Milano 1998. A orecchi italiani, già il suono del suo nome mette un pò i brividi. Se vi si aggiunge che per un trentennio ha rappresentato il Nemico, Radetzky non poteva che essere l'incarnazione del Male, fosse anche stato l'uomo più giusto e mansueto della Terra. Come spesso accade, la verità sta nel mezzo, tanto più se lo si inquadra nel periodo storico in cui visse e se si tiene conto che il trentennio era quello immediatamente precedente la proclamazione del regno d'Italia. E che proprio in quei trent'anni é compreso il 1848, anno di fermenti e moti rivoluzionari in quasi tutta l'Europa. Nella sua recente biografia "Radetzky a Milano", il giornalista e storico Franco Fucci vuole "rivisitare" questo personaggio con imparzialità, liberandolo dalle incrostazioni faziose, sia di parte austriaca che italiana, che si sono andate accumulando con gli anni. Il titolo della biografia intende evidenziare che essa, pur raccontando l'intera (e lunga) vita di Radetzky, analizza approfonditamente solo la sua ultima parte, vale a dire i circa trent'anni in cui egli visse soprattutto nel regno Lombardo-Veneto.
Nato a Trebnitz in Boemia nel 1766, il conte Joseph Radetzky entrò giovanissimo nell'esercito imperiale asburgico e fece una brillante carriera, distinguendosi in varie guerre che l'impero dovette affrontare prima contro i turchi e poi, soprattutto, contro i francesi durante il periodo napoleonico. Partecipò e contribuì, tra l'altro, alle vittorie di Lipsia e di Waterloo. Fu nominato prima comandante in capo delle truppe imperiali nel regno Lombardo-Veneto nel 1831 e poi feldmaresciallo nel 1836. Da quegli anni fin quasi alla sua morte, avvenuta nella Villa Reale di Milano nel 1858, gestì il massimo potere nel regno, condividendolo fino al 1848 con il debole viceré, l'arciduca Ranieri. Gli anni cruciali dei suoi difficili rapporti con parte della popolazione locale furono il 1848 e il 1849: moti rivoluzionari a Milano e in altre città, guerra contro il Piemonte, sconfitte (tra cui la fuga da Milano a seguito delle famose Cinque Giornate) e vittoria finale nelle decisive battaglie di Custoza prima e di Novara poi. Ristabilito il potere imperiale nel regno, lo gestì con mano sempre più ferma da solo fino a quando non venne sostituito (anche per motivi d'età) dall'arciduca Massimiliano, fratello dell'imperatore Francesco Giuseppe, nel 1857. Personalmente più feroce a parole che nei fatti, Radetzky sembra in definitiva mostrare due volti nel suo periodo italiano. Prima del 1848, si comportò abbastanza equanimamente. Dopo le traversie dei moti rivoluzionari e della guerra contro il Piemonte, fu spesso molto duro specialmente nei confronti dei milanesi, che lo avevano "tradito", e in particolare delle classi abbienti, mentre cercò di favorire, con misure anche demagogiche, quelle povere. Ovviamente con delle contraddizioni: se al vittorioso ritorno a Milano approvò misure atte alla rapppacificazione e al perdono, d'altra parte fu indulgente con i subordinati che si erano macchiati di efferatezze e non esitò a firmare molte condanne a morte (come quella dei nove di Belfiore).
Probabilmente, convivevano in lui due anime: quella dura del soldato che aveva visto le carneficine dei campi di battaglia nelle tante guerre che avevano sconvolto l'Europa agli inizi del secolo; e quella del nobile pio ma non bigotto, moderatamente guadente, accanito giocatore d'azzardo sempre a corto di soldi, titolare di una famiglia legittima, che gli diede molti dispiaceri, e di una illeggittima, che invece gli procurò gioie e serenità. La compagna che gli fu vicina durante il periodo milanese e che gli diede dei figli fu la stiratrice Giuditta Meregalli. La colpa principale di Radetzky é forse quella di essere stato l'uomo sbagliato nelle circostanze in cui venne a trovarsi. Ottimo militare ma non altrettanto versato nella difficile arte del reggere un paese che aveva molto da lagnarsi del governo centrale di Vienna, ma anche molto per cui essergli grato (allo stesso Cattaneo nel 1848 non sarebbe dispiaciuto l'inserimento del Lombardo-Veneto in una specie di Commonwealth sotto l'aquila bicipete degli Asburgo). Poco più di un anno dopo la sua morte, la Lombardia passava comunque al Piemonte, e altri sette anni dopo anche il Veneto al costituito Regno d'Italia.
Giuseppe Serpagl
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