Milano 1995. Il libro "Siberia" dello storico americano Benson Bobrick, recentemente pubblicato in versione italiana, é un affascinante viaggio nello storia (e annessi e connessi) di una delle più grandi (occupa più di un settimo della superficie mondiale) e - ancora ai nostri giorni - meno conosciute regioni della Terra. Alla fine del lungo e interessantissimo viaggio (assai confortevole grazie alla scorrevolezza del testo), la prima cosa che rimane impressa nella memoria é il fatto che é proprio grazie a questo subcontinente (che copre circa metà dell'Asia dai monti Urali all'oceano Pacifico e dal mar Glaciale Artico alle montagne centroasiatiche) che la Russia rimane il più vasto paese del mondo, e potenzialmente anche il più ricco. E' un dato di fatto che rende ancora più impressionante l'immensa potenzialità in ogni campo che solo fino a pochi anni aveva l'Unione Sovietica, quando come ben si sa comprendeva, oltre la Russia, i vari paesi che se ne sono poi staccati. Comunque - per una serie di motivi storici, geografici, ecc., ma soprattutto perché la Siberia ormai altro non é che la parte asiatica della Russia - nulla fa presagire che la Siberia (dove oggi vive circa il 30 percento della popolazione russa) voglia seguire la strada degli altri paesi "secessionisti".
Nonostante alcune analogie con la conquista del Far West americano, quella della Siberia da parte della Russia fu assai diversa e, innanzi tutto, si potrasse per circa due secoli. Se l'inizio si può far risalire con certezza alla seconda metà nel sedicesimo secolo, quando a Mosca regnava Ivan il Terribile, la conclusione si può far coincidere - a seconda dei punti di vista - con l'insediamento della prima colonia russa in Alaska verso la fine del diciottesimo secolo, con la fondazione di Vladivostok nel 1860 o persino con il completamento delle ferrovia Transiberiana all'inizio del nostro secolo. La molla iniziale che spinse i russi verso est fu l'"oro morbido" e cioé le pellicce pregiate. Nelle sue prime fasi, la conquista della Siberia procedette di pari passo con il passaggio da un territorio di caccia all'altro, man mano che gli animali da pelliccia venivano sterminati. Già nella prima metà del Seicento, non esistevano quasi più zibellini nella Siberia occidentale e così i cacciatori si spinsero sempre più a est, seguiti dall'esercito di occupazione russo, e altri animali (varie speci di volpi, gli ermellini, i castori, ecc.) divennero oggetto di una caccia spietata. La colonizzazione russa fu talvolta brutale e poco rispettosa delle culture locali dei vari popoli che abitavano la Siberia (i suoi "indiani"), ma l'avanzata verso il Pacifico non trovò una vera opposizione che quando arrivò a lambire i confini prima dell'impero cinese e poi, più tardi, di quello giapponese.
Uno tra i tanti aspetti interessanti della storia della Siberia é l'esplorazione del grande nord orientale, che procedette quasi di pari passo con la sua conquista, tra immense difficoltà dovute soprattutto al gran freddo. Ancora all'inizio del Settecento, la cartografia era così imprecisa che non si sapeva nemmeno l'estensione geografica della Siberia o se essa era unita all'America. Alla fine di quel secolo, grazie a varie spedizioni tra cui le due guidate dal danese Bering, quasi tutto era stato chiarito e non solo era stata riportata sulla carta la più lunga costa artica del mondo, ma l'America era stata riscoperta dalla parte del Pacifico. Come estrema conseguenza della corsa verso est, i russi finirono per conquisitare (praticando il solito spietato sfruttamento degli aborigeni e il massacro indiscriminato degli animali) non solo l'Alaska e le isole Aleutine, ma anche a stabilire una base (Fort Ross) nel nord della California. Ma l'America russa ebbe vita breve, sia per l'enorme lontananza dalla madre patria sia per l'ostilità delle altre due potenze stabilite nelle vicinanze: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna con la sua colonia canadese. Dopo alcune cessioni o affitti, l'avventura russa in America si concluse definitivamente nel 1867 con la vendita dell'Alaska e delle Aleutine agli Stati Uniti per circa 7 milioni di dollari di allora.
Un altro aspetto importante nella storia della Siberia é quello di essere sempre (dai tempi degli zar fino al crollo dell'Unione Sovietica) stata luogo prediletto di deportazione o esilio per i condannati di ogni specie, dai criminali comuni ai dissidenti politici. Uno dei suoi "ospiti" più illustri fu Dostoevskji. Il massimo dell'orrore si ebbe sotto Stalin, quando le condizioni per i condannati erano così terribili che al confronto il sistema praticato al tempo degli zar appare umanitario. Dal 1928 al 1953, praticamente la vita della Siberia era collegata ai Gulag, i cui orrori e stermini di massa sono paragonabili solo ai campi di concentramento nazisti, anche per il numero (calcolabile in milioni) delle persone che vi lasciarono la vita. Anzi, pare quasi certo che Hitler abbia tratto "ispirazione" proprio da Stalin. "Se l'Impero russo, secondo la definizione di Lenin, era un "carcere di nazioni", l'impero sovietico" scrive Bobrick "divenne un immane campo di concentramento." Se per il passato il solo nome di Siberia può quindi assumere un significato assai sinistro, per la Russia di oggi, tormentata dai mille problemi del post-comunismo, le enormi risorse di questa sua grande regione rappresentano invece un'effettiva speranza di un futuro migliore.
Giuseppe Serpagli
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