Dialogo con il dolore
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Più della fatica di continuare a scavare nel fondo del fiume, mi attira il pugno di sabbia dorata che ho trovato. (B. Yoshimoto. Kitchen)

C’è passato e presente nell’opera nuova di Antonella Prota Giurleo, che dimostra, con l’ultima produzione, di aver scritto un altro e diverso capitolo della sua vicenda d’artista.

Il presente è il suo attuale operare nei temi, inediti o sempre più indagati, sondati, interiorizzati, meditati; è presente la modalità espressiva, che la spinge a sperimentare l’utilizzo di materiali diversi, anche inattesi, a mutare le forme.

Su tutto, la disponibilità, che la trova aperta all’ascolto di nuove esperienze, di nuove culture, di nuovi mondi, di nuovi affetti.

Ma ciò che è attuale è solidamente costruito sul passato: certo sul suo passato nell’arte, le cui tappe precedenti sono i giorni già vissuti di questa stessa storia, che hanno lasciato tracce e segni, ma hanno anche costruito, con ogni presente, la nuova meta.

E poi c’è il passato più grande, che è fatto del vissuto, non solo come artista, ma come donna, intelligenza, sensibilità, cultura, dolore, gioia, affetto, storia. E qui l’elenco sarebbe lungo, se fosse possibile dire a parole come è fatta la vita, oppure ci si accontenti di questo solo termine e lo si riempia di tutto ciò che pare valga la pena ci stia.

Non altro.

Perché se c’è un dichiarato che non ammette confutazioni è che la vita è preziosa, preziosa come l’oro, privato certo del suo valore materiale, ma forte della sua efficacia antonomastica.

Se si volessero ridurre a unità i temi della riflessione artistica di Antonella Prota Giurleo, si potrebbe sostenere che il motivo primo è la vita stessa. Ma il suo sguardo va molto più a fondo del semplice assioma che ne afferma il valore, e la prospettiva va assai più lontano di una troppo facile idealizzazione: la vita è conosciuta, vissuta nella sua concretezza, è toccata con mano, così come le mani toccano carte, fili, stoffe, colori e poi li appoggiano come a dire "ecco che cosa ho sperimentato" e non "guarda che cosa ti racconto".

Manca ogni volontà narrativa in questo fare, ed è sinonimo di delicatezza che riserva il dire e l’ascoltare -il dialogo tra chi crea e chi osserva l’opera- alla sfera sovra-umana del "sentire" e del "sentirsi".

Dialogo che non necessita di parole, dunque universale, ricerca di sintonia e di nuovi legami.

C’è un filo che unisce tutti i lavori di Antonella Prota Giurleo, dai suoi primi, a oggi. Ma se nel comune parlare il "lungo filo" sta a indicare per metafora la costante che, in un processo di evoluzione richiama i punti diversi del percorso, nella produzione di Antonella Prota Giurleo, esce dalla sua connotazione retorica e diventa esso stesso elemento parte della creazione.

Teneva insieme i quadrati del bucato e cuciva e ricuciva legami di uomini e di donne, si dipanava e si avvolgeva in un lungo gomitolo di catenelle, si attorcigliava tra le dita dei calchi di "Essere due" e si stringe oggi intorno agli strappi. Non c’è più traccia delle forme chiuse dei quadrati di un tempo: più congeniale appare in questa fase dell’evoluzione dell’opera la forma spezzata, ma aperta e in qualche modo più tondeggiante, degli strappi; e il filo non cuce, ma avvolge, tiene insieme, ma non copre, non cancella la frattura –non può farlo-, però accomoda, unisce, restituisce unità.

E’ evidente un’intima riflessione sul dolore, sulla morte, che diventano, oggi più di ieri, temi dominanti. Ora più fitti fili si intrecciano, abbracciano gli strappi e affermano, proprio là dove c’è un addio, relazioni con persone e cose: con la casa nella quale si era accesa quella vita -il mattone frantumato diventa colore-, le stoffe della casa dove la vita si svolge, la cenere - anch’essa usata come colore, una scoperta di Antonella Prota Giurleo-, richiamo alla cucina, al fuoco, al calore, ma anche memento mori, e che siamo polvere.

Dolore universale che si esprime nell’esperienza intima di ciascuno, privato solo perché ciascuno esperimenta il proprio, ma tema di un dialogo che non ha confini e non si esaurisce con parole.

Eppure l’opera di Antonella Prota Giurleo emana serenità, non perché il dolore sia meno dolore, ma perché da esso, e su esso, si impone –si imponga- la preziosità della vita.

Un messaggio di speranza, che è anche ricerca della speranza stessa, uno sguardo verso il cielo che chiede al cielo che si mostri sereno, un filo teso che pure domanda di essere avvolto, una porta aperta che accolga, ma faccia anche entrare aria nuova.

Appare naturale che proprio in questa fase della sua riflessione Antonella Prota Giurleo si sia ancora più aperta al Giappone -con cui l’artista aveva già un rapporto legato ai motivi della pace e della memoria: si pensi alle gru che traggono spunto da Hiroshima- a quella parte di mondo che, nell’Occidente, di frequente è sentita lontana, estranea, ma la cui estraneità è il più delle volte suggerita dal superficiale rimando a stereotipi e a una profonda non conoscenza. Ne è derivata una calda e rassicurante sintonia, un incontro, una consonanza, una rispondenza che riecheggiano negli scritti di B. Yoshimoto, Ciò si esprime in un dire delicato, in un sentire profondo e sincrono, in un altro filo teso che interseca e valica un nuovo confine.

Più della fatica di continuare a scavare nel fondo del fiume, mi attira il pugno di sabbia dorata che ho trovato. Vorrei che tutte le persone che amo fossero più felici di quanto non siano. (B. Yoshimoto.)