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il Quaderno del 27 settembre

Libano/Berlusconi: il nostro sì è per i soldati, non per il governo

Agenzia Ansa del 26 settembre, ore 19,45

"Un voto che abbiamo dato per i nostri soldati, per Israele, per il Libano, per gli Stati Uniti e quindi e' stato un voto sulla missione, su cui tuttavia abbiamo molte perplessita"'. Cosi' l'ex premier Silvio Berlusconi commenta il voto sulla missione in Libano, sottolineando che non si tratta di un "voto per il governo". A chi gli chiede infatti se l'atteggiamento tenuto dall'opposizione sulla missione dei nostri militari in Libano possa rappresentare il primo segnale di un cambiamento nei rapporti fra Cdl e maggioranza, Berlusconi risponde: "No, e' un voto ai nostri soldati, soprattutto ai nostri soldati".

"Sono momenti drammatici, dolorosi e tuttavia credo che, come e' sempre successo, i familiari dei soldati che sono la' per loro volonta' hanno sempre manifestato una grande consapevolezza rispetto alla finalita' della missione". Cosi' l'ex premier Silvio Berlusconi commenta l'attentato di oggi in Afghanistan nel quale e' rimasto ucciso un soldato italiano, sottolineando come le missioni "sia in Iraq che in Afghanistan abbiano l'obiettivo di far nascere delle democrazie". Un obiettivo, dunque, importante che "ci dobbiamo dare - prosegue Berlusconi - per evitare che il mondo possa degenerare con la presenza di popoli che vadano a seguito del fondamentalismo islamico". Quindi, "tutte le democrazie liberali del mondo devono unirsi per combattere il terrorismo e l'unico modo vero - aggiunge il presidente di Forza Italia - per combatterlo e' trasformare ogni regime da autoritario e dittatoriale in una vera democrazia". Un obiettivo che "dobbiamo portare avanti anche nel nostro interesse - prosegue Berlusconi - perche' come sottolinea uno studio dell'Onu che fra vent'anni saranno sei miliardi gli uomini esclusi dal benessere e che quindi ci sara' una spinta migratoria straordinaria e incredibile da questi paesi nei confronti del miliardo e 650 milioni di uomini che vivranno nei paesi del benessere".

A chi gli chiede un commento rispetto alle posizioni della sinistra della maggioranza che sostiene che anche in Afghanistan vi sia una guerra, Berlusconi replica dicendo: "Le posizioni neoradicali sono sempre antitetiche a quelle della sinistra radicale, che in Italia, unico paese occidentale e' al governo".

Silvio Berlusconi festeggera' i suoi 70 anni "in famiglia" e ribadisce che, pur non amando la politica, e' costretto a restare per "senso di responsabilita"' nei confronti degli italiani che lo hanno votato. "Festeggero' il compleanno a casa mia, a Milano - ha detto il leader della CdL uscendo dalla Camera - in famiglia, con mia madre, mia moglie e i miei figli". "Niente Marrakech...", ha quindi aggiunto, sorridendo, riferendosi alla sorpresa fatta qualche tempo fa per il compleanno della moglie.

Sui regali che si attende dai familiari l'ex premier non si sbottona e risponde ai cronisti con una battuta: "I regali in famiglia li faccio io...".

Quanto alla politica, il Cavaliere ha sottolineato di aver fatto tutto quello che si doveva fare, "con senso di responsabilita', come dimostrano i miei cinque anni di governo e il voto di oggi sul Libano". "Fra qualche giorno compiro' 70 anni - ha aggiunto - ma mi sento come se ne avessi 35". "Non mi e' mai piaciuta la politica - ha concluso - ma lo faccio per senso di responsabilita', anche nei confronti di quella meta' del Paese che mi ha votato"

"Scajola a 'Porta a Porta' ha detto che i servizi italiani sono affidabili e non ho motivo di dubitare di quello che dice il presidente del Copaco". Cosi' Silvio Berlusconi, uscendo dalla Camera, ha risposto ai cronisti che gli chiedevano se, dopo lo scandalo Telecom, ci si possa ancora fidare dei servizi di intelligence italiani".

Libano/Nessuna delega in bianco

Proprio nel giorno in cui s'è appreso che ancora una volta i nostri militari hanno pagato, a Kabul, il prezzo del sangue, in difesa della democrazia e della pace, a Roma c'è stato il primo "sì" bipartisan alla missione in Libano.

Un voto responsabile e meditato che, come ha subito sottolineato Berlusconi, ha voluto essere un sostegno ai nostri soldati impegnati all'estero, non un aiuto al fragile governo di Romano Prodi.

Il Paese innanzitutto, la difesa degli uomini in divisa che testimoniano, con sacrifici e rischi, l'impegno dell'Italia per un mondo migliore. Un atto dovuto, quindi, per l'immagine dell'Italia e per la riaffermazione del suo ruolo nel contesto internazionale, un ruolo cercato e ottenuto con decisione dal governo di centrodestra, molto prima che le polemiche sulla politica estera provocassero continui sussulti all'esecutivo di Prodi.

Ci sono molte incertezze e ambiguità nella risoluzione dell'Onu che dispone l'invio del contingente multinazionale; ci sono riserve e perplessità sulla formulazione delle "regole d'ingaggio" dei nostri soldati e sull'ampiezza del comando sul terreno. Nessuno si nasconde che ci sono insidie e rischi per i nostri militari: non si capisce bene, ancora, chi e come dovrà disarmare le milizie Hezbollah, quale tipo di vigilanza dovrà essere esercitata alla frontiera libanese per interrompere il flusso di armi e di missili dall'Iran e dalla Siria. Proprio per queste legittime riserve e perplessità la Casa delle libertà e il suo leader vigileranno, sempre per la tutela dei nostri militari, degli interessi e dell'immagine dell'Italia.

Silvio Berlusconi e la quasi totalità del centrodestra dicendo "sì" alla missione hanno rivendicato il valore della continuità in politica estera: l'invio dei soldati in Libano è la prosecuzione dell'identico sforzo di pace e di difesa della democrazia che ha portato i nostri militari a Nassirya e a Kabul.

L'Italia guidata dal centrodestra ha corretto gli sbandamenti mediorientali della politica estera condotta dai governi precedenti: ha ribadito la sua collocazione nel campo delle democrazie occidentali, a fianco degli Stati Uniti e degli organismi internazionali, ha affermato senza cedimenti e ambiguità il diritto di Israele ad esistere in pace e in sicurezza.

Finanziaria/Più tasse al ceto medio

Un cocktail imbevibile. Fatto dai rimasugli di magazzino della Ragioneria e da un accanimento fiscale sulla classe media. Il risultato prodotto dalla finanziaria di Prodi sarà depressivo per l'economia; devastante sui bilanci familiari.

La finanziaria è totalmente sbilanciata sul lato delle entrate. Nella notte gli esperti dell'Economia sono arrivati a prevedere 25 miliardi di tasse e 5 miliardi di tagli. E fra questi cinque miliardi di risparmi nominali sono compresi anche i 3 miliardi attesi dai ticket sanitari.

Chi guadagna intorno ai 3 mila euro al mese verrà letteralmente falcidiato da questa finanziaria. E chi guadagna meno non sarà favorito. Il riordino delle aliquote sui redditi personali introdurrà una progressività elevatissima: cioè, si pagheranno molto più tasse di oggi. E non solo allo Stato centrale, attraverso l'Irpef; ma anche attraverso la libertà di imposizione fiscale da parte di comuni, province e regioni. Potranno mettere tasse di scopo: aumentare cioè l'Ici nelle zone dove passa la metropolitana; introdurre addizionali sui carburanti; mettere addizionali Irpef se una regione sfonda i tetti di spesa sanitaria.

Insomma, una manovra integralmente sbilanciata sulle entrate.

I tagli sono inesistenti. E quelli che sono stati accennati, criticati da sinistra. Come quelli sulla scuola. Dove per ridurre il numero di insegnanti di sostegno, viene aumentato il rapporto insegnanti-alunni.

A completare il quadro drammatico, le condizioni del deficit. Non si sa ancora il livello a cui viene fissato. E mancano 48 ore al varo della finanziaria.

Ma in aiuto del governo arrivano i giornalisti. Sciopereranno proprio venerdì e sabato, i giorni della manovra.

Finanziaria/La Margherita: sì, più tasse

Agenzia di stampa Apcom del 27 settembre, ore 9.52

"Non si può colpire indifferenziatamente i lavoratori autonomi" Roma, 27 set. (Apcom) - Quella messa a punto dal Governo "è una manovra squilibrata: ci sono troppe tasse e poco rigore: l'immagine che diamo è quella di un governo che sembra non essere in grado di trovare i risparmi necessari aggredendo gli sprechi e che slitta verso l'aumento delle imposte". A pochi giorni dal varo della Finanziaria, il responsabile economico della Margherita Tiziano Treu attacca l'esecutivo dalle pagine de La Stampa, diffidando della manovra in cantiere. Per Treu "innanzitutto c'è un problema di quantità: se arriviamo ad avere un aumento di pressione fiscale pari a un punto di Pil, politicamente parlando ci ritroviamo di fronte ad una vera e propria bomba" e "in questo modo si finisce per dare ragione a quelli che accusano il governo di voler colpire soprattutto i nemici". "Sono d'accordo - continua il dielle - ad alleggerire, per quanto possibile, la posizione delle famiglie più povere e dei cosiddetti incapienti. Però per realizzare questi interventi non si può colpire indifferenziatamente i lavoratori autonomi". Inoltre, per Treu "portare l'aliquota massima al 45% sarebbe una scelta puramente ideologica, una bandierina che non produrrebbe risultati, e anche questo rappresenterebbe un segnale di fortissimo squilibrio". Dubbi anche sui tagli agli enti locali, infine un'osservazione sul 'pacchetto sviluppo': "Il taglio del cuneo fiscale va bene - osserva l'ex ministro - ma sul Mezzogiorno le indicazioni sono ancora troppo vaghe: serve qualcosa in più, altrimenti finiremo per avvantaggiare soprattutto le aree del Nord".

Finanziaria/La stampa "amica" attacca Prodi

Oggi anche la stampa "amica" del governo critica - spesso con toni aspri - la Finanziaria di Prodi. Ecco alcuni esempi eloquenti.

Su Il Riformista:

"Scusate, ma può dirsi ricco uno che porta a casa tremila euro netti al mese? 'Direi proprio di no' commenta il direttore della Fondazione Nordest, Daniele Marini. '...buona parte degli operai specializzati, tra stipendio e straordinari, quei soldi lì se li mette tranquillamente in busta'. 'Siamo al ceto medio bello e buono, altro che ricchi o classe agiata'.

"Il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati: 'Sulla Finanziaria sono pessimista'... 'è dirigista e strozza i comuni'.

"Il segretario lombardo della Quercia, Luciano Pizzetti, dice: 'sarebbe da manicomio se davvero aumentassimo il prelievo Irpef. Io ho fatto la campagna elettorale dicendo che non avremmo aumentato le tasse. Sarebbe un problema andare a dire alla gente che ci eravamo sbagliati. Qui al nord potremmo fare le valige perché tanto non ci voterebbero più. Anzi, la gente farebbe bene ad andare in piazza'.

"Arturo Artom, un imprenditore milanese molto vicino a Enrico Letta: 'se si alza il prelievo Irpef, si rischia di ripetere la telenovela sulla tassa di successione ...dando ragione a Tremonti quando diceva che l'Unione avrebbe messo le mani in tasca agli italiani'."

L'Unità.

Titolo: "Tagli alla scuola? I sindacati: siamo pronti allo scontro"

"Meno insegnanti e più alunni per classe. La Finanziaria al vaglio del governo taglia la scuola, divide la maggioranza e fa insorgere i sindacati che minacciano lo sciopero generale.

"Una vera e propria croce per il centrosinistra che per cinque anni ha combattuto a fianco di insegnanti e alunni contro i tagli del ministro Moratti. 'Sulla scuola non possiamo transigere' tuonava Giordano in Transatlantico, 'sosterremo le lotte degli insegnanti'. E Diliberto: '... forse Padoa Schioppa non risponde agli elettori, ma il presidente Prodi e il sottoscritto sì e in campagna elettorale abbiamo detto l'esatto contrario'.

"Verdi, Pdci e Italia dei Valori infuriati perché, accusano, 'siamo stati messi davanti al fatto compiuto, una finanziaria di cui non sappiamo nulla...'

"Gestione pericolosa, rischiamo di andare in Parlamento senza rete', attacca ancora il segretario del Pdci Diliberto.

Un altro fronte aperto (...) è quello dei comuni, con il presidente Anci Leonardo Domenici che avverte: 'c'è grande confusione e voci allarmanti: se tali voci fossero confermate saremmo davanti ad una manovra totalmente inaccettabile'."

Su Repubblica

Massimo Giannini scrive:

"Lo scontento è universale e trasversale".

"Occorerebbe almeno una condivisione piena e incondizionata tra il premier, il ministro del Tesoro e la squadra di governo".

"Tra le entrate spicca una revisione dell'Irpef assai pesante in parte anche per il ceto medio. ...La formula ipotizzata da Visco (...) costerà circa 6 miliardi di euro a livello di sistema e oltre 100 euro al mese per il singolo contribuente".

"Sulla scuola: rapporto docenti/alunni ridotto da 1 su 138 a 1 su 168, e un taglio di 177 mila 'prof' in sei anni. Sulla Sanità e la Pubblica Amministrazione: dal ticket sui ricoveri al pronto soccorso al taglio del 6%nei consumi intermedi. Sugli enti locali: dal tetto alle spese sanitarie al giro di vite al patto di stabilità".

"Se a tutto questo si aggiungono la rimodulazione delle tasse sulle rendite finanziarie e la reintroduzione della tassa di successione, il risultato finale ricalca l'odiosa equazione smerciata dai liberisti di tutto il mondo: sinistra=tasse."

Intercettazioni/Decreto, perché tanta fretta

Perché tanta fretta, da parte del governo, di distruggere le intercettazioni? E' una domanda legittima, visto che né Giuliano Tavaroli, né Emanuele Cipriani - i due principali indagati sull'uso dei tabulati Telecom - sono attualmente sotto accusa per il reato di intercettazione illegale. L'attività di dossieraggio svolta anche utilizzando documenti dei servizi segreti, infatti, si limitava ad annotare i numeri chiamati, e non registrava le conversazioni dei personaggi "sotto osservazione".

Le preoccupazioni espresse dal presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti, Claudio Scajola, appaiono dunque fondate. La fretta del governo, che ha varato un decreto urgente, è quanto meno sospetta, e bene hanno fatto i senatori della Cdl, in sede di commissione Affari costituzionali, a votare contro i "requisiti di necessità e urgenza" del provvedimento. Lo stesso sottosegretario alla Giustizia Luigi Li Gotti, intervenuto in commissione per difendere il decreto, ha dovuto ammettere che in questo momento non esistono inchieste giudiziarie per "intercettazioni illecite".

Quindi, la sensazione è che il governo sia preoccupato per la possibile diffusione di intercettazioni compromettenti alla vigilia di alcuni importanti e delicati processi. Prossimamente se ne apriranno diversi, e fra questi quello contro gli ex vertici dell'Unipol preoccupa molto la dirigenza diessina. Nel corso delle indagini furono svolte centinaia di intercettazioni e molte di queste, non essendo state ritenute di qualche valore ai fini processuali sono state archiviate dai magistrati. Ma c'è il timore che settori deviati o paralleli possano aver clonato o eseguito autonomamente intercettazioni illecite. Se queste ultime fossero diffuse e pubblicizzate potrebbero rivelare rapporti, seppure non illegali, fra alcuni esponenti politici e i "furbetti del quartierino". Con il decreto in vigore, invece, nessun giornale potrebbe pubblicarle.

«Ci deve essere la garanzia assoluta che il materiale intercettato venga distrutto» - ha detto ieri sera a Ballarò un irritatissimo Piero Fassino, che ha replicato in modo inusualmente fermo a Piercamillo Davigo, uno dei magistrati che stanno contestando il decreto varato dal governo sulle intercettazioni nella parte in cui prevede la distruzione immediata di quelle illegali. «Bisogna non perdere di vista il tema - ha spiegato Fassino - cioè che migliaia di persone sono state intercettate illegalmente». Ma non solo: il segretario della Quercia ha ricordato, tornando alla vicenda Unipol della quale è stato uno dei protagonisti, che in altri casi «materiale legale è stato utilizzato per danneggiare delle persone». Chiaro l'accenno a quella conversazione con Consorte in cui Fassino esultava dicendo: "Allora abbiamo una banca!". Su di lui si abbatté un'autentica tempesta politica che rischiò di costare molto ai Ds in termini di voti. Se ora, con Prodi coinvolto nel caso Telecom-Rovati, uscissero altre intercettazioni compromettenti, pur senza risvolti di illecito penale, tornerebbe in auge la cosiddetta e scomodissima "questione morale".

Meglio, allora, distruggere tutto e subito.

   

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