"Non parlo di partito unico, ma di un grande partito della libertà che se fosse formato da Forza Italia, da An, dalla nuova Udc e dai Repubblicani sarebbe già al 45%".
Lo ha detto l'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, al termine della festa per i 96 anni della madre organizzata al teatro Sociale di Como. Berlusconi ha quindi spiegato che va avanti sul progetto della federazione: "è meglio avere una federazione piuttosto di una coalizione perché in questa basta che uno non ci stia e tutto si arena. Nella federazione, invece, c'è l'obbligo di accettare il voto della maggioranza che è una regola della democrazia". Berlusconi infine ha affermato di essere fiducioso per la sfida elettorale alle amministrative: "siamo sopra la sinistra di 15 punti. Dopo le amministrative parleremo del futuro del Centrodestra".
Berlusconi: la "Gentiloni" è delittuosa
"Francamente non penso che ci sia qualcuno che possa prendere un'azienda quotata in borsa e tagliargli un terzo della sua produzione se non per odio politico perchè c'è un azionista a cui si vuole far del male". Lo ha detto l'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, conversando con i giornalisti.
"Così si fa del male a tutti gli altri azionisti che non hanno colpa e più nessun fondo di investimento verrebbe nel nostro paese ad investire". Berlusconi ha quindi aggiunto: "non ho mai detto che porterò per questo la gente in piazza, penso che in Parlamento questa cosa si arenerà perchè 157 complici ad un disegno di legge veramente delittuoso non si possono trovare". L'ex presidente del Consiglio ha quindi ricordato che sulla pubblicità per le televisioni è già stato fatto un referendum: "Se c'è qualcuno che ha il monopolio è chi sta sul satellite. Le tre povere reti Rai e Mediaset devono confrontarsi con chi ha 138 canali sul satellite". Quindi ha aggiunto: "nel momento che c'è il digitale terrestre pensare di portare una rete Rai sul satellite, e non Raitre, cioè la più piccola ma la rete 2 che ha un direttore leghista e un direttore del tg di An, è un atto politico chiaro. Questa è una proposta così strampalata che c'è da stupirsi che qualcuno l'abbia pensata".
Berlusconi ha quindi spiegato che una proposta così viene da un governo formato da partiti "che si dicono orgogliosamente comunisti".
"Ho raccontato - ha aggiunto – l'apologo della rana e dello scorpione. Lo scorpione punge la rana e questa dice perchè l'hai fatto. Lo scorpione risponde: è la mia natura. Così sono loro, sono antiamericani, antieuropei, antimercato e anticattolici. Fanno questo perchè è la loro natura".
La Federazione dei partiti della Liberà non è solo un progetto ma, piuttosto, il naturale approdo di un percorso politico, nonché una vera e propria necessità per il futuro del Paese. Oggi l'Italia somiglia, per composizione politica, all'Inghilterra dei tempi moderni: infatti, non vi sono due soli schieramenti unitari all'orizzonte, bensì tre grandi aree di riferimento per gli elettori. Esse sono i moderati di stampo riformista e liberale, il centrosinistra discendente dalla vecchia socialdemocrazia e la sinistra radicale che, pur minoritaria, raccoglie tra il 10 e il 15% dei consensi assoluti. In questa situazione, per contrastare una unione innaturale e speculativa delle "due sinistre" occorre accelerare la formazione e la crescita della nascente federazione delle Libertà.
Si tratta di un progetto che ha le sue radici non solo e non tanto in una semplice azione politica, ma nella storia del Paese e negli ideali che uniscono i partiti di centrodestra. Nonostante le differenze inevitabili su alcuni particolari della visione politica, i partiti della Casa delle Libertà sono uniti e coesi nei valori fondamentali in ogni campo della gestione della società. Per questo la federazione dovrà essere un organismo capace di raccogliere lo spirito comune e nello stesso tempo di esaltare le differenze come fonti di arricchimento politico e sociale. È quindi auspicabile che anche Lega Nord e Udc diano il proprio fondamentale contributo a un progetto che permetterà finalmente all'Italia di allineare il proprio quadro politico a quello delle grandi democrazie europee.
Arrivano stipendi e pensioni della "controriforma" fiscale contenuta nella finanziaria, le prime buste-paga della "cura Prodi" nelle tasche degli italiani. I cittadini-contribuenti potranno fare i primi conti, ma una cosa è certa: quelli definitivi si conosceranno soltanto ad aprile, quando nelle tasche dei cittadini si abbatteranno le revisioni delle addizionali di Regioni e Comuni.
Detto in due parole: chi ci perde ora, ci perderà ancora di più; chi ci guadagna, aspetti a brindare perché, nella migliore delle ipotesi, vedrà rapidamente assottigliarsi il già modesto incremento di reddito disponibile.
Da alcuni giorni la stampa nazionale si esercita nel segnalarci come e quanto le categorie più deboli trarranno vantaggi dalla nuova Irpef. Ma nessuno, per quanto disponibile ad accompagnarla con un concerto di violini, riesce più di tanto a indorare la pillola.
Un consiglio finale per quanti troveranno qualche euro in più nella busta di gennaio: piuttosto che festeggiare, si preparino a stringere la cinghia.
"Non si può porre un tetto al fatturato perché questo deprime la crescita e gli entusiasmi imprenditoriali. Vanno trovati dei rimedi strutturali".
Lo ha detto il presidente dell'Antitrust Antonio Catricalà ospite del programma di Lucia Annunziata In mezz'ora in onda su Raitre. Catricalà ha così risposto alla giornalista che gli chiedeva una valutazione sulla possibile decurtazione di raccolta pubblicitaria per Mediaset prevista nella legge Gentiloni.
"Per la Rai c'è anche il canone ma per Mediaset - ha aggiunto Catricalà - non c'è". Su questo punto ha ragione Berlusconi? Ha quindi domandato Annunziata. "Si" è stata la replica del presidente dell'Antitrust.
"Non si può impedire a un'azienda di crescere". Con questo argomento, che è prima di tutto di buon senso, il presidente dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Antonio Catricalà, ha messo una seria ipoteca sul disegno di legge di riassetto del sistema radiotelevisivo presentato dal ministro Gentiloni.
A distanza di oltre dieci anni dai referendum (gli ultimi che nella storia del referendum hanno raggiunto il quorum) con cui gli elettori decisero che Mediaset (allora Fininvest) poteva continuare ad avere tre reti (Canale 5, Italia 1, Rete 4), una sola agenzia di raccolta pubblicitaria comune (Publitalia) e programmare spot pubblicitari durante la trasmissione dei film, Catricalà non fa che ribadire una verità che agli italiani appare persino banale, ma che la sinistra non vuole riconoscere.
Da quando si è rotto il monopolio di Stato televisivo, la sinistra ha cercato con argomentazioni di ogni tipo di impedire la crescita della televisione commerciale, per due ragioni: una tattica e l'altra ideologica.
La ragione tattica è presto detta: i partiti, specie quelli di sinistra, erano convinti di perdere il controllo dell'opinione pubblica che la Rai esercitava con la lottizzazione dell'epoca di Bernabei. Tanto che il Pci abbandonò i propositi di ostruzionismo contro la legge Mammì (la prima che fissò le regole del sistema televisivo post-monopolio) solo quando l'allora maggioranza di pentapartito concesse in cambio la nascita della terza rete Rai, da allora in appalto esclusivo ai comunisti di varia denominazione.
La ragione ideologica, che ancora oggi fa capolino nel progetto Gentiloni, è l'avversione di tutta la sinistra, qualunque sia la sua origine (comunista o cattolica) contro la libertà d'impresa. Una grande impresa, che sfugge alla mediazione e al controllo della politica grazie al fatto che i suoi bilanci sono in ordine, rappresenta per le sinistre un'anomalia insopportabile.
Se poi si considera qual è stato il ruolo del fondatore di Fininvest-Mediaset sul cambiamento dell'opinione pubblica, prima e, direttamente sulla scena politica, poi, non c'è dubbio che a sinistra avevano visto giusto! Berlusconi rappresenta il vero, e forse unico, ostacolo, allo strapotere della sinistra.
Le ragioni di Catricalà sono dunque sacrosante. E se in una nazione libera sarebbero apparse persino banali, in Italia assumono un rilievo straordinario perché evidenziano il netto contrasto tra i principi del libero mercato e l'ideologia dominante nel governo.
Con la sua intervista televisiva Catricalà, anzi, ha dato le migliori armi all'opposizione per contrastare la sedicente volontà liberalizzatrice del governo.
Con i provvedimenti di Bersani, infatti, si amplia la concorrenza tra i barbieri, ma con la legge Gentiloni e con il Fondo di Stato in cui far confluire tutte le reti di pubblica utilità (come prevedeva il famoso Piano Rovati) si creerebbe un "mostro con un potere enorme e incontrollabile" contro ogni libertà di mercato. Altro che governo liberalizzatore; siamo di fronte al più preoccupante "Gosplan" che negli ultimi decenni sia mai stato concepito.
La famosa lenzuolata di (presunte) liberalizzazioni ha avuto commenti di vario genere. Chi, nel merito, le ha promosse, chi le ha bocciate, chi le ha considerate un primo, timido passo, chi è convinto che servano davvero a poco se non accompagnate da una vera, grande liberalizzazione dell'intero sistema. Una cosa è però certa: il provvedimento di Bersani va a colpire il ceto medio e quelle categorie produttive che poco hanno a che fare con la sinistra. Le liberalizzazioni appaiono come una vendetta pianificata e portata a termine nei confronti di coloro che sostengono, hanno sostenuto e sosterranno il centrodestra.
Si infierisce contro le categorie indifese per tutelare interessi intoccabili protetti e garantiti da un sistema politico fondato su un perverso intreccio di affari. E' questo il punto, il nocciolo del problema. Un intervento come quello che permette la vendita di benzina e giornali davanti o nei supermercati, dopo che essi sono stati già pesantemente favoriti dalla prima lenzuolata del diessino Bersani (per esempio con la possibilità di vendere medicinali da banco), rappresenta un fin troppo evidente favore alla cooperative rosse per passare inosservato.
Si colpisce la piccola distribuzione, favorendo quella grande e all'interno di questa, guarda caso, ci sono proprio le coop (soprattutto quelle rosse), che tra l'altro godono di «privilegi fiscali ormai anacronistici e truffaldini». La cosa che colpisce è il silenzio dei media. Di fronte ad un così macroscopico conflitto d'interessi da parte del governo e dell'autore dei provvedimenti (che è diessino e che con le coop è legato a doppio filo), non c'è un solo organo di stampa imparziale, un solo opinionista, che prenda posizione, che dica una sola parola di sdegno, che chieda lumi. Troppo facile restare sul generico e accusare larvatamente il governo di mancanza di coraggio.
La verità è che la sinistra si è resa protagonista di un pesantissimo conflitto d'interessi, spacciando le liberalizzazioni come misure a vantaggio dei cittadini e nascondendo i veri beneficiari di queste misure: gli amici e gli amici degli amici.
Ed è grave che certi organi di stampa, così pronti a riempirsi la bocca del conflitto di interessi quando questo può riguardare Berlusconi, tacciano e si rendano complici di fronte ad un comportamento così sfacciatamente spregiudicato da parte del governo.
Se tutte le istituzioni e le authority sono in mano alla sinistra, non c'è uno che prenda provvedimenti. Se anche la stampa tace, il passo verso il regime è davvero breve.
Sempre che non ci siamo già finiti dentro.
La presa di posizione dei vescovi sui Pacs ha messo con le spalle al muro i cosiddetti Teodem del centrosinistra. E non basteranno certo slogan come quello coniato da Rosy Bindi ("Non faremo una famiglia parallela") a risolvere un problema che è insieme politico e di coscienza. No: ci vorrà un voto contrario in Parlamento alla proposta di legge che il governo presenterà fra pochi giorni per dimostrare di essere ancora cattolici. E non come il "cattolico adulto" Prodi, che per mantenere la poltrona è disposto a fare patti anche col diavolo. Questa volta occorreranno atti concreti di discontinuità da parte degli ex democristiani della Margherita.
D'altronde, secondo Mastella su questi temi non c'è vincolo di maggioranza e deve vigere la libertà di coscienza dei singoli parlamentari. Sui valori, comunque, non si tratta, e i Teodem sono davanti a una scelta cruciale: stare con monsignor Betori, con la Chiesa e con il Papa o schierarsi con i Pacs di Prodi, diversi dai matrimoni gay alla Zapatero solo formalmente, ma non sostanzialmente? La formulazione del programma dell'Unione in materia di coppie di fatto è volutamente ambigua, ma quale che ne sia l'interpretazione porterebbe comunque ad una legge socialmente negativa.
Se infatti lo Stato non riconosce le convivenze in quanto tali, ma poi attribuisce a chi ne fa parte diritti successori, previdenziali, pensionistici e sanitari, finisce per attuare un riconoscimento indiretto delle convivenze in quanto tali, altrettanto efficace per promuovere nella società un modello, un surrogato della famiglia che finirebbe per costituirne un'alternativa, in particolare per le coppie gay.
La verità è che molti dei diritti individuali dei conviventi di cui si chiede il riconoscimento sono già compresi nelle libertà fondamentali della persona tutelate dalla Costituzione e nel codice civile.
Perciò, riconoscere ipotetici diritti individuali ai componenti delle unioni di fatto per evitare una loro (inesistente) discriminazione vorrebbe dire solo una cosa: far venir meno la centralità della famiglia sancita dalla Costituzione.
Leggendo i cosiddetti grandi giornali, si ha la netta e spiacevole sensazione di vivere in un Paese che si trova nell'anticamera di un regime. Le pagine politiche, infatti, si occupano esclusivamente degli innumerevoli problemi del governo – che si sforzano di minimizzare o di giustificare - e della coalizione che lo sostiene ignorando quasi totalmente l'opposizione, che per inciso rappresenta la maggioranza del Paese. Se il monopolio della sinistra sul governo, sulle istituzioni e sugli apparati burocratici si estende in modo così pervasivo anche sugli organi di informazione, diventa non solo un diritto, ma un preciso dovere, denunciare una deriva allarmante e pericolosa per la nostra democrazia.
Questa maggioranza fittizia e divisa su tutto è ormai un ossimoro indigeribile e paralizzante che fa inclinare sempre di più la nave del governo senza tuttavia affondarla. Missione in Afghanistan, base di Vicenza, riforma delle pensioni, legge Biagi, Alta Velocità, Pacs ed eutanasia sono temi cruciali sui quali l'Unione procede costantemente in ordine sparso, con l'intermezzo di qualche grottesca "verifica" e di una raffica senza precedenti di questioni di fiducia che umiliano il Parlamento e a cui i partiti di maggioranza si assoggettano, avendo in comune il solo obiettivo di "votare per durare".
Ne esce così una politica a doppia grammatica, una sorta di convergenza parallela tra due anime lontane ma ugualmente illiberali che non riescono a fornire una cifra accettabile di governo ma galleggiano sui problemi e li bypassano mirando unicamente alla conservazione del potere. C'è dunque la sensazione di assistere a un colossale gioco delle parti in cui la sinistra, non nascondendo le sue divisioni, ma anzi esaltandole e conferendo a Prodi la veste del grande mediatore, tende a coprire ogni spazio della politica, facendosi maggioranza e opposizione, forza di piazza e di governo. E' un gioco di corto respiro, ma anche una truffa pericolosa alla quale troppi giornali compiacenti fanno da cassa di risonanza per propalare al Paese un Pensiero unico che è l'esatto opposto della democrazia. E l'agguato in atto contro Mediaset rappresenta la classica goccia che fa traboccare il vaso del regime.
Forse rimpianta da pochi, la politica sta uscendo silenziosamente dai talk show televisivi. Fino a qualche tempo fa, Porta a Porta, Matrix, Ballarò, Annozero proponevano ogni giorno roventi anche se non sempre appassionanti dibattiti sui temi dell'attualità politica. Esaurita, con pochi rimpianti, la trasmissione di Santoro, è rimasta solo Ballarò, costretta dalle caratteristiche più rigide del suo format, ad occuparsi di politica. Le ultime puntate di Matrix erano dedicate, rispettivamente, al delitto di via Poma e al tema degli scherzi (una sorta di approfondimento di "Scherzi a parte", trasmesso la stessa sera in prima serata). Da parte sua, nell'ultima settimana, Porta a Porta ha dedicato una serata a un tema con qualche risvolto politico (si parlava di delitti e di sconti di pena ai colpevoli), le altre tre, rispettivamente, alle tendenze e alle mode per il 2007, agli anni '60 e all'astrologia.
È solo un problema di ascolti o c'è qualcosa di più?
Certo, è difficile pensare che l'ennesimo dibattito sulla riforma delle pensioni o sul Partito Democratico, dalle 23.30 all'una di notte, calamiti l'attenzione di milioni di appassionati.
Ma è ragionevole pensare che lo spegnersi dei riflettori sulla politica non dispiaccia affatto a un Governo e ad una maggioranza in palese crisi di popolarità, e perennemente in attesa di definire i propri assetti strategici.
C'è indubbiamente in atto un tentativo di restaurare (anche attraverso le nuove, demagogiche "liberalizzazioni") l'immagine e la popolarità del governo, caduta ai minimi storici. Dopo il bastone della finanziaria, la carota di un po' di populismo, sia pure ai danni di alcune categorie.
I talk show sono gli unici luoghi televisivi nei quali i due schieramenti si confrontano su un piano di relativa parità, e nei quali di conseguenza le contraddizioni e le difficoltà della sinistra emergono in modo impietoso. Il loro silenzio non finirà con l'aiutare – sia pure non intenzionalmente - questa "campagna d'inverno" del centro-sinistra?
A dispetto dei toni trionfalistici con cui si è celebrato il parto delle liberalizzazioni finte, nonostante i toni della stampa amica che cerca di alimentare il mito di un quasi cesarismo prodiano, il governo continua a far poco o nulla, e male per giunta. Soprattutto, per ogni progetto che mette in cantiere è costretto a subire strappi e fratture interni, che soltanto la tecnica del rinvio riesce a contenere. Ma fino a quando?
I nodi si aggrovigliano, decreti e disegni di legge dovranno pur arrivare in parlamento e non è escluso che le contraddizioni interne possano esplodere clamorosamente.
Nel giro di poco più di sette giorni, l'esecutivo di Romano Prodi ha registrato polemiche e divisioni su tutti i fronti, dai temi eticamente sensibili alla politica estera, alla politica interna.
Se è possibile che le ministre Pollastrini e Bindi raggiungano un'intesa sul testo relativo alle unioni di fatto, appare molto più arduo mediare fra Fassino e Mastella. Il ministro della Giustizia non intende cedere: "Non ho mai sottoscritto i Pacs nel programma. Nessuno pensi di porre la fiducia sui diritti civili". Non è escluso che l'Udeur presenti alle Camere una mozione contraria alla regolamentazione delle coppie di fatto, che potrebbe portare a una sconfitta della maggioranza. Mastella insiste sul tema della difesa della famiglia tradizionale perché avverte che la Margherita, pur con qualche maldipancia e qualche dissenso, potrebbe accordarsi con gli alleati di sinistra: in questo il leader dell'Udeur si legittimerebbe come unico riferimento di chi si richiama, nell'Unione, all'ispirazione cattolica.
Nella riunione del Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto per il rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan tre ministri (Ferrero, Pecoraro Scanio e Bianchi) si sono astenuti, per rimarcare la loro opposizione al prolungamento della presenza italiana in quel Paese. Una rottura netta, che ha minato (per ammissione dello stesso Prodi) la credibilità del governo e – ancor più grave – l'immagine internazionale dell'Italia.
Prodi si dice certo che alle Camere, in occasione della conversione del decreto, non ci saranno intoppi, ma questa è soltanto una speranza. Osservatori attendibili affermano che almeno otto senatori dell'Unione si rifiuteranno di votare il provvedimento. Ma non basta. La questione della missione afghana si salda a quella della base Usa di Vicenza. I militanti dei "movimenti", cui da sempre guardano i partiti della sinistra radicale, chiedono di fatto una svolta radicale nella politica estera italiana. Gli stessi militanti attaccano anche esponenti della sinistra, sicché Rifondazione, Comunisti e Verdi potrebbero essere indotti a irrigidire le loro posizioni per non deludere il popolo dei "movimenti". Inoltre, bisognerà vedere cosa succederà a Vincenza durante la manifestazione promossa dai "no base" per il 17 febbraio.
Continua il tormentone della Tav, avanti piano, quasi indietro. Rispondendo alle sollecitazioni dell'Europa, e segnatamente della Francia, Romano Prodi ha assicurato che il tratto ferroviario ad alta velocità sarà realizzato entro le frontiere italiane. Ma la sua è una promessa azzardata, sia perché il governo è diviso anche su questo tema, sia perché il movimento anti-Tav continua ad essere vivo, vitale e politicamente sostenuto dall'interno dell'Unione. Sinistra radicale e ambientalisti non perdono occasione per sabotare e ritardare in ogni modo il progetto.
Pochi giorni fa il ministro Bianchi (Pcdi) ha sostenuto che i dati relativi all'opera e all'impatto ambientale debbono essere rivisti con ponderazione e prudenza, il che significa che potrebbero occorrere mesi, forse anni. Nessuno, ha detto Bianchi, può metterci fretta. Anche questo è un modo per dire che la Tav non si farà, almeno non la farà questo governo, se vorrà durare.
Le grane nuove oscurano per un po' quelle che le hanno precedute, che però mantengono il loro potere destabilizzante. Il ministro Padoa Schioppa ha smesso di parlare della necessità di riformare il sistema previdenziale e di innalzare l'età pensionistica. Questo silenzio non è dovuto al fatto che il problema si sia risolto da solo o che l'Europa abbia smesso di chiedere il taglio della spesa previdenziale, ma alla consapevolezza dello stesso ministro di non poter cambiare nulla. La sinistra radicale, infatti, non intende sentir parlare di aumento dell'età pensionabile e di revisione dei coefficienti in base ai quali si calcolano gli assegni di chi lascia il lavoro. Il governo, anche in questa materia, è bloccato dai veti ed è inchiodato dalla promessa, fatta in campagna elettorale, di eliminare lo "scalone" previsto dalla riforma del centrodestra. A denti stretti parecchi esponenti della maggioranza ammettono che quella riforma è in grado di garantire risparmi certi (e quindi la pensione dei giovani che oggi cominciano a lavorare), ma sono stati presi dall'ansia faziosa di cancellare ciò che il centrodestra ha realizzato.
Per evitare, anche su questo tema, un effetto destabilizzante, il governo sceglie l'immobilismo e il rinvio. Ma il tempo non lavora per il Professore.
Come ogni anno, anche in questa occasione il mondo della scuola si è dimostrato molto sensibile verso la "Giornata della Memoria. La scuola, come l'associazionismo giovanile, è certamente l'ambito in cui la sensibilità storica deve trovare maggiore realizzazione, perché è lì che si fonda la formazione della nuova generazione.
Per i giovani di Forza Italia, la "Giornata della Memoria" deve dunque essere la prima occasione per denunciare uno strisciante antisemitismo e un'omissione storica verso alcune dittature totalitarie da parte del mondo della formazione.
E' quantomeno inquietante ciò che traspare dai libri di testo di storia contemporanea scolastici e universitari: una posizione smaccatamente filo-palestinese che porta perfino ad una certa indulgenza verso il terrorismo, una visione "umanitaria" della crisi mediorientale che vede il "ricco Israele" sempre dalla parte della sopraffazione. In questo contesto, il clima di odio si autoalimenta.
E dovrebbe essere premura del ministro, attraverso un'opera costante di emanazione di atti ufficiali (circolari, lettere agli studenti, ecc..), e delle istituzioni scolastiche attraverso una scelta dei libri di testo in cui gli effetti devastanti di tutti i regimi totalitari – anche quello comunista - vengano trattati con rigore storico e scientifico, a promuovere una sensibilizzazione permanente su questi lati tragici del mondo globale, verso i quali non bisogna nutrire un'attenzione soltanto "di comodo".
Un processo avviato dal ministro Moratti, con la revisione dei programmi e l'apertura verso nuovi libri di testo che non facevano certo del revisionismo storico, con un serio dibattito verso dei passaggi storici fino ad allora "stranamente" dimenticati, dalle stragi partigiane ai pogrom comunisti, ma la scure di Fioroni contro la riforma scolastica del governo Berlusconi sta colpendo anche qui, togliendo libertà di scelta ma soprattutto libertà di giudizio da parte degli studenti di domani.