodotti italiani.
La spesa pubblica non diminuirà: il recente accordo sul "Piano salute" prevede, entro tre anni, un avvicinamento della spesa al traguardo dei 100 miliardi di euro, quasi 20 milioni di lire a testa per ogni cittadino, dai neonati agli ultranovantenni, e prevede che le Regioni che sforano possano provvedere con addizionali, cioè con più tasse locali.
Lo Stato continuerà a finanziarsi con l’emissione di titoli pubblici, annullando qualsiasi riduzione del debito, con un servizio del debito in aumento per la crescita del costo del denaro, riducendo le disponibilità per gli investimenti produttivi.
Con la complicità dei sindacati, che vogliono un sistema economico chiuso in cui possono dettare legge, il sistema-Italia si arrocca su se stesso, consentendo al potere politico di condizionare ogni comparto economico.
Attraverso il cuneo fiscale, concesso alle imprese che assumono a tempo indeterminato, si sclerotizza di nuovo il mercato del lavoro e si pongono le basi per una morìa di imprese con aggravamento dei costi per sussidi e del sistema previdenziale a causa della corsa ai prepensionamenti.
Se il premier spagnolo Zapatero progetta si raggiungere l’Italia in quattro anni, vuol dire che è convinto che il governo di sinistra non farà fare all’Italia quello "scatto" preannunciato con tanta enfasi.
Controllo che aumenta grazie all’accordo di un altro binomio, quello politica-banche.
C’è solo una via d’uscita prima che sia troppo tardi: che il mondo delle imprese si ribelli allo statalismo avanzante che si fonda sul controllo delle informazioni e del denaro, che apre la prospettiva a fuga di capitali e alla ricerca di investimenti o di gestione di capitali all’estero: Il Sole 24 Ore di oggi dedica una cauta pagina (pag. 4 dell’inserto Private Banking) all’argomento.
In Europa, Romano Prodi sottoscrive, insieme a Chirac e Zapatero, una lettera indirizzata all’UE in cui si chiede una "mobilitazione collettiva che affronti l’emergenza immigrazione illegale". Al presidente Barroso si propone una serie di misure necessarie a limitare il fenomeno: dal pattugliamento alla sorveglianza marittima, dalla necessità di collaborare con i paesi di origine all’obbligo di offrire accoglienza.
In Italia, sempre lui, demonizza invece la legge Bossi-Fini che si è rivelata la giusta risposta a quei paesi europei che rimproveravano l’Italia di essere un "colabrodo" alle frontiere.
Alcuni ministri del governo Prodi chiedono l’abrogazione di questa legge oltre alla chiusura dei Cpt, i centri che hanno permesso alle forze dell’ordine di accogliere gli immigrati, di curarli prima di indirizzarli nelle varie città.
Ancora. Il ministro Amato ha proposto di riconoscere la cittadinanza agli extracomunitari dopo soltanto cinque anni di residenza nel nostro Paese: una prospettiva che probabilmente porterà nuovi elettori all’Unione ma che nel frattempo, come confermano i dati, ha provocato un’impennata negli sbarchi e purtroppo un aumento di naufragi e di morti.
Insomma, in Italia trionfa un solidarismo interessato e poi in Europa si mostra un apparente senso di responsabilità.
E’ la consueta doppiezza di Prodi, ma questa volta il Professore non si è accorto che l’appello rivolto alla commissione europea in realtà è una denuncia al governo italiano, è una richiesta di intervento per correggere la politica italiana. Una denuncia a se stesso e alla sua incapacità di governare.
Per rendere letale questo già massacrante inizio di legislatura mancava solo l’aumento delle tasse. E puntuale è arrivato in prossimità della Finanziaria: verranno cancellate le aliquote predisposte da Tremonti e chi guadagna più di 75mila euro all’anno vedrà crescere il prelievo fiscale.
La sostanza è chiara: ci stanno sbranando, stanno facendo tutti i loro comodi senza una solo struttura, un solo organo di garanzia che sia capace o voglia mettere loro un freno. E’ sufficiente fare un giro d’orizzonte per rendersi conto di ciò che sta accadendo.
Come detto, si apprestano ad aumentare le tasse, sia sotto forma di prelievo fiscale, sia con la reintroduzione della tassa di successione e delle rendite finanziare. E questo perché Prodi, oltre ad essere schiavo di Visco è schiavo della sinistra estrema.
Dopo essere scappati dall’Iraq, l’ultimo – odierno – attentato in Afghanistan accelererà l’ennesima fuga, basta leggere le dichiarazioni di mattinata provenienti dalla sinistra radicale. E questo perché Prodi, anche in questo campo, è al guinzaglio della sinistra estrema. C’è solo da domandarsi cosa diranno questi signori se dovesse succedere qualcosa ad un militare impegnato nella missione in Libano, che è di pace solo perché l’ha decisa l’attuale maggioranza.
Sul fronte delle grandi imprese e delle grandi banche, Prodi ha di fatto benedetto la fusione San Paolo-Intesa, che tra l’altro gli è servita per cercare di far cadere Tronchetti Provera. Poi ha cercato di mettere le grinfie sulla Telecom, bloccato dai Ds e dalla diffusione dello sciagurato dossier Rovati, che solo un fazioso può pensare fosse disconosciuto dal premier.
Legato ai poteri forti, privo di un suo partito, Prodi cerca in questo modo di costituirsi una forza contrattuale. E non c’è nessuno che rimarchi lo scandaloso sgomitare di Palazzo Chigi, ben oltre i limiti del conflitto d’interesse.
E ancora: denunciano le intercettazioni illegali e mettono sotto controllo gli italiani attraverso lo spionaggio dei conti correnti. La lunga mano della sinistra per creare non tanto il dirigismo ma uno statalismo esasperato, le cui tracce sembrano portare all’Unione Sovietica, sembra non avere più limiti.
In questo quadro, la copertura ai peggiori sospetti è data dal connubio della sinistra con la magistratura. I magistrati hanno ordinato la sospensione della riforma dell’ordinamento giudiziario varata dal centrodestra e il governo ha prontamente eseguito. Adesso chiedono – anzi, pretendono – la modifica del decreto sulla distruzione delle intercettazioni (figlio di un accordo bipartisan tra maggioranza e opposizione), usando il loro più rumoroso e affidabile sponsor, Antonio Di Pietro, e mentre davanti alle telecamere premier e ministri assicurano il centrodestra che il provvedimento non sarà modificato, nessuno può garantire, al momento, la parola data dal governo. Di fronte a questo quadro, chi riesce a non preoccuparsi?
La sinistra continua ad essere un intreccio di veti e controveti, di dissensi programmatici e di contraddizioni, e in questo panorama i due progetti in cantiere per dare un futuro più solido all’Unione rischiano di naufragare in partenza. Sul fronte del Partito Democratico, alla vigilia della presentazione del convegno dei Popolari della Margherita che si terrà a fine settimana a Chianciano, l’impasse sulle questioni della collocazione internazionale - e soprattutto della bioetica - è resa in questi ultimi giorni ancora più grave, a causa dell’irruzione nel dibattito politico del delicatissimo tema dell’eutanasia. Su questo come su quello dei Pacs, il dibattito interno a Quercia e Dl non fa che aprire dei solchi, testimoniati dalle dichiarazioni nettamente divergenti che arrivano perfino da esponenti dello stesso partito. Un solco che è stato ben sottolineato dal vecchio Gerardo Bianco, uno degli ultimi segretari del Ppi, il quale ha messo in guardia gli altri "teo-Dem" della Margherita dal rischio di rappresentare una componente subalterna ai laici.
A sinistra del blocco riformista si annuncia, intanto, la nascita della Fondazione "uniti a sinistra" che raccoglie ufficialmente quanti, nei Ds, si oppongono al Partito Democratico.
La contraddizione non si limita ai due partiti partner ma filtra anche dentro la stessa Rifondazione, partito in perenne fibrillazione a causa del malumore delle minoranze interne, che hanno già preso le distanze da progetto di unificare la sinistra radicale. I sondaggi che vedono il Prc precipitare di due punti dopo la scelta del suo leader di "borghesizzarsi" alla presidenza della Camera.