Roberto Borghi

Un’estetica della positività

Home
english
a long thread
Espanol
un lungo filo che unisce
noi donne
bruna brembilla 2006
2006 Roberto Borghi
el peruano
album
album 2
per filo e per segno
trine e cencini
volano le gru
2000 lorella giudici
t-essere mondo
el dia de los vivos
passaggi a nordovest
essere due
t-essendo
lorella giudici  2000
arte per la vita
A Fiz - passaggi
pietrarte
R Borghi
Casa Mondo
un lavoro a regola d'arte
tracce della memoria
messico ott 2002
Jean Carlo Aldama
la Jornada
dialogo con il dolore
tra terra e cielo
donne
cubo pace
Sofonisba naviga a Torino
Sono ormai convinto che la separazione tra ‘artistico’ e ‘estetico’ attuata dalle avanguardie storiche abbia fatto il suo tempo. Anche perché, se badiamo al senso più profondo dei termini, tale scissione non è mai del tutto avvenuta. Ciò che è ‘estetico’, etimologicamente, non è altro che ciò che attiene alla percezione - aisthanomai, in greco antico, corrisponde all’italiano percepire – e non è forse sull’assoluta relatività e, allo stesso tempo, sulla straordinaria importanza della percezione che si sono concentrate le ricerche artistiche degli ultimi decenni? Se uso il termine ‘estetica’ per designare il lavoro di Antonella Prota Giurleo lo faccio quindi optando per questa accezione originaria, ma anche per quella che più comunemente gli appartiene. C’è insomma una buona dose di bellezza in molte opere di questa artista: una bellezza esplicita, ma tutt’altro che ostentata; una bellezza, in un certo senso, anche canonica, che attiene cioè a dei canoni, a delle norme consolidate.

La versione del ‘bello’ che scorgo nei lavori di Antonella Prota Giurleo è, con tutti gli aggiustamenti del caso, quella dell’’armonioso’. Non si tratta insomma della visione della ‘bellezza come armonia’ di pitagorica memoria, ma di una sua variante soggettiva, peculiarmente focalizzata sul ruolo dello spettro cromatico, sulla sua sintonia, sulla sua corrispondenza armonica con gli aspetti più preziosi della realtà. L’esaltazione del colore come dimensione vitale - anzi, come trascrizione della vita stessa, delle sue molteplici sfumature emotive – nelle più recenti opere di questa artista rappresenta una sorta di leitmotiv perfettamente compendiato da "Il testamento di Maria Helena Vieira da Silva": il testo della pittrice portoghese che viene letto, con modalità specularmente opposte, durante tale performance istituisce infatti una serie di corrispondenze fra tonalità cromatiche e atteggiamenti esistenziali positivi, fra colori e valori.

La visione del ‘bello come armonia’ classicamente intesa si è sempre retta sul binomio indissolubile tra ‘bello e buono’. In greco antico, questa coppia di aggettivi formava addirittura un’unica parola, tanto era sentita la coincidenza fra l’elemento estetico e quello etico. Nelle opere di Antonella Prota Giurleo ritroviamo anche questo canone, con una variazione – non solo – linguistica: il ‘buono’ viene inteso nel senso del ‘positivo’. Anche questa volta utilizzo il termine sia nel senso letterale che in quello metaforico. Alcuni lavori di Antonella Prota Giurleo scaturiscono da risposte affermative – cioè letteralmente positive – a richieste o interrogativi formulati dall’artista stessa: è questo il caso dell’installazione "Il bucato", composta da molteplici teli dipinti con i colori indicati dalle persone a cui è stata posta la domanda "Se tu fossi un colore, quale saresti?". Ma più in generale la positività a cui fanno riferimento tutte le opere di questa artista coincide con il desiderio di valorizzare gli aspetti gioiosi dell’esistenza, o comunque di contrastare quelli negativi proprio attraverso l’arte.

L’armonia contempla al proprio interno una tensione unitaria, un’ansia di congiunzione fra svariati aspetti del reale. Ritrovo questa stessa tensione nelle opere di Antonella Prota Giurleo. In "Cultura di pace" essa riguarda i diversi popoli della terra, tutti accomunati da un passato di guerra che può non ripetersi solo grazie a una condivisa ‘cultura di pace’, appunto. In "Ciao bambine, ciao bambini" a ricongiungersi idealmente con la loro memoria sono i bambini morti in tenera età o mai nati, figure che appartengono al passato, o forse solo al desiderio, a cui la concretizzazione del ricordo, resa possibile dall’arte, dona un presente. Nella performance "Il filo" la tensione unitaria attraversa le donne, accomunate da un passato di discriminazione e ostilità che può essere interrotto solo realizzando una continuità nella condivisione.

L’armonia crea unità non annullando le differenze, ma generando una sintonia che attraversa e congiunge molteplici frammenti del reale. Forse ciò che metaforizza più efficacemente questa dinamica è proprio il filo, un oggetto che nel percorso artistico di Antonella Prota Giurleo è presente in modo costante. Il filo come strumento del lavoro tipicamente femminile: quello di tessere, di intrecciare elementi eterogenei senza però renderli indistinguibili. La sottolineatura della femminilità di questa azione non è affatto pleonastica: anzitutto perché il lavoro di Antonella Prota Giurleo focalizza questa specificità creativa dell’essere donna; poi anche perché i termini su cui si fonda questo testo, per una coincidenza che è arduo ritenere fortuita, sono tutti di genere femminile: ‘estetica’, ‘positività’, ‘armonia’ e, non è il caso di dimenticarlo, anche ‘arte’.

Roberto Borghi