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il Quaderno del 26 ottobre

Finanziaria/Governo ostaggio di nove partiti. Lo conferma il ministro Padoa Schioppa

Il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, riferendosi alle difficoltà affrontate nella stesura della legge Finanziaria, ha detto testualmente: "Finora siamo stati ostaggio di nove partiti. Ho dovuto individuare una combinazione di misure che andassero bene per tutti".

Per il ministro "in questo governo ogni singolo partito potrebbe innescare la crisi".

Non c'è male: il massimo titolare delle leve economiche del Paese, alla vigilia di un delicatissimo passaggio parlamentare, descrive la genesi della legge-pilastro di ogni governo come una sorta di maionese impazzita che nessuno è in grado di controllare. E infatti i continui "contrordine amici e compagni" a cui è costretta l'Unione a causa delle discrepanze sempre più gigantesche tra il governo e la sua maggioranza (vedi aliquota al 45%) fotografano esattamente una situazione ormai ingestibile. E anche dal punto di vista delle prospettive politiche, questa cacofonia a nove voci nell'azione di governo descritta da Padoa Schioppa non promette nulla di buono per la sorte del nascituro Partito Democratico, al quale Prodi ha spesso legato la sua sopravvivenza politica. La domanda che sorge spontanea, davanti a questa babele di posizioni che non trova praticamente mai la sintesi è molto semplice: come può il governo Prodi essere il governo di tutta l'Unione e contestualmente il punto di origine di un partito unitario del solo centrosinistra riformista?

Le contraddizioni politiche su cui era stata costituita la coalizione di Prodi per riconquistare il governo stanno emergendo tutte insieme, e in tempi molto più rapidi di quanto si potesse sospettare.

La Finanziaria del governo avrebbe dovuto costituire il primo mattone concreto del partito riformista, ma è diventata unicamente l'espressione di un governo delle tasse la cui filosofia politica è la redistribuzione sociale raggiunta attraverso lo strumento fiscale. Un'impostazione arcaica, che segue i canoni del vetero-sindacalismo e che va nella direzione esattamente opposta al riformismo.

Ma Prodi non è pentito, anzi: di fronte alle critiche delle agenzie di rating che gli imputano di aver varato una Finanziaria lacrime e sangue dimenticando però le riforme strutturali, lui va avanti con la supponenza di sempre, alzando la voce contro i complotti interni e dicendo di ignorare il termine "fase due" tanto caro a Fassino e a Rutelli. La verità è che il Professore non ha alcuna intenzione di cambiare rotta, perché ha spostato talmente a sinistra l'asse della sua maggioranza da non poter tornare più indietro, e Ds e Margherita stanno probabilmente rendendosi conto di essere intervenuti troppo tardi per rimediare. La maionese, in effetti, è già abbondantemente impazzita, e anche se il governo passerà faticosamente le Forche caudine della Finanziaria al Senato, le lacerazioni nell'Unione diventeranno ancora più estese, così come il distacco dell'esecutivo dal Paese reale. E gli "avvisi di sfratto" per Prodi si moltiplicheranno.

Finanziaria/Bonaiuti: per Prodi sono gli ultimi giorni di Pompei

"Prima lo schiaffone al Senato, poi la ritirata precipitosa alla Camera con la richiesta del voto di fiducia: per Prodi sono cominciati gli ultimi giorni di Pompei", ha detto l'on. Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi.

Oggi, per l'ottava volta in cinque mesi, il governo guidato da Romano Prodi porrà la fiducia: e lo farà alla Camera, dove il centrosinistra ha quasi settanta seggi in più del centrodestra.

Prodi lo aveva intimamente già deciso, ma a togliergli le residue incertezze ci ha pensato lo schiaffone che la sinistra ha preso in Senato su una pregiudiziale di costituzionalità presentata da Forza Italia.

Mettere la fiducia alla Camera è una prova generale per l'ennesima fiducia che verrà posta al Senato, dove la differenza è di due senatori, compresi gli ex presidenti della Repubblica (Cossiga, Scalfaro e Ciampi) e i senatori a vita, questi ultimi tutti rigorosamente di sinistra.

Si tratta di un estremo tentativo di tenere insieme una maggioranza che non ha fatto altro che litigare sin dall'indomani della fortunosa attribuzione della vittoria elettorale per una manciata di voti, una maggioranza che ha avuto la meglio su una montagna di contestazioni e di testimonianze di irregolarità.

Nonostante la debolissima base morale su cui fonda la propria vittoria, la sinistra prende a schiaffi le istituzioni e l'opinione pubblica con il ricorso sistematico al voto di fiducia che, se fosse mantenuto questo ritmo, nell'arco del quinquennio, la porterebbe al record di almeno 90 voti di fiducia.

Soprattutto la sinistra appare prigioniera di Romano Prodi che, come accade sempre a chi si trova in difficoltà, ricorre alla minaccia del "dopo di me il diluvio" e si aggrappa a fantasticherie del tipo "potevo farmi un partito".

"A Prodi potrebbe non bastare un voto di fiducia per guardare avanti", ha commentato oggi Il Sole 24 Ore, sottolineando che è proprio il presidente del Consiglio a volere lo scontro e impedire qualsiasi forma di dialogo tra maggioranza e opposizione in sede parlamentare e nell'interesse del Paese.

Siamo di fronte a un modo personalistico di gestire il potere, non privo di lati oscuri come di recente ha dimostrato il caso Telecom, che passa oltre la volontà degli elettori, e non a caso poiché Prodi non ha un partito, quindi non ha un rapporto diretto gli orientamenti della gente.

Prodi è il vero anti-politico che dialoga con chiunque abbia una posizione di vertice ma sia privo di una legittimazione popolare.

In questo modo Prodi è diventato un problema non solo per l'Italia democratica, in quanto prende le decisioni come capo del Governo in ambito extraparlamentare e poi le impone al Parlamento, ma anche alla sua maggioranza che è costretta a registrare come l'opinione pubblica la stia abbandonando.

Non a caso Prodi avalla la trasformazione di uno Stato democratico in uno Stato di polizia fiscale fondato sulla delazione.

In concreto, Prodi ripropone il modello della Ddr, cioè della ex Germania comunista dell'Est, dove la metà dei cittadini spiava l'altra metà.

Se l'ala radicale della sinistra è disposta ad appoggiarlo, e non a caso tiene alta la definizione di "comunista" sulle proprie bandiere, il disagio nell'ala moderata cresce e ogni giorno di più appare fondato l'allarme lanciato da Silvio Berlusconi sul pericolo di un comunismo sostanziale che distrugge le libertà.

Mentre la stragrande maggioranza degli Italiani spera che questi siano gli ultimi giorni pompeiani di Prodi, purtroppo bisogna già fare i conti dei disastri che questo anti-politico ha procurato al Paese in così pochi mesi, dimostrando di essere diventato ancora più efficace e devastante rispetto ai tempi un po' più lunghi di cui aveva bisogno all'Iri e al suo precedente passaggio a Palazzo Chigi.

Finanziaria/Voci e cifre: ieri sì, oggi no, domani forse

La Finanziaria è una tragedia per il Paese, del quale compromette sviluppo e futuro, ma è anche una farsa per il modo dilettantesco e confusionario con cui le sinistre al governo cercano di definirla. Un'orgia di ripensamenti, sortite, ritirate e "contrordine compagni" che dimostrano quanta disunione ci sia nel centrosinistra e quanta approssimazione caratterizzi le sue marce e le sue retromarce.

Lo scrive, finalmente, anche "Il Corriere della Sera" che annota il balletto delle proposte e controproposte della "Finanziaria in progress".

La verità è che ogni mattina un qualche esponente della maggioranza annuncia correzioni e ritocchi al testo originario, immancabilmente smentiti dopo qualche ora o qualche giorno da un collega della sua parte. E i ministri annunciano come cosa fatta provvedimenti che in breve volgere di tempo sono cassati. È anche questo un segno di caos e forse di iella per una manovra nata peraltro malissimo, con un vistoso errore di stampa nel testo ufficiale del decreto di accompagnamento, che così esordisce: "Disposizioni urgenti in materia tributaria e penitenziaria". Solo un refuso si dirà, ma è interessante notare che il lapsus è nato non a caso: rende giustizia, in un certo senso, a una politica fiscale predatoria, sorretta da controlli di tipo sovietico e basata sul pregiudizio che i contribuenti siano tutti evasori da arrestare subito, anche senza processo.

Ma vediamo il balletto delle effimere misure e proposte, citando solo i casi più vistosi.

Tassa di successione - In campagna elettorale esponenti del centrosinistra si sono platealmente contraddetti sul significato da attribuire al termine "grandi patrimoni" per i quali si sarebbe dovuta reintrodurre l'imposta.

Per Bertinotti la soglia era costituita da un valore di 180 mila euro; per Rutelli "parecchi milioni" di euro; per D'Alema 5 milioni. Nel testo ufficiale della Finanziaria la tassa di successione non c'è, ma c'è un inganno: si aumenta, infatti, la tassa di registro sui beni ereditati quando questi superano i 180 mila euro. Le proteste dei cittadini sono incontenibili: chi eredita un bilocale deve essere colpito perché entra in possesso di un "grande patrimonio".

Al ridicolo non c'è limite. Allora, contrordine compagni: dovrà pagare l'imposta di registro aumentata soltanto chi eredita beni per almeno un milione di euro.

Bolli auto e misteri dei Suv - È il caos anche in materia di bolli per auto e moto. I compagni ambientalisti da tempo avevano nel mirino i Suv, i gipponi, i fuoristrada, considerati come inquinante roba da ricchi. Nei primi annunci sulla manovra si dava per certo un super-bollo su questi veicoli, poi si è scoperto che la supertassa avrebbe gelato un mercato in espansione e che i Suv sono certamente meno inquinanti di tante vecchie utilitarie in circolazione. Nel testo ufficiale della manovra la tassa sui Suv non c'è, ma la sinistra non demorde e adesso si dà per certo che il superbollo ci sarà, basato, forse, non sul peso dei mezzi, ma sul loro consumo medio.

Sparisce, invece, l'esenzione dal bollo per le auto più nuove, categoria Euro 4, le meno inquinanti. Era stata annunciata con grande enfasi, ma se la sono rimangiata. Per tutte le auto, proprio tutte, si dovrà pagare il bollo, che per le moto sarà aumentato.

Superalcolici - Un'altra farsa. Udite - avevano gridato gli araldi del Palazzo - sarà introdotta una tassa speciale del 10 per cento sui superalcolici e, per contrastare l'uso dell'alcol in genere, sarà introdotto il divieto di venderne ai minorenni.

Ebbene, sia la tassa che il divieto non sono più nella Finanziaria.

Aliquote Irpef - Un capolavoro di confusione, errori, marce avanti e marce indietro, accuse e contraccuse nella stessa maggioranza. Gli italiani ( e anche Bankitalia) hanno capito subito che la stangata avrebbe toccato tutti, anche chi guadagna 20 mila euro lordi l'anno, senza aiutare i poveri veri. Favorendo, magari, i single a danno degli sposati con moglie e figli a carico. Da questa consapevolezza e dalle proteste generalizzate è nato un confuso tramestio di pasticcioni che hanno fatto e disfatto, litigando fra loro. L'ultimo contrasto è l'aliquota maggiorata al 45 per cento per i redditi superiori ai 150 mila euro. La sinistra estrema la caldeggiava da tempo, un emendamento dell'Ulivo l'ha proposta l'altro ieri, ma l'ipotesi è durata solo un giorno. Giusto il tempo di fare emergere divisioni nei Ds e nello stesso governo.

Non si sa quale sarà il prodotto finale di questo balletto di cifre, la finanziaria è in progress e dalla stessa maggioranza finora sono stati presentati 750 emendamenti. Lo spettacolo continua,ma resta la convinzione che la stangata toccherà tutti.

Finanziaria/Cosa dire: la ricchezza non è reato

Scatole piene. Tasche vuote.

Prodi esaspera i contribuenti senza centrare gli obiettivi del risanamento, dello sviluppo, delle riforme. Insomma, svuota le tasche senza contropartite.

La Finanziaria è contro gli italiani.

È la volontà punitiva contro i ceti medi ad animare questa maggioranza. Ma fomentare l'odio e la lotta sociale non serve a nessuno ed è assolutamente controproducente anche in termini di consensi.

Visco: italiani potenziali evasori.

È come se, nei processi penali, si partisse dalla presunzione di colpevolezza e l'imputato dovesse dimostrare di essere innocente. Per il Fisco è più o meno lo stesso: il cittadino, pressato da un sistema di polizia fiscale, deve dimostrare di non essere evasore piuttosto che essere incoraggiato ad essere un buon contribuente.

Più tasse, meno sviluppo; meno tasse, più sviluppo.

L'effetto di una pressione fiscale in aumento è che le risorse per lo sviluppo non si trovano. I due termini (tasse e sviluppo) sono inversamente proporzionali. Il governo di centrodestra aveva scelto la strada dello sviluppo attraverso la riduzione delle imposte. Quello di Prodi sta facendo il contrario. Scelta legittima ma suicida.

Un Paese sfiduciato, triste, preoccupato.

L'andamento dell'economia - come è noto - è direttamente influenzato da una sorta di stato d'animo collettivo. La linea politica economica di Prodi sta determinando un clima palpabile di sfiducia, tristezza, pessimismo, incertezza e preoccupazione per il futuro. E la depressione economica si alimenta di depressione psicologica.

Ideologia non fa rima con economia. Anzi.

Ogni volta, come in questo periodo, che l'ideologia guida le scelte economiche, i risultati sono disastrosi. Inquadrare le scelte economiche e i rapporti sociali in un'ottica ideologica è l'opposto di quella visione liberale che costituisce il fondamento di una società sana.

Ricchezza eguale reato.

Disporre di ricchezza e beni. Per questa maggioranza di sinistra-centro, è una sorta di reato, un elemento negativo, una condizione di privilegio da colpire. In realtà è proprio la disponibilità finanziaria a permettere le politiche di sviluppo economico di cui beneficiano tutti. È dallo sviluppo economico che dipende il benessere diffuso. Immaginare la società come una serie di compartimenti stagni e classi contrapposte è del tutto anomalo. Se un'industria produce ci guadagnano sia l'imprenditore che gli operai.

Finanziaria/Cosa dire: più tasse e meno sviluppo

Finanziaria/I finti sconti di Visco

Il ministero dell'Economia ha ridisegnato, per la seconda volta a distanza di meno di un mese, la nuova curva Irpef. Da un punto di vista strettamente tecnico, viene addolcito il profilo della progressività d'imposta, ci sono meno scatti di tassazione fra un'aliquota ed un'altra per scaglioni di reddito prossimi. Il risultato è stato ottenuto attraverso un rafforzamento delle detrazioni sugli scaglioni intermedi di reddito.

Il risultato, però, non cambia. I benefici, soprattutto per le basse fasce di reddito, saranno comunque minimi.

Prendiamo ad esempio il contribuente che "dovrebbe" guadagnare di più dal nuovo profilo Irpef. Nella fattispecie è un contribuente con moglie e due figli a carico e con un reddito lordo annuo di 22 mila euro. Livelli di reddito di questo tipo si trovano nel settore metalmeccanico o del commercio. Si tratta di un giovane occupato con pochi anni di anzianità e con un salario medio mensile inferiore ai 1.200 euro.

Per costui il beneficio giornaliero della nuova Irpef sarà pari a 2 euro.

In altre parole, con questo beneficio fiscale, potrà comprare un litro di latte e mezzo chilo di pane.

Cambiamo soggetto. Prendiamo un dipendente pubblico standard con un reddito medio annuo (sempre lordo) di 30 mila euro. Anche lui con moglie e due figli. Il suo beneficio fiscale, determinato dalle nuove aliquote Irpef, è pari a 383 euro all'anno; qualcosa come poco più di un euro al giorno. Con questo beneficio, non potrà acquistare nemmeno un litro di latte.

Per entrambe le figure, però, la legge finanziaria prevede un aumento dei contributi previdenziali dello 0,3%. Circostanza che riduce il beneficio ottenuto dallo sconto fiscale.

Con il risultato che per il metalmeccanico, il saldo netto a suo favore sarà sempre intorno ai 2 euro all'anno. Mentre per il dipendente pubblico, il beneficio netto si riduce a 80 centesimi di euro.

Per entrambe le figure i calcoli non tengono conto delle eventuali addizionali Irpef regionali e comunali. E nemmeno delle probabili tasse di scopo (Ici e quant'altro) previste dalla legge finanziaria.

Loro/Prodi, l'ultima illusione

Ci si attacca a tutto, nei naufragi, per tenersi a galla. L'ultima risorsa di Romano Prodi è l'appello al popolo. Non è una novità. I leader che si sentono contestati, o traditi, dai loro luogotenenti e sostenitori non mancano mai di farsi scudo del sostegno popolare.

Nel caso di Prodi, la base di legittimità a cui si richiama, per sottrarsi alla pressione di Fassino e Rutelli, intenzionati a metterlo sotto amministrazione controllata, è il "popolo delle primarie". Ovvero quei mitici quattro milioni e rotti di elettori ulivisti che avrebbero partecipato alla consultazione per l'indicazione del candidato Premier, conferendo a Prodi la dote personale di legittimazione da lui agognata per farsi credere non soggetto alla tutela dei partiti.

I richiami prodiani al tribunale del popolo vanno di pari passo, nelle cronache politiche, con lo sfacelo della Finanziaria e con gli sfoghi pubblici del Premier contro i partiti alleati, sospettati di complottare contro di lui. Una condizione di paranoia che vira nel patetico, considerato che scambia il medico con la malattia.

Il popolo contrapposto da Prodi ai suoi tutori partitici, o non esiste o gli è ostile.

Quello delle primarie era solo un bluff, rivelato per tale da Mastella. Gli sbandierati 4 milioni erano meno della metà, precettati dai partiti del centrosinistra per inscenare lo spettacolo dell'incoronazione del loro re travicello. Quel ch'è peggio, Fassino e Rutelli sono spinti ad agire per mettere Prodi sotto controllo, proprio a causa del crollo verticale del consenso popolare al governo.

Bisogna capirli: a crollare è soprattutto il loro elettorato. Quello dei partiti neocomunisti loro concorrenti può anche identificarsi con il governo delle tasse, ma la componente moderata dell'elettorato che ha incautamente votato a sinistra è pentita della fiducia prestata a Ds e Dl.

Loro&Noi/Prodi, il '98 è passato

L'altra mattina, conversando con un parlamentare di Forza Italia, davanti ad un caffé, nella pausa dei lavori dell'assemblea delle imprese portuali, Prodi è sbottato: "Questo è il secondo caffé della giornata. Lo prendo più volentieri con te, perché il primo era avvelenato! Stamattina presto ho visto Fassino".

Non è una boutade, l'episodio, assolutamente autentico, rivela due cose.

La prima: gli ultimi giorni di Pompei - nella maggioranza e nel governo - sono "esplosi" con una violenza e una tempistica inaspettate e apparentemente inarrestabili.

La seconda, forse più importante: Prodi lo ha capito e non lo nasconde più di tanto, almeno quando pensa che uno sfogo, attraverso una battuta, serva da monito per i suoi più infidi compagni di strada.

Fassino e D'Alema nei Ds, come Rutelli e gli ex Dc della Margherita sono convinti che il Professore sia politicamente "cotto".

In modo trasversale, ma fermo, hanno rallentato la marcia del partito democratico, che rafforzerebbe Prodi anche in prospettiva, mentre sono inermi di fronte al dilemma su come sostituirlo. Senza perdere la faccia.

Uno scenario come quello del '98 infatti, quando Rifondazione si sfilò e D'Alema chiuse il cerchio attorno al collo di Prodi e Parisi, è irrealistico. Tuttavia è come se il patto di sindacato che permette al manager Prodi di guidare la baracca, si fosse già messo nel mercato per cercare un'alternativa. Sapendo però che non può staccare la spina dell'attuale amministratore delegato se non ha prima individuato l'alternativa.

Ed ecco il punto. Non lo ammetteranno, tuttavia senza il concorso - pur riservato - dell'opposizione (leggi Berlusconi) questo rebus non si scioglierà mai. Solo allora Prodi cadrà mentre i templi e le case di Pompei già si sbriciolano.

Diessini e Popolari cominciano a sospettare - e insinuano - che a lasciare Prodi in sella, in una fase delicata come questa che ne evidenzia, ora dopo ora, l'estrema precarietà, sia la stessa opposizione. Il passaggio al Senato della Finanziaria, in molti ambienti di maggioranza, è atteso come la cartina di tornasole di questo sospetto. Quasi che i compagni di strada di Prodi si augurino che il lavoro sporco venga compiuto proprio dall'opposizione.

   

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