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Cara Antonella, esagero se dico che in questa mostra tenti un bilancio del tuo percorso artistico? Forse la parola "bilancio", così tipica del linguaggio commerciale, non è la più consona al tuo lavoro, in cui la gratuità, in tutte le sue accezioni e applicazioni, svolge un ruolo importante. Ho comunque l’impressione che si tratti di una mostra a 360 gradi sul tuo modo di operare, e soprattutto sul suo senso. A questo proposito, credo di avere qualcosa da dire: nulla di fondamentale o di esaustivo, solo alcune osservazioni elementari sull’atteggiamento di fondo, sui presupposti creativi del tuo agire.

Affermare che le tue opere scaturiscono da una concezione virtuosa del riciclo può risultare un’ovvietà, ma soltanto se si intende il termine in modo sbrigativo. Letteralmente riciclare vuol dire "rimettere in ciclo", ed è su quest’ultima parola che mi sembra il caso di insistere. Ciclo, ovvero circolo: è come se la tua visione del mondo avesse un andamento circolare, prevedesse sempre un secondo appello, una chance aggiuntiva. Questa assenza di definitività – che fa pensare a una sorta di trasposizione esistenziale del concetto di opera aperta – caratterizza le tue trame di cui, per quanto siano cicliche, nessuno può dire che "la fine è nota".

Ho usato la parola "trama" nelle sue due accezioni di "intreccio di fibre" e di "plot narrativo", perché entrambe ti riguardano. Le tue opere sono spesso intessute e ricamate, ma anche sempre basate si di una storia attinta dalla Storia, dall’avvicendamento dei fatti universali. La dinamica particolare/universale, se applicata al tuo lavoro, ci porterebbe un po’ troppo lontano. Ora trovo più interessante cercare di capire quali storie compongono il tuo ciclo "setacciando le tue costanti narrative", come avrebbe detto nientemeno che Roland Barthes.

Osservate da un punto di vista in senso lato letterario, le tue opere si raccolgono attorno due modelli, che spesso si intersecano o sono presenti allo stesso tempo. Il primo credo di poterlo definire con questa perifrasi: un racconto in cui personaggi dalla fragilità preziosa sono espressi da materiali altrettanto fragili e a loro modo preziosi, ma di uso comune. Il secondo modello lo definirei genericamente: il racconto coinvolgente. Forse l’avverbio più adeguato non è "genericamente" ma "letteralmente": le tue storie sembrano prefiggersi il compito di coinvolgere nella dinamica narrativa chi ne fruisce – che non a caso ricopre spesso un ruolo attivo, è concretamente parte dello "svolgimento"dell’opera.

Se questa mostra è davvero qualcosa di simile a un bilancio, allora devi ammettere che il saldo è ampiamente in attivo. Coinvolgere il pubblico nel proprio fare arte – coinvolgerlo davvero, non solo proclamare di volerlo fare – è un obiettivo che pochi artisti possono dire di aver raggiunto.

Baci

 

Roberto

Como / Sormano, 7 agosto 2006