"La prima fatica che noi vediamo nella vita è quella delle donne.
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Cresciamo accompagnati da essa ma raramente la misuriamo. (...) La donna che è madre del mondo immortale e che seguiterà nei secoli, conosce la provvisorietà del suo lavoro che poco basta a cancellare." (Corrado Alvaro, Il nostro tempo e la speranza, Bompiani, Milano 1952) "Ricordo che, quando ero bambina, trascorrevo le vacanze estive in un piccolo paese di campagna. Rammento ancora gli odori dei campi, i rumori delle vie, ma in modo particolare ho impresso nella memoria l’angolo del lavatoio: lo sfregare dei panni sulla pietra, lo scroscio dell’acqua, il vivace cicalare delle donne, i loro canti, e nei tempi morti, lo sbattere della zangola." Dai ricordi emergono i colori di un ambiente ormai perso, riaffiorano i suoni di un microcosmo lontano, rivivono sentimenti ed emozioni sepolti dal tempo; in queste memorie, ripulite dalla malinconia e dall’idillio campestre, Antonella Prota Giurleo trova il bandolo della sua riflessione. Ripensando a quel momento, rivedendo quella scena, Antonella si è accorta che al lavatoio avveniva qualcosa di speciale: ogni giorno, come in un rito animistico, le donne riannodavano o recidevano i propri legami col mondo. Il dialogo, il confronto, la capacità di ascoltare erano i fili su cui in realtà si stendevano quelle lenzuola, la forza motrice di quei vigorosi gesti. Allora come oggi la comunicazione era alla base della società, ma, paradossalmente, più di allora, oggi, nell’era dell’informazione, è sempre più difficile praticarla su un terreno comune o, quando ci si riesce, è raro trovare qualcuno che ascolta. Antonella ha raccontato i frammenti di quelle parole, ha rimesso insieme i brandelli di quei canovacci, li ha fissati sulle tele e ha steso il suo Bucato (termine che oggi è persino caduto in disuso) su fili colorati scoprendo che, dopo tutto, gli argomenti sono ancora attuali. Piccoli riquadri di carta, fogli di diario strappati ai ricordi, sono finalmente riuniti in un discorso non più personale, ma universale. Nelle sue tele e nelle tempere (come Il cielo stellato siamo noi o L’unità triforme della dea) larghe pennellate di colore s’incontrano, si scontrano e creano complicate strutture reticolari. A quel brulicante groviglio di segni e alle loro risolute tonalità si affida l’energia di queste opere. Nel loro dinamico intrecciarsi le strisce di colore si sfrangiano come garze e si assottigliano come trame di impalpabili e preziose veli. Così come legami universali, anche le testure costruiscono dinamiche ragnatele di segni e, come loro, a volte hanno dei cedimenti. I conflitti, le scelte, le rotture (dolorose, ma talora inevitabili) complicano e sconvolgono il già tortuoso equilibrio dei percorsi, ed ecco perché alcuni riquadri si dissociano dall’andamento generale e basta quella dissonanza, anche se piccola per sfocare l’intera composizione e generare nuove traiettorie, nuove strade, nuovi incontri. Così come accade spesso nella vita, anche qui l’equilibrio si è rotto, quel cordone ombelicale fra interno ed esterno si è momentaneamente spezzato, ma, da questi cocci, da quei mutati rapporti ancora una volta, ha origine un giovane cosmo gravido di emozioni e pensieri, una nuova vita. Del resto, occorre rassegnarsi alla precarietà delle cose, alla provvisorietà dell’esistenza: la donna, la natura e l’artista, che condividono il primato della creazione, questo lo sanno.
"...Un poco più tardi, il tempo cancellerà anche tutto questo, un poco più tardi, quando un secolo passato avrà avuto il valore di un giorno; ma si riprodurrà sempre quel momento di gioia e di fiducia nella vita che ispira il lavoro deperibile della donna". (C. Alvaro, op. cit.)
Lorella GIUDICI
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