Lo aveva annunciato ieri ai coordinatori nazionali di Forza Italia. Oggi Silvio Berlusconi lo chiede apertamente: un governo "tecnico-politico", di larghe intese. Insomma, un governissimo che consenta di risolvere i problemi concreti del paese e che conduca al ritorno al voto in un periodo di tempo compreso tra uno o due anni. Una richiesta che, sottolinea subito il Cavaliere, non ha nulla a che fare con le sue ambizioni personali, tanto che mette le mani avanti: "Non vorrei entrare in questo governo", in cui però dovranno essere presenti esponenti di peso di Forza Italia e di tutti i partiti desiderosi di lavorare nell'interesse del paese. Berlusconi arriva in Molise per la campagna elettorale delle regionali del 5 novembre dopo aver votato alla Camera contro il decreto fiscale. Poco dopo una visita all'istituto di ricerca neurologica ‘Neuromed', arriva a Isernia per una breve sosta in albergo. Nella hall, davanti alle televisioni nazionali e ai principali organi di stampa, l'ex premier annuncia il suo piano. Spiega che il paese è "spaccato a metà" e la maggioranza "non può governare" perchè ostaggio dei partiti della sinistra, tra cui "due forze che si dichiarano comuniste e che si fondano su un pauperismo antico a favore di clientele e interessi personali".
Ecco dunque spiegato, per Berlusconi, il "malcontento che colpisce 72 italiani su 100". "E allora - prosegue Berlusconi - forse varrebbe la pena fermarsi un momento per osservare la realtà e considerare se gli uomini di buon senso non possano unirsi in un governo tecnico-politico" che riesca a risolvere i problemi del paese.
"Ci si sieda intorno a un tavolo - dice - e si esaminino i problemi urgenti. Poi ci si dia un tempo di 12, 18 o 24 mesi per tornare alle elezioni". Un governo, precisa subito, "nel quale io non ho nessuna pretesa di entrare".
"Io - aggiunge - sono solo una risorsa a disposizione e non ho nessuna ambizione politica, ma sono preoccupato nell'interesse del Paese e degli italiani".
Ma Forza Italia entrerebbe? "Certo - è la risposta del Cavaliere - abbiamo uomini capaci, da Tremonti ad altri, che potrebbero essere utili in una compagine governativa di interesse nazionale". Ma chi guiderebbe questo esecutivo? Un tecnico come Mario Draghi? Berlusconi boccia questa ipotesi, spiegando che "la politica non può farsi da parte", almeno non ora.
"Ci sono stati - afferma - momenti in cui è stato utile avere dei tecnici, e io stesso ne ho approfittato, ma questa volta credo che non ci si possa rivolgere a loro". Inoltre, aggiunge, "nel panorama politico italiano, in entrambi gli schieramenti, ci sono personalità con competenze tali da poter dar vita a questo governo".
Per sgombrare il campo da qualsiasi dubbio, Berlusconi arriva a dire che pur di dar vita a questo governo sarebbe pronto ad assumere il ruolo di "ultimo ministro", con "assoluta umiltà", proponendosi come responsabile "dell'attuazione del programma". Anche se, precisa ancora, preferirebbe starne proprio fuori.
In ogni caso, sottolinea Berlusconi, delle tante personalità che potrebbero assumere incarichi in questo ipotetico governo, l'unico che secondo lui non potrebbe proprio entrarvi è proprio l'attuale presidente del Consiglio, Romano Prodi. Colui che, sottolinea, "ha respinto con arroganza il tavolo dei volenterosi sulla finanziaria non può essere una risorsa per il futuro del paese".
Il resto della giornata è dedicato alle imminenti elezioni molisane. Berlusconi sale prima sul palco di Isernia e poi in serata su quello della piccola Venafro. Il messaggio è sempre lo stesso: "Dobbiamo mandare dal Molise un segnale forte a tutti i cittadini italiani". Berlusconi conferma anche l'intenzione di andare in piazza il 2 dicembre "con tutti gli altri partiti della Cdl", nonostante l'annunciato forfait dell'Udc di Pier Ferdinando Casini. Non è così che "manderemo a casa Prodi", che cada sulla finanziaria "è forse sperare troppo", precisa, ma è una protesta "che ci fa stare meglio".
Due comizi, ma con lo stesso finale: "Mandare a casa quel gran bugiardo, pericoloso per tutti noi, di Romano Prodi". Una frase già pronunciata a Vicenza, che Berlusconi ripete anche in Molise. In serata, poco prima di rientrare a Roma, il Cavaliere risponde secco alla bocciatura che praticamente dall'intero centrosinistra arriva alla sua proposta di governo delle larghe intese: "È la conferma del giudizio negativo che ho su di loro".
Un grande partito del centrodestra - a cui seguirà un importante partito della sinistra - sarà "un salto in avanti verso una democrazia completa" secondo Silvio Berlusconi che vorrebbe considerarlo come "il lascito" della sua discesa in politica.
È stato lui stesso a dirlo oggi ad Arconate dove ha partecipato a una manifestazione contro la Finanziaria con tanto di parata e carri allegorici con un gigantesco Berlusconi avvolto in una bandiera italiana (‘Silvio ritorna') e un'‘Italia di Prodi' rappresentata da un letto di ospedale e da una flebo. Berlusconi, oltre che dei conti pubblici, ha parlato proprio del futuro della politica e della possibilità di creare una federazione di partiti del centrodestra, un grande partito che si rifaccia al manifesto del partito popolare europeo.
"Forza Italia - ha detto - è il primo partito italiano. Ha il 29,4% e sono fiducioso che supereremo presto il 30%, ma ci dichiariamo disponibili ad immedesimarci in un nuovo partito delle libertà". Un partito a cui, ha sottolineato, le altre forze della coalizione avevano detto di essere concordi "fino all'altro giorno", poi è arrivata "l'eccezione dell'Udc, ma gli atri sono ancora concordi".
Secondo il leader di Forza Italia, anche grazie ai nuovi circoli della libertà, potrà nascere questa nuova forza. Anzi, secondo Berlusconi, se "i circoli nasceranno in ciascuno degli ottomila comuni italiani chiamando all'impegno politico, dato che il momento lo richiede, forze nuove - ha sottolineato - se troveranno modo di affermarsi, credo che l'Italia liberale potrebbe riunirsi in un unico movimento e fare un passo avanti verso la democrazia che ora è bloccata da una infinità di partiti e partitini in lotta fra di loro".
"Attraverso un grande partito del centrodestra a cui seguirà necessariamente un importante partito della sinistra - ha aggiunto - faremo un grande salto avanti verso una democrazia completa e questo mi piace pensare potrebbe essere il lascito della mia discesa in campo".
Berlusconi ha parlato di "accanimento assoluto" anche rispondendo a chi gli chiedeva un commento sul derby vinto ieri sera per 4-3 dall'Inter e riferendosi questa volta agli arbitri. "A volte anche l'accanimento degli arbitri è assoluto": ha detto il presidente del Milan.
"Tutti i nostri elettori chiedono di dare vita a un atto collettivo di opposizione": Silvio Berlusconi lo ha ribadito con i giornalisti confermando che la Cdl "con ogni probabilità" scenderà in piazza per una manifestazione nazionale a Roma il 2 dicembre.
Quindi non ci sono solo i gazebo già messi in tante città e "manifestazioni in previsione - ha aggiunto - in teatri e luoghi coperti di tutti i capoluoghi nelle prossime settimane". "Con ogni probabilità - ha spiegato l'ex premier - il 2 dicembre abbiamo accettato di partecipare alla manifestazione nazionale di Roma contro il regime e per la libertà".
Il criterio seguito dal centrosinistra nel preparare la finanziaria è stato quello di "togliere a quelli che ritengono ricchi" mentre solo il centrodestra "ha fatto una politica sociale": così ha detto Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, parlando alla gente ad Arconate.
"Il loro criterio, la loro missione - ha spiegato l'ex premier - è quella di togliere a quelli che ritengono ricchi. Per dare a chi ha meno? Non hanno fatto nulla di politica sociale".
"La politica sociale - ha aggiunto - l'abbiamo fatta noi nei limiti consentiti dai conti dello Stato e da un buco di 38 mila miliardi di lire che loro ci hanno consegnato, mentre noi abbiamo consegnato conti in ordine e 28 mila miliardi di vecchie lire in più in entrate dell'erario".
"Una pianta - ha concluso - non può cambiare all'improvviso i frutti che dà. E noi li stiamo vedendo: sottomissione dei cittadini, schedatura dei cittadini, più tasse, invidia sociale, rancore e odio verso coloro che considerano ricchi".
Per l'Italia Silvio Berlusconi teme un futuro "illiberale, magari autoritario" come nel 1994 quando scese in politica. Nel suo intervento ad Arconate ha riletto un brano del discorso che fece all'Eur "quando - ha detto - decisi di lasciare la carriera dell'imprenditore perchè ero preoccupato del futuro del mio Paese e vedevo per il mio Paese un futuro illiberale, confuso, magari anche autoritario, come lo vedo anche adesso".
L'accenno è per invitare tutti a un impegno politico, a partire dai nuovi circoli per la libertà ed è anche una stoccata al centrosinistra. "I signori della sinistra - ha detto - pensano che noi non abbiamo diritti, pensano che sia lo Stato a concederli ai cittadini e ritengono che possa decidere di limitarli se è nel suo interesse, come ad esempio per la privacy".
In realtà, però, secondo Berlusconi "non c'è interesse dello Stato, ma di chi occupa il potere nello Stato, dei partiti che hanno il potere, c'è l'interesse dei capi dei partiti perchè la storia della sinistra è fatta di vittime e omicidi", di cui sono esempi i Gulag in Unione Sovietica o le uccisioni volute da Mao in Cina.
"Contrordine compagni: quello di Villa Pamphili non era un vertice della sinistra, ma una replica del vecchio film ‘Le comiche'. Prodi è uscito dicendo: ‘riformeremo le pensioni', due della sinistra smentiscono, gli altri non sanno più che pesci prendere. Che spasso! Diamo atto a questo governo che quando si tratta di far ridere, non è secondo a nessuno, neanche a Pozzetto e Villaggio!". Così Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, commenta la riunione governo-maggioranza.
Villa Pamphili: Romano Prodi esordisce con "siamo seri, siamo uniti, risolleveremo il Paese". In effetti, la serietà è, ancora una volta, rimasta sui manifesti della campagna elettorale, e nelle intenzioni del premier; l'unità è un concetto legato solo al nome della coalizione e la capacità la risollevare il Paese uno slogan promozionale.
Conoscendo il gusto per le dichiarazioni in libertà dell'esecutivo, il premier aveva voluto alcune regole puntualmente disattese: avrebbero dovuto parlare solo di finanziaria e invece il menu delle chiacchiere si è allargato in maniera proporzionale al numero dei partecipanti. Avrebbero dovuto parlare soltanto i rappresentanti dei partiti lasciando ai ministri un ruolo "arredativo" ma in effetti i rappresentanti del governo non hanno rinunciato a difendere le proprie ragioni partitiche e di dicastero. Unica eccezione il silenzio di D'Alema, ma nessuno pensa che abbia voluto fare l'obbediente.
Comunicazione: Sircana parla di cattiva comunicazione, Di Pietro evidenzia che il governo non comunica con i ministri e Prodi, di rimando, gli rimprovera che anche i ministri non comunicano al governo gli emendamenti. E' una gag comica o un caso di incomunicabilità gravissima.
Collegialità: Rutelli tenta l'affondo sulla necessità di mettere in moto la macchina delle riforme anche per allargare il campo del consenso, ma la sinistra radicale insorge. Franco Giordano litiga con Visco perché chi sta sotto i 40mila euro di reddito deve avere dei benefici e i documenti in suo possesso non lo precisano in maniera inequivocabile. Diliberto solleva la questione del ritiro dei nostri militari da Kabul e tutti e due bloccano qualsiasi ipotesi di riforma delle pensioni e, peggio ancora, elettorale. Anzi, quando a Parisi viene rimproverata la sua adesione al tavolo dei referendari Prodi va in soccorso: "la riforma non è sul tavolo".
Spero, prometto: Fassino vuole che si spieghi che le tasse previste dalla finanziaria di oggi siano supportate dalle riforme di domani per non apparire come ingiustificato prelievo: campa cavallo… Tanto che Pannella, assente Emma Bonino e silente Capezzone, parla - da radicale - di un "Prodi utopico che ci prometteva riforme radicali". E se Boselli, forse per lo Sdi o forse per la Rnp, chiede uno scatto d'orgoglio, Pecoraro Scanio chiede che le città vengano liberate dal traffico, mentre Mastella vorrebbe più rispetto per i magistrati che scioperano e replica a Padoa Schioppa che, a proposito della finanziaria, non vale il detto "molti nemici molti onori", perché "se tutti mugugnano è un errore dire che siamo nel giusto". Esatto. Infatti, per chiudere lo sketch di Villa Pamphili, Prodi esibisce una battuta alla "catalano": "se la manovra risolve i problemi, gli italiani l'approveranno. Altrimenti, no…".
La situazione è favorevole soprattutto considerando il margine di esiguità su cui si fonda l'attuale maggioranza, e dunque l'opposizione può utilizzare una tecnica di judo piuttosto che la forza pura. Bene ha fatto perciò Berlusconi ad annunciare una forte mobilitazione nel Paese e nello stesso tempo indicare la possibilità di un governo istituzionale per l'interesse nazionale.
La definizione di "interesse nazionale" è appropriata e significativa perché sottolinea il rischio del mantenimento dell'attuale quadro politico e segnala la necessità di un governo capace di affrontare, con un sufficiente grado di coesione e di autorevolezza, le riforme necessarie per non perdere l'occasione dello sviluppo economico.
E' inteso che un governo di questa natura non potrebbe avere una durata superiore a due anni. Nascerebbe con un programma limitato e con il compito di preparare le prossime elezioni politiche, magari con l'approvazione di una nuova legge elettorale condivisa.
Questa prospettiva avrebbe anche l'effetto di calmare gli animi e le preoccupazioni di quei parlamentari che agognano a raggiungere il limite della pensione, circostanza che ha sempre influito nel decorso delle legislature parlamentari.
Dalla sinistra sono giunte sinora sbrigative risposte di chiusura e di autosufficienza, accompagnate dalla minaccia di tornare immediatamente alle urne nel caso di crisi del governo. Nessuno tuttavia dubita che in caso di caduta del governo le maggiori forze politiche sarebbero costrette a trovare una soluzione "ponte" per non interrompere immediatamente la legislatura.
L'energia con cui Berlusconi ripropone l'esigenza delle grandi intese non è in contraddizione con le sue valutazioni sul pericolo per il nostro Paese rappresentato dal governo Prodi. Quando il leader della Cdl afferma che «così non si va avanti» e che la sua è una proposta di buon senso per uscire dal disastro del Paese nell'interesse degli italiani, mostra ancora una volta, come nei giorni del suo ingresso in politica, di essere un precursore, di vedere in anticipo i futuri scenari politici e soprattutto pensa al bene degli italiani, pensa a una fase politica nuova che metta da parte un bipolarismo armato, con il coltello fra i denti.
Non se ne esce, è il suo ragionamento, da una fase in cui una parte politica - la sinistra - opera in odio a un'altra parte, smonta ogni sua riforma e nega quanto di buono è stato fatto nei passati cinque anni.
Se si vuole davvero il bene del Paese non si può fare politica contro un preciso schieramento, contro oltre la metà degli elettori italiani. Se si ha a cuore il nostro futuro, non si può operare sotto il ricatto delle estreme, mortificando ogni tentativo di riforma, come quella delle pensioni, vanificando la ripresa o legandola solo ad una politica di inasprimento della pressione fiscale e di spionaggio di tutti gli italiani con la speranza che qualcuno nella rete finirà.
La scossa al Paese bisogna darla e non può essere certo Prodi a produrla. L'unica possibilità - visto che sembra difficile un ritorno alle urne - è che si riuniscano tutti i moderati di buona volontà per rimboccarsi le maniche e mettersi davvero a lavorare nell'interesse dei cittadini.
Lo sanno tutti, compresi i moderati dell'Unione, basta solo che cessino le diffidenze. Berlusconi, oggi come nel '93, l'ha capito prima di tutti.
Renato Mannheimer, oggi sul Corriere della Sera, si esercita su scenari elettorali legati alla eventuale modifica della legge elettorale per via referendaria consistente nell'attribuire il premio di maggioranza al singolo partito anziché alla coalizione.
Poiché non è modificabile, per via referendaria, la diversa applicazione del premio - su base nazionale per la Camera, su base regionale per il Senato - scontato che la riforma faciliterebbe la formazione di due grandi partiti, uno di destra e uno di sinistra, con taglio delle ali estreme, si avrebbero tre scenari applicando i risultati del 9-10 aprile.
Il primo scenario prevede che i partiti si presentino come nelle ultime elezioni. In questo caso alla Camera vincerebbe l'Ulivo, ottenendo il premio di maggioranza, e al Senato vincerebbe la Casa delle Libertà, con il risultato della ingovernabilità.
Il secondo scenario prevede la presentazione delle due coalizioni del 9-10 aprile semplificate in due partiti unici. In questo caso, alla Camera vincerebbe il centrosinistra e al Senato il centrodestra, con il risultato, anche questa volta, della ingovernabilità.
Il terzo scenario prevede che il centrodestra si presenta come unico partito mentre nel centrosinistra Ulivo e Rifondazione si presentano separati. Allora il centrodestra vincerebbe sia alla Camera sia al Senato.
Ne segue che, come nel 1996, nel 2001 e nel 2006, la vittoria della sinistra dipenderebbe dalla scelta di Rifondazione (se stare o non dentro il partito unico della sinistra) anche nel caso di riforma dell'attuale legge elettorale.
La conseguenza è che per dare stabilità al sistema politico italiano occorrono riforme di tipo diverso: la prima è di ordine costituzionale, eliminando la rappresentatività regionale del Senato; la seconda riguarda la legge elettorale che, se deve favorire la formazione di due grandi partiti, deve essere maggioritaria e a un solo turno.
Questo però potrebbe non bastare in quanto si potrebbero costituire dei "partiti unici" a scopo elettorale, così come sono state costituite "coalizioni" a scopo elettorale, destinate a restare litigiose e a mettere in pericolo più che la governabilità la coerenza della politica governativa.
Le considerazioni di Mannheimer servono a capire che la sola riforma del sistema elettorale non garantisce, se non in apparenza, maggiore governabilità.
La megariunione a Villa Pamphili non ha risolto i gravi problemi di coesione della variopinta armata del centrosinistra. Anche in considerazione dell'elevato numero dei partecipanti (almeno 45 persone) è stato impossibile affrontare in maniera decisiva le complesse e numerose controversie legate alla manovra e testimoniate dalle centinaia di emendamenti presentate dai diversi settori della maggioranza. Il vertice ha assunto, così, il valore di un atto rituale: ciascun alleato ha formalmente promesso di mantenere fede ai patti, senza però rinunciare alle proprie posizioni. La guerra interna continua, ma l'inconcludente incontro di Villa Pamphili è stato la base delle ultime due grandi bugie di Romano Prodi: la prima, che la maggioranza è coesa; la seconda, che la finanziaria escogitata per spremere i cittadini farà bene all'Italia.
A smentire la prima bastano i colpi che continuano a scambiarsi, sui giornali, la sinistra estrema e quella cosiddetta riformista; a smascherare la seconda sono i cittadini, in prima linea gli appartenenti ai ceti produttivi, con un coro di proteste che attraversano il Paese da Nord a Sud.
Contro la manovra si schierano rappresentanti di categoria, ma anche esponenti politici di spicco del centrosinistra che testimoniano quanto sia lunga l'onda della delusione fra chi ha votato per la coalizione del Professore.
L'Italia intera, non soltanto l'opposizione, in piazza contro la Finanziaria. La selva di bandiere sventolate dai pensionati in piazza Navona , dove il colore predominante era il rosso della Cgil, sono la fotografia del poco invidiabile traguardo raggiunto dal governo:
Prodi è riuscito a unire il Paese nel segno della protesta contro una manovra che fa piangere tutti, i poveri più dei ricchi.
Pensionati. Chiedono la parificazione delle detrazioni fiscali rispetto ai lavoratori dipendenti, detrazioni per gli ultrasettantacinquenni, misure per gli incapienti, l'aumento del ridicolo stanziamento del Fondo per la non autosufficienza, la difesa del valore d'acquisto dei loro redditi.
I pensionati misurano sulla propria pelle la manovra fiscale di Prodi, il Robin Hood alla rovescia grazie al quale nelle loro tasche arriverà in media la miseria di 18 euro l'anno, che saranno falcidiati dalle tasse locali.
Ma misurano anche il divario tra le promesse di equità fiscale non mantenute dal Grande Bugiardo e quelle mantenute dal governo Berlusconi: pensioni minime aumentate per due milioni di pensionati, allargamento della "no tax area" ad altri 700mila, esenzione dal pagamento Irpef per dieci milioni di contribuenti non agiati.
Autonomi. Contro la manovra manifestano artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, professionisti, operatori del turismo, dei servizi, dei trasporti. Rappresentano cinque milioni di aziende, contribuiscono alla produzione del 70% del Pil, hanno creato e mantengono milioni di posti di lavoro. Tutte le organizzazioni protestano, anche Cna e Confesercenti, tradizionalmente di sinistra. "E' la prima volta dal dopoguerra che siamo tutti insieme, almeno in questo Prodi ci è riuscito", ha ricordato il presidente di Confartigianato.
La protesta dei ceti produttivi, vera e propria spina dorsale dell'economia del Paese, è la conferma che questa manovra ha tutti contro. Al settore del commercio la finanziaria costerà sette-otto miliardi, con una pressione fiscale che salirà al 42%. Per gli artigiani, l'inasprimento degli studi di settore costerà oltre un miliardo, l'aumento delle aliquote contributive 850 milioni e il contributo per gli apprendisti altri 350. La tassa di soggiorno è una batosta per il turismo.
La torchiatura fiscale di questa manovra, che colpisce indistintamente ceti produttivi, lavoratori dipendenti e pensionati, affosserà ogni tentativo di aggancio alla crescita e allo sviluppo del Paese. Di fronte al dilagare della protesta, a destra come a sinistra, Prodi ribadirà il suo orgoglio per una manovra che scontenta tutti?