L’arte per la vita.
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Milano, Palazzina Liberty, marzo 2001

C’è un paese dove ci sono degli uomini che condannano delle donne alle pene dell’inferno: un paese dove delle donne, per lo più giovanissime, bruciano, letteralmente bruciano, per colpa dell’acido solforico che degli uomini gettano loro addosso per "punirle" non si sa bene di quale misfatto ( ma io so, le "acidificate" sanno, che l’unico misfatto da loro commesso è essere nata donna). L’acido brucia volti, occhi, mani, cancella per sempre gioventù e bellezza. Questo paese è il Bangladesh……..

Renata Pisu

 

Settantasei artiste, contro una delle più tremende violazioni dei diritti umani, sono un piccolo tessuto di energia che comincia a spingere in un’altra direzione, sostenendo la lotta di coloro che, orribilmente sfigurate, non si rassegnano a essere vittime, ma si definiscono sopravvissute.

In che modo l’arte può contribuire a cambiare le condizioni?

Negli ultimi anni si sta formando un’enorme rete di micromemorie collettive, fatte di frammenti di pensiero e immagini dialoganti con le avanguardie del secolo scorso. La consapevolezza si diffonde in senso orizzontale e l’io si scioglie nel noi, nella ricerca della qualità della vita. Per questo l’arte trasforma l’opera in oper – azione: per sviluppare quella che l’artista tedesco Joseph Beuys ha chiamato "scultura sociale"……

…Oggi, su questo pianeta che celebra una festa nata da una tragedia *, 76 donne, con la loro opera, avanzano virtualmente verso il Bangladesh. E’ un’azione simbolica, che con l’asta si traduce in moneta. Solo un piccolo inizio come, negli anni settanta, le artiste femministe iniziarono la rivolta attraverso il linguaggio dell’arte. S’intravede, da qualche tempo, la possibilità di un progetto educativo che – mettendo insieme la molteplice intelligenza e creatività di tanti singoli individui di tutte le culture – possa dedicarsi a sottrarre sofferenza al mondo.

 

Manuela Gandini

*8 marzo