ti trovi in: Motore Azzurro » il Quaderno » il Quaderno del 26 gennaio

il Quaderno del 26 gennaio

Berlusconi: l'obiettivo è il partito unico la Federazione è soltanto una tappa

Agenzia Ansa del 26 gennaio

Il vero "obiettivo" è quello di costituire una partito unico del centrodestra visto che la federazione è solo "una tappa". Lo ha detto Silvio Berlusconi, presidente di FI, conversando questa notte al termine di una cena di gala per la consegna dei Telegatti. Il Cavaliere è tornato a lamentarsi del fatto che nel corso dei cinque anni di governo del centrodestra non ha "potuto fare tutte" le riforme che avrebbe voluto a causa dei veti degli alleati.

"Una volta c'era quell'alleato che aveva il problema delle cooperative bianche, un'altra quell'altro che aveva un altro problema". "L'accoglienza entusiasmante - ha spiegato - riservatami nel corso dellla manifestazione del 2 dicembre da esponenti di AN e Lega mi ha convinto della necessità di proseguire sul progetto del partito unico".

Berlusconi ha quindi spiegato che anche i ‘Circoli delle libertà', "già 4.000 in tutta Italia", saranno "la base che aiuterà ad andare verso il partito unico". Nella tappa della federazione, ha aggiunto "si voterà e un patto federativo obbligherà ogni partito a rispettare gli accordi altrimenti ne dovrà rendere conto ai suoi elettori". "Questo credo sia l'obiettivo a destra e a sinistra: noi con la federazione loro con il partito democratico che isoli le frange estreme".

"Penso che se ci fosse un incidente e il premier Romano Prodi dovesse cadere, ci sarà modo di fare un governo tecnico". Così Berlusconi è tornato sulla possibilità di una crisi dell'attuale esecutivo.

"Secondo me hanno una gran voglia di liberarsi di Prodi", era infatti la premessa del presidente di Forza Italia, riferendosi alla maggioranza: "La loro debolezza è la loro forza perchè il collante è il potere".

Silvio Berlusconi attacca il disegno di legge Gentiloni sulla riforma televisiva definendolo un "piano criminale" e una "aggressione" contro Mediaset fatto "in odio al leader dell'opposizione", e minaccia di "portare in piazza 5 milioni di persone" per protestare. "Con un piano criminale di aggressione del genere - ha detto il presidente di FI - è facile portare in piazza cinque milioni di persone".

"Mediaset attualmente è sotto una aggressione", ha proseguito Berlusconi. "In Italia - ha aggiunto - c'è un monopolista che si chiama Murdoch. Rai e Mediaset, in confronto, sono due gnomi rispetto a Sky. Murdoch ha un satellite e dispone di 132 canali e se un utente compra il satellite di certo non torna più".

"Murdoch - ha proseguito Berlusconi riferendosi al magnate della televisione - è un monopolista anche perché essendo solo fa il prezzo del mercato".

"La7 - ha proseguito - ha tre reti ed appartiene ad una società che fa molti più utili di Rai e Mediaset messe assieme. La sua è una scelta imprenditoriale, ma potrebbe avere in pochi mesi il doppio dell'audience".

Infine, ha detto sempre riferendosi a Murdoch, "lui può contare non solo sull'abbonamento ma anche sulla pubblicità. Sky ha raggiunto il 30% del mercato, anche se Mediaset detiene il 60% della raccolta pubblicitaria".

Il Cavaliere è quindi tornato ad attaccare il Ddl presentato dal ministro Gentiloni per la riforma della televisione. "Ridurre il tetto massimo della raccolta pubblicitaria è un intervento dirigista che porterà ad una riduzione del valore di Mediaset, con un danno per gli investitori, anche stranieri, che saranno colpiti da una azione del governo fatta unicamente in odio al leader dell'opposizione".

"Tra l'altro - ha sottolineato - la Rai non deve mandare Rai Tre sul satellite, ma Rai Due che è ancora l'unica rete a favore della parte liberale". Per questo, ha concluso, "è un piano criminale di aggressione; non credo comunque che troveranno in Senato 157 complici che voteranno questa legge".

Liberalizzazioni/Vizi e imbrogli nascosti

"Misure che rilanciano il paese": così Romano Prodi ha pomposamente commentato il pacchetto di misure di liberalizzazione dell'economia dai "lacci e laccioli".

Invece il pacchetto liberalizzazioni non incide sui nodi strutturali e non garantisce i diritti dei cittadini-consumatori. Infatti molte delle misure più reclamizzate non sono vere e proprie liberalizzazioni e soprattutto non intaccano i punti deboli del sistema economico italiano, cioè la dimensione medio-piccola delle imprese, la spinta innovativa, la produttività.

Alcune provvedimenti sono sicuramente popolari, come il divieto, da parte degli operatori di telefonia mobile, dell'applicazione di costi fissi e di contributi per la ricarica di carte prepagate. Si tratta di un provvedimento letteralmente "scippato" all'Authority, che già si stava preparando a intervenire. Felici i quindicenni, che avranno in tasca alcuni euro in più, ma è prevedibile che gli operatori possano, a breve, aumentare le tariffe sul traffico. Riprendendosi domani ciò che viene tolto loro oggi.

Pretestuosa l'accusa al governo Berlusconi di non avere fatto queste liberalizzazioni per non scontentare le categorie: come se 20 milioni di voti al centrodestra fossero dipesi dai tassisti, dai parrucchieri, dagli estetisti, dai facchini e dai notai, cioè circa 100.000 persone.

Non bisogna poi confondere i provvedimenti varati per decreto e quelli previsti nel disegno di legge, che avranno altri tempi di attuazione e potranno essere ancora modificati.

Vediamo i provvedimenti più reclamizzati.

Politicamente, il duo Prodi-Bersani ha schiacciato il programma di liberalizzazioni di Rutelli, ma questo non impedirà al Governo di farsi grande pubblicità con questa operazione, sperando di avere un ritorno nelle urne a maggio.

Perciò bisogna spiegare, uno per uno, i vizi nascosti - veri imbrogli - di questo provvedimento.

Liberalizzazioni/Non intaccano le tariffe comunali

Le "liberalizzazioni" di Bersani sono come il tamburo: fanno molto rumore, ma dentro non c'è niente. Il metodo seguito è quello giusto: mettere al centro della decisione l'interesse del cittadino consumatore. E' il medesimo criterio seguito dalla Thatcher per salvare il Regno Unito dal declino, furiosamente contrastata dai sindacati. Metodo giusto, dunque, ma a condizione che sia applicato correttamente.

Purtroppo, il ministro Bersani ha voluto, o dovuto, fare il furbo. Per esempio, il provvedimento che abolisce il costo della ricarica dei telefonini, sfonda a calci una porta già spalancata dalla risoluzione dell'Authority, solo per dare al consumatore un beneficio illusorio, dal momento che il guadagno realizzato nelle ricariche se ne andrà in aumenti tariffari.

Ma la furbizia di più bassa lega consiste nel settarismo che ha guidato la scelta dei soggetti economici che faranno le spese della cosiddetta "liberalizzazione": nessuno dei quali fa parte del blocco sociale di riferimento del centrosinistra. E' per coprirne le tracce, che è stata alzata intorno allo spirito settario una selva di microprovvedimenti di discutibile competenza ministeriale.

Bersani, in coppia con Prodi, si comporta come se i comparti degni di essere presi in considerazione dal suo zelo "liberalizzatore" siano esclusivamente quelli inclini a votare per il centrodestra.

Quando si deciderà a spostare la sua attenzione sullo scandalo della rendite di posizione monipolista acquisite dalle ex municipalizzate? Queste sono feudo politico delle gerarchie di partito della sinistra e piedistallo del potere locale rosso, a spese dei cittadini contribuenti, che l'assenza di concorrenza lascia non solo in balia di tariffe troppo alte nei trasporti, gas, elettricità, nettezza urbana, acqua, ma anche nell'impossibilità di chiederne conto. Una volta era la giunta comunale che rispondeva degli aumenti; adesso i responsabili si nascondono dietro l'anonimato del mercato. La situazione è specialmente scandalosa nel settore dello smaltimento dei rifiuti, dove la connessione tra politica e criminalità comune è più stretta. Per la disattenzione di Bersani, la mafia ringrazia.

Liberalizzazioni/Non migliorano l'economia

La "rivoluzione" dei mercati del governo Prodi si è finalmente rivelata per quello che è: qualche intervento su settori marginali con vantaggi spesso più apparenti che reali per i consumatori e che sicuramente non sortirà effetti in grado di determinare una crescita dell'economia.

Quello che è certo è che non sono stati toccati i "santuari", le rendite di posizione monopoliste che gravano sulla vita dei cittadini e delle imprese. Trasporto pubblico locale, acqua, luce, gas, rifiuti restano saldamente nelle mani di chi può imporre il prezzo e far pagare a imprese e consumatori i suoi sostanziosi e immeritati profitti.

È poi paradossale che si presenti come novità quello che nuovo non è. C'è infine da rilevare che se l'economia italiana non è sufficientemente competitiva non lo si deve certo ai vincoli di distanza minima degli studio di estetiste. Altri sono i veri motivi di debolezza del sistema Italia. Tassazione straordinariamente elevata sulle imprese, sul lavoro, sulle famiglie, ancora insufficiente flessibilità del mercato del lavoro, sistema delle pensioni e più in generale welfare state eccessivamente generoso e sicuramente iniquo.

Questi tre temi: tasse, lavoro, pensioni sono stati al centro dell'azione riformatrice del governo Berlusconi. E su questi aspetti fondamentali il governo Prodi ha fatto fare al Paese passi da gigante all'indietro: le tasse sono cresciute come non mai, sulla legge Biagi gravano minacce di controriforma e sulle pensioni c'è chi nel governo vuole ritoccare non solo la riforma del 2002 ma, addirittura, quella del 1995.

Noi/Uniti nella volontà di rinnovamento

Berlusconi e Forza Italia volano nei sondaggi mentre Prodi e il governo si aggrovigliano tra Afghanistan e Pensioni, tra Pacs e Liberalizzazioni all'acqua di rose. Quella per i barbieri, per intenderci, senza toccare i veri monopoli e gli interessi del proprio elettorato.

La via indicata dal leader azzurro, tuttavia, non punta al gioco di rimessa anche se, realisticamente, Berlusconi vede nel collante del potere la polizza di durata del governo. Ora il punto è quello organizzativo, sia per la politica del partito, sia per la coalizione che ha bisogno di un nuovo progetto in vista di quel grande Partito della Libertà che ebbe nella fantastica scenografia della piazza a Roma, un battesimo più che simbolico. Anzi la dimostrazione di un popolo che precede e indica la strada alla sua classe dirigente, non certo al suo leader.

Sarebbe un errore - e Berlusconi nella cena con i deputati ha voluto scongiurarlo - creare confusione (magari inconsapevole) tra partito e Circoli della Libertà proprio nella fase in cui l'appeal azzurro è tornato a sfiorare le stelle.

Si può consolidare e strutturare meglio Forza Italia riuscendo contemporaneamente a liberare risorse per attrarre nel territorio energie nuove che rilancino il nostro patrimonio ideale? La risposta affermativa è scontata, meno lo è la nostra capacità di far progredire la doppia scommessa che, a ben vedere, proprio Berlusconi ha scelto di giocare spendendosi in prima persona. E sfidando, su questo terreno di novità che raccoglie il meglio della nostra storia dal '94 ad oggi, tutti gli alleati.

Senza un grande sforzo di rinnovamento rischiamo di restare indietro. Non rispetto ad alchimie di vertice, solo per inseguire con un nostro partito unico quel partito democratico su cui lavorano nell'altra sponda. Ma perché il progetto di bipolarismo nel quale crediamo e al quale Forza Italia, più di chiunque altro, ha offerto il sigillo di garanzia, va difeso e aggiornato nell'interesse dei cittadini e di un popolo che chiede di riconoscersi nella propria parte.

Non possiamo essere noi, che alla leadership di Berlusconi crediamo ben oltre i confini azzurri, a mostrarci dubbiosi o incerti verso una crescita del progetto politico in forme innovative.

La rivoluzione azzurra ha bisogno di un salto in avanti perché l'Italia liberale e quella davvero riformista credano massicciamente al valore dell'impegno in politica, nelle sue varie forme ed opportunità. E questa scommessa può riuscire perché mai come in queste settimane e in quelle che ci attendono l'Italia sente cosa rischia se questo governo e la sua sgangherata maggioranza non vanno a casa.

Noi/Uniti sulla legge elettorale

La difficile partita sulla legge elettorale si sta chiudendo positivamente per Forza Italia e per tutta l'opposizione.

Il governo, infatti, per iniziativa della coppia Prodi-Chiti, aveva cercato di sollevare la questione della riforma della legge elettorale con l'obiettivo di dividere l'opposizione.

La strategia era semplice ed esplicita: si trattava di concedere alla Lega Nord un tavolo per la ripresa della riforma costituzionale e del federalismo dopo la bocciatura del referendum. All'Udc, invece, si offriva la disponibilità di discutere dell'ipotesi di una legge elettorale sul modello tedesco molto cara al partito di Casini. Una legge elettorale che potrebbe consentire all'Udc di diventare un terzo polo di centro, che sceglie di allearsi dopo le votazioni volta per volta o con la sinistra o con la destra.

Di fronte a questo rischio per l'unità dell'opposizione, già messa a dura prova dalla defezione dell'Udc, Forza Italia ha preso l'iniziativa ponendo alcuni paletti fondamentali. In particolare l'altolà al governo rispetto alla tentazione di cambiare la legge elettorale per favorire la propria alleanza politica. In secondo luogo il no a ipotesi di riforma della legge elettorale che vadano nella direzione di modelli fondati sul doppio turno o sul ritorno ai collegi uninominali.

L'iniziativa ha avuto successo e, anche grazie alle dimissioni dei membri di Forza Italia dal comitato referendario, in questi ultimi giorni Forza Italia, AN e la Lega hanno raggiunto un accordo sul miglioramento dell'attuale legge elettorale da sottoporre anche all'Udc e successivamente al governo.

A questo punto, il terreno è stato sminato dal rischio di una divisione sulla legge elettorale e si può quindi riaprire e concludere nel più breve tempo possibile la trattativa per la scelta dei candidati alle prossime elezioni amministrative, che costituiscono un banco di prova importante per la tenuta del governo.

Loro/"Prodi prigioniero dei suoi feudatari"

A guastare la festa che Romano Prodi pensava di godersi oggi, ci pensa il presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara, che, nella sua relazione al Rapporto Italia 2007 precisa, senza mezzi termini, che l'attuale presidente del consiglio "si trova costretto a cercare di accontentare di volta in volta i suoi sette grandi feudatari che lo sostengono, consapevole com'è del fatto che basta la dissociazione di uno solo di loro, anche del più piccolo, per far cadere il suo Gabinetto".

Parole pesanti che indicano l'incongruenza del governo che pesa come un macigno sulla crescita, non solo economica, del Paese.

Per rafforzare le sue parole e ribadire che, in pratica, il premier è ostaggio dei partiti che lo sostengono , il presidente dell'istituto di ricerche usa l'immagine storica degli imperatori tedeschi, costretti a fare i conti con i loro sette grandi elettori con i quali consumavano estenuanti trattative, vere e proprie mercanteggiamenti, per ottenere il consenso e il voto.

Così come gli imperatori tedeschi, secondo Fara, anche Prodi "regna ma non governa, sebbene qualche autorevole commentatore lo inviti a diventare ‘dittatore' della sua maggioranza di governo".

Invito al quale il "nostro" vorrebbe aderire ma non può: i suoi vassalli sono più di sette, ognuno la pensa diversamente e lui, come gli imperatori tedeschi, pur non avendo autorità, non vuole essere detronizzato.

Loro/Politica estera, credibilità zero

E' stata sancita in Consiglio dei ministri la netta e irrimediabile frattura nel governo sulla politica estera: il decreto sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan non è stato votato da tre ministri della sinistra radicale, Ferrero di Rifondazione, Bianchi dei Comunisti e Pecoraro Scanio dei Verdi. La mancanza di coesione nell'esecutivo è un elemento ormai strutturale e si è manifestata più volte su tanti temi, ma lo strappo di ieri ha un'immediata ricaduta internazionale perché riduce al minimo la credibilità dell'Italia, la sua capacità di tenere fede -con questo governo - agli impegni connessi alla sua collocazione e al suo ruolo nell'Onu e nella Nato.

Il decreto è stato varato a maggioranza ed è prevedibile che alle Camere passerà: i tre dissenzienti non hanno votato contro, si sono astenuti e questo lascia intendere che si troverà un accordo, a scapito ulteriore dell'autonomia e dell'autorevolezza, già ridotta, del governo. Per quanto votata a un anti-americanismo retrodatato, la sinistra radicale apprezza il potere tanto fortunosamente (si fa per dire) conquistato e si trova a suo agio nel duplice ruolo di governo e di opposizione. Ma l'esecutivo di Romano Prodi esce azzoppato e dimezzato da questa vicenda.

L'arma della menzogna.

A rendere meno grave ed evidente lo smacco del Professore e del ministro degli Esteri D'Alema non bastano le dichiarazione ufficiali intrise di menzogna. "Anche i tre ministri che non hanno partecipato al voto - ha avuto lo sfrontatezza di dire Romano Prodi - hanno ribadito completa solidarietà alla politica del governo". E il titolare della Farnesina: "La posizione dei tre ministri è stata costruttiva: c'è una riserva, ma con l'intento di arrivare a un punto d'incontro". Le indiscrezione sui retroscena di una giornata ad alta tensione per il governo svelano una realtà differente. I ministri della sinistra radicale avrebbero voluto che il decreto sulla missione afgana fosse sfilato dall'ordine dei giorno dei lavori, ma questa pretesa non è stata soddisfatta per ragioni di forza maggiore: pare che D'Alema abbia detto: "Che cosa faccio? Vado dai miei colleghi della Nato e spiego loro che bisogna aspettare a parlare di Afghanistan perché non ho ancora avuto il via libera da tre ministri della mia maggioranza?" Per cercare di convincere i tre estremisti a votare il decreto, Prodi ha anche detto: "Così minate la credibilità del governo". Finalmente un'ammissione, la piena consapevolezza di una condizione politicamente insostenibile che purtroppo nuoce all'immagine internazionale del Paese.

Il nodo di Vicenza non è sciolto

C'è ancora tensione, poi, nella maggioranza e nella sinistra per la questione della base Usa di Vicenza. I militanti dei "movimenti" continuano a mobilitarsi, arrivano ad attaccare anche gli esponenti di Prc, Pcdi e Verdi colpevoli, a sentir loro, di non aver costretto il governo a negare l'ampliamento della base statunitense. Nell'Unione c'è chi teme che la manifestazione del 17 febbraio possa degenerare e fanno pressioni sui leader della sinistra radicale perché tengano a freno i militanti. Ma gli apprendisti stregoni potrebbero avere qualche difficoltà a calmare coloro che essi stesso hanno eccitato. I maldipancia non finiscono mai nel centrosinistra e di fronte all'ampiezza delle polemiche e delle contraddizioni appaiono ancora più miserevoli i tentativi di Prodi e di Fassino di voler minimizzare la questione, di ridurla a problema urbanistico di provincia.

Rischi/"Ombre rosse" sui cinema

Dal senatore di Forza Italia Enzo Ghigo riceviamo e pubblichiamo

Chissà se il nuovo direttore del Torino Film Festival, quel Nanni Moretti inventore dei girotondi di venerata memoria ulivista, è stato informato che Rifondazione Comunista ha in animo di calmierare le proiezioni di film "extracomunitari" nei cinema italiani. Che la coalizione di governo sia ormai così strabica da pensare e fare anche decine di cose diverse e contraddittorie ogni giorno, non è più una notizia. Ma questa curiosità merita almeno di essere commentata. Mentre il ministro Bersani stende sul Paese la sua "lenzuolata" di liberalizzazioni, che comprende anche la completa libertà di aprire cinema in ogni luogo, i suoi compagni di coalizione si preoccupano di stabilire cosa gli spettatori potranno vedere o no su quegli schermi.

Il gruppo Prc ha infatti presentato un disegno di legge che prevede una specie di riserva: ogni tre film proiettati nelle sale italiane, solo uno potrà essere di provenienza extracomunitaria, gli altri due dovranno essere rigorosamente con il marchio Ue. Dopo tutte le campagne per il multiculturalismo, ora proprio dai comunisti arriva una proposta che limita l'espansione della cinematografia terzomondista? Quella di Rifondazione è una pensata sì originale, ma non contraddittoria rispetto al loro modo di pensare. Nel mirino ci sono i successi che mietono i film targati Usa che, in Italia un po' come ovunque, la fanno da padrone come capacità di attrarre pubblico.

Troppo successo, è sembrato ai nostri Padri Rifondatori. Così si preoccupano di tutelare il cinema italiano ed europeo, pensando di imporre una sorta di protezionismo culturale, che trasuda del solito e ritrito antiamericanismo. E che appare ancora più anacronistico e oscurantista nell'era di Internet e di You Tube, quando i canali di accesso alle espressioni artistiche si sono moltiplicati e appaiono davvero di difficile controllo.

Se passerà questa proposta, si sarà dato forse un sostegno alla nostra filmografia, già sussidiata abbondantemente con fondi pubblici, ma si sarà ristretto ancora un po' il nostro spazio di libertà, limitando addirittura la programmazione delle sale cinematografiche. C'è da chiedersi cosa ne pensino gli intellettuali radical-chic che, marciando di conserva con le vestali del comunismo, sono in servizio permanente effettivo in difesa della libertà di espressione. Non sentiranno anche loro l'esigenza di insorgere contro questo obbrobrioso attacco alla nostra sacrosanta libertà di sceglierci un buon film per trascorrere una serata?

Ora per goderci una di queste pellicole, o per ammirare le dive americane alla Nicole Kidman - che hanno animato la celebrata Festa del cinema di Roma, dell'ineffabile sindaco Veltroni - dovremo quasi farlo di nascosto, vergognandoci un po' di queste scelte esterofile. Ma a venire sacrificati saranno anche i film anti-Bush e il recente documentario di Al Gore per denunciare il surriscaldamento del clima. Due esempi che confermano come in un ambiente culturale libero e aperto, quale è appunto quello statunitense, vi sia la possibilità di presentare opere di valore e tendenze completamente opposti.

La scelta spetta all'unico titolato, cioè lo spettatore pagante, che in tal modo ne determina il successo o il fiasco. In Italia, no: l'unico Paese occidentale dove il socialismo reale, per fortuna restato sulla carta, ha lasciato in eredità due partiti di nostalgici e uno di pentiti poco attendibili, le liberalizzazioni sono a senso unico: va bene quella dei tassisti e dei tabaccai perché votano per gli avversari, ma sui film deve essere il Partito (con la P maiuscola) a dire l'ultima parola!

Idea-giovani/Lottiamo per le pensioni future

Il Governo Prodi non può liquidare le politiche dirette alle nuove generazioni, di cui il Paese ha bisogno, con l'abolizione del costo di ricarica per i telefonini. La tecnica prodiana di rimandare continuamente ciò che può essere più pericoloso per la tenuta del suo governo è devastante soprattutto per i giovani. La questione generazionale, infatti, è il terreno in cui si concretizza lo scontro tra la sinistra radicale e la sinistra moderata.

Quello delle pensioni è un vero e proprio "nodo", e non una trovata giornalistica utilizzata per riempire le prime pagine, come la sinistra vuole far credere. Finora le uniche risposte venute da Palazzo Chigi sono il fallimento di Caserta e la certezza che, qualora il tema venga rimesso in discussione, l'unico interlocutore del governo saranno i sindacati. Ovvero si parlerà esclusivamente delle tutele di chi è già ora in pensione (la maggioranza degli iscritti della "triplice"), a danno di chi smetterà di lavorare tra decenni.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, alla flessibilità che ci chiede l'Europa si risponde con una costituenda contro-riforma figlia del ricatto sindacale. Scuola e università sono ingolfate a causa di visioni centraliste che si rifiutano di aprire alla società, e, nel caso dell'università, alla competizione e alla logica della qualità.

Per questo, un governo che si infila la maschera liberale e parla di "cittadini al centro" non può di certo convincere. Anche perché, in un dizionario di sinonimi e contrari, le parole "liberale" e "comunista" indicano ideologie opposte!

Controriforme, false liberalizzazioni, sindacati al potere: ai giovani non resta che gridare (ricordando un vecchio Carosello) "Berlusconi, salvaci tu!".

   

« numero precedente