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il Quaderno del 30 gennaio

Stipendi/Prodi bugiardo, arriva la stangata

E venne il giorno della stangata. Con la busta paga di gennaio i lavoratori dipendenti e i pensionati hanno potuto constatare che la finanziaria predatoria varata da Romano Prodi (sotto dettatura della sinistra radicale) tartassa il ceto medio e non aiuta i ceti deboli. Le cifre sono chiare e inequivocabili e dicono come la manovra - che pretendeva di sostenere i bilanci familiari e di rilanciare l'economia - si risolve invece in una diffusa e concreta riduzione dei redditi da lavoro, quindi in un impoverimento indiscutibile del Paese.

C'è già un dato preciso: la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti, per effetto dell'accresciuta pressione fiscale, perde mensilmente, rispetto all'anno scorso, da 20 a 140 euro. Per i pensionati con assegni medio-bassi c'è un risparmio sulle tasse di pochi euro al mese, ma bisogna considerare che non basteranno a compensare gli aumenti dei bolli sulle auto e dei tributi locali.

Per chi guadagna 50-60 mila euro lordi all'anno il salasso è molto pesante, da 100 a 150 euro al mese: un esborso aggiuntivo e ingiustificato che punisce - una vendetta ideologica - un segmento vitale in una società avanzata per ingrassare una macchina statale pesante e costosa.

A subire l'accresciuta pressione fiscale voluta dal "governo delle tasse" non sono soltanto i ricchi e i presunti tali, come dimostrano alcuni esempi: un laureato che mensilmente nel 2006 ha percepito 1.300 euro netti, adesso ne incassa 1.278, 22 in meno; un dipendente del settore commercio che mensilmente riceveva 1.440 euro, oggi ne incassa 42 in meno.

Questi non sono casi eccezionali o straordinari, sono la norma. I rilevamenti dimostrano che per i redditi medio-bassi (compresi fra i 15 mila e i 26 mila euro lordi all'anno) l'aumento dell'Irpef, con le nuove aliquote, è del 4 per cento, mentre per i redditi medi (fra i 28 mila e i 33 mila euro lordi annui) la crescita dell'imposta sul reddito è del 5 per cento. Soltanto in parte l'accresciuta pressione tributaria è compensata dal meccanismo degli assegni familiari.

Oggi, insomma, si constata la fondatezza delle critiche e degli allarmi lanciati dal centrodestra quando la finanziaria è stata presentata. L'analisi dell'opposizione era corretta e del resto le tesi della Cdl sono state confermate dalle critiche mosse alla manovra da più parti. La Banca d'Italia aveva segnalato che avrebbe pagato più tasse chi guadagnava qualcosa oltre i 24 mila euro; anche Sergio Cofferati avvertì che la manovra avrebbe colpito chi portava a casa circa 1.300 euro al mese.

Rabbia e delusione

Carta canta: l'impatto delle cifre stampate sulle buste paga è stato immediato. La stragrande maggioranza degli italiani a reddito fisso ha avuto modo di valutare come la demagogia che ha accompagnato il varo della manovra fosse menzognera e, nei fatti, contraria a qualsiasi idea di socialità. La finanziaria costituisce un regresso, una marcia all'indietro per la ricostruzione di uno Stato onnivoro e vessatorio, illiberale e deciso a pesare sempre di più nella vita dei cittadini. Per il popolo di centrodestra si è trattato di una conferma dei fondati timori, ma la delusione è stata forte anche per molti che nello scorso aprile avevano dato il loro consenso al centrosinistra. In questo senso sono indicativi gli umori espressi, in tempo reale, dal popolo di internet. E' curioso che tanti messaggi di delusione siano arrivati anche sul sito di un giornale "amico" del governo qual è Repubblica. In parecchi di questi messaggi alla protesta si aggiunge l'annuncio di non voler più votare per il centro sinistra: "Grazie a Prodi e a Visco - scrive un contribuente da 25.000 euro lordi all'anno - la prossima volta voteremo Berlusconi".

La gelata di primavera

Gli effetti negativi della finanziaria vanno ben al di là dell'aumento delle aliquote dell'imposta progressiva sul reddito. A parte gli aumenti sensibili su tutti i tipi di veicoli (auto, moto, motorini) a marzo molti Comuni rivedranno verso l'alto sia l'Ici sia le addizionali sul reddito. E per l'Ici ci saranno i nuovi, più alti estimi catastali.

Il meccanismo perverso che ha trasformato, poi, le deduzioni in detrazioni, non riduce la base imponibile sulla quale si basano le addizionali, sicché per un single non ci saranno aggravi, ma una famiglia con due figli a carico, a parità di reddito medio-basso dovrà pagare qualcosa in più.

Un pasticcio per confezionare il quale le parole "equità e socialità" sono servite soltanto a mascherare il sapore stantio della ricetta della sinistra: tasse, sempre tasse, solo tasse.

Stipendi/Smascherata la finanziaria-rapina

Agenzia Ansa del 25 ottobre 2006, h. 20,24

Titolo/Finanziaria, Prodi: avremo ragione con gli stipendi di gennaio

Intervenendo in un dibattito per la presentazione di un libro, il premier ha invitato tutti i presenti ad attendere i risultati delle misure economiche che il governo sta oggi adottando: "Aspettiamo i cedolini degli stipendi di gennaio. Sono tranquillo delle mie scelte…".

A gennaio viene il bello. Prodi l'aveva detto, il 25 ottobre, ergendosi in difesa dei contenuti della sua Finanziaria. E' stato di parola.

Gli stipendi di gennaio sono appena arrivati a destinazione, che già il sito di Repubblica echeggia dei gemiti di chi non si aspettava il salasso apportato ai redditi del lavoro dipendente dal nuovo fisco, e anche di chi aveva creduto alla promessa di benefici consistenti e si ritrova con qualche caffé pagato.

E non è finita. Si trema al pensiero di quel che comporta la facoltà di aumentare l'addizionale Irpef riconosciuta alle amministrazioni comunali.

Si delinea una devastazione dei bilanci familiari, già duramente provati dal passaggio all'euro.

Devastazione apparentemente capricciosa come i decreti del Fato, poiché la fascia sociale più debole non solo non ne ricava alcun vantaggio, in quanto esentata dalla dichiarazione dei redditi, ma ne ha un danno per l'aumento dell'aliquota contributiva dal 18,40 al 23,50%. Il primo calcolo di costi e benefici dà una media dello 0,7% effettivo di incremento della busta paga (pari a 18 euro al mese) per i bassi stipendi e un decremento di gran lunga superiore per pensioni e stipendi medio-alti.

A ben guardare, il fisco del centrosinistra è perfettamente coerente con la scarica degli interventi invasivi del ministro Bersani sulle arti e mestieri. Nel senso che entrambi sono puntati contro le fasce sociali in cui la sinistra non alligna. L'aspetto più stupefacente di questa torchiatura dei contribuenti sta nella sua apparente gratuità.

Nel senso che non se ne vede il pretesto, poiché il preteso buco nei conti pubblici lasciato dal governo Berlusconi è largamente colmato dall'incremento record del gettito tributario dovuto all'accorta politica fiscale del vituperato Tremonti. Il contribuente ne ricava l'impressione di essere vittima di un'altra eurotassa, ma stavolta in maschera. Senza un perché dichiarato.

Impressione ingannevole. Colpisce la coincidenza tra spremitura dei contribuenti e le spericolate operazioni finanziarie e di potere avviate dal centrosinistra, per la regia di Prodi.

Come la rinascita dell'Iri sotto le mentite spoglie del Fondo per le infrastrutture finanziato dalla Cassa depositi e prestiti e dall'apporto dei capitali delle banche amiche del centrosinistra, nelle sue varie anime: Cariplo e Monte dei Paschi, ma anche San Paolo Intesa e Unicredito.

Un'altra coincidenza concerne la privatizzazione di Alitalia che, titola La Stampa: "Batterà bandiera del Partito democratico". E si capisce, considerando che l'operazione è disposta in modo che la campagna cada nelle mani delle due cordate di finanzieri "ulivisti" interessati all'acquisto: quella vicina a D'Alema e quella che sponsorizza "la new generation ulivista Veltroni-Rutelli".

La presenza di capitale pubblico farà da catalizzatore per il successo dell'operazione. Ed ecco che la spremitura dei contribuenti trova il suo perché. La Giustizia tributaria di Prodi si finge bendata, ma ci vede benissimo.

Bonaiuti: dopo lo scippo sugli stipendi arrivano le nuove imposte sulla casa

"Gli italiani da oggi avvertono che la busta paga è più leggera e ringraziano il governo per l'aumento del prelievo fiscale. Ma il governo risponde ‘non possiamo dare soldi in giro': infatti, non si tratta di dare, ma di ridare indietro, di restituire ai cittadini quello che con un scarica di tasse è stato già portato via in pochi mesi. E mancano ancora le nuove imposte in arrivo sulla casa".

Lo afferma l'on. Paolo Bonaiuti, deputato di Forza Italia e portavoce di Silvio Berlusconi.

Bonaiuti: anche sull'editoria governo deludente

Agenzia di stampa Apcom del 29 gennaio, h. 20,40

"Anche sull'editoria il governo delude tutti. La riforma del settore presentata in questi giorni appare superata, inutile, ottocentesca". Lo afferma in una nota, l'ex sottosegretario FI alla Presidenza con delega all'Editoria Paolo Bonaiuti, sottolineando che "non si può parlare oggi di editoria ignorando internet, il blog, i nuovi media e le piattaforme digitali".

"Chiediamo - afferma Bonaiuti - citando un giornale non certo favorevole alla Cdl come Repubblica: quanto è utile cancellare cinque anni di lavoro confluiti dopo un'aperta e serena discussione in una proposta di legge bipartisan?". "Ancora una volta - conclude il parlamentare FI, portavoce di Silvio Berlusconi - toccherà al Parlamento intervenire, ne siiamo certi, per riparare i guasti del governo".

Noi/Meglio volenterosi che niente

La prima intuizione di Bondi di "coprire" il tavolo dei volenterosi con una significativa presenza di Forza Italia, rispondeva ad una duplice esigenza. Il dato di generosità politica era ampliamente ripagato dal calcolo - tuttora valido - di marcare ogni elemento di novità e di stimolo al bipolarismo attuale, senza lasciare ad altri (in particolare ad alleati zelanti quanto infidi) la patente di innovatori e di critici del sistema.

Bondi intuì insomma quello che l'assise milanese di ieri ha clamorosamente confermato, al di là della babele di linguaggi e proposte tipica di un'iniziativa ancora sperimentale e verticistica, poco legata alla società civile di cui cerca di intercettare gli umori. Capì cioè che stava nascendo al centro e in una certa sinistra di governo una insidiosa contestazione ai metodi del prodismo e alla sua caratteristica fondativa: essere una alleanza contro e non una alleanza per…essere cioè soprattutto una coalizione contro Silvio Berlusconi!

I cosiddetti "volenterosi" sono una dimostrazione, ancora debole e vaga, politicamente ingenua e socialmente senza basi, che l'alleanza tra la sinistra radicale e il partito democratico prossimo venturo, non ha prospettiva. E nasconde solo insidie e tasse per il Paese reale e i suoi cittadini a qualunque classe appartengano. Non a caso ai primi "volenterosi" si sono aggiunti in questi mesi molti curiosi compagni di strada che coprono l'aria liberale e radicale ma anche quella laica e socialista di chi non ha mai avuto problemi a guardare con simpatia e assoluto rispetto Berlusconi e il suo "miracolo" dal '94 ad oggi.

Una calamita intellettuale non ha gambe, da sola, per produrre consenso e voti in tempi brevi. Forza Italia tuttavia non dovrebbe snobbare gli sforzi di quanti, in buona fede e senza la volontà di creare l'ennesimo partitino, con la scusa di scuotere il bipolarismo incompiuto, massaggiano ai fianchi la più insana delle alleanze. Quella tra la sinistra radicale veteromarxista, l'ambientalismo datato, il partito dei Ds e quello della Margherita: cioè il vero piedistallo del governo Prodi.

Forse i tarli non incrineranno a breve quel piedistallo, ma lasciarli lavorare sorvegliandone appetito e progressi e mettendoci qualche zeppa di nostro, non danneggerà i partiti della libertà di oggi né quello di domani. Anzi.

Noi/Il leader c'è. E rimane

Due articoli di fondo, il primo sul Corriere della Sera e firma di Angelo Panebianco e il secondo dalle colonne del Riformista firmato dal suo direttore Paolo Franchi, hanno ribadito che il ruolo di Berlusconi rimane centrale nel sistema politico italiano e che il problema della sua successione si pone sì ma per il futuro.

Le conclusioni dei due editoriali sono largamente coincidenti nel valutare che "Berlusconi può dormire sonni tranquilli" perché i suoi partner "somigliano ai fatidici nani appollaiati sulle spalle del gigante", e soprattutto perché "nessuno degli aspiranti candidati può sperare di tenere unito quel vastissimo popolo che ha solo in Berlusconi il suoi leader naturale".

Angelo Panebianco aggiunge in più una considerazione: "il candidato del centrodestra non potrà che uscire dalle file del partito più forte, Forza Italia". Per quanto emanazione di Berlusconi - aggiunge il politologo - Forza Italia esiste ormai da più di un decennio, è il primo partito italiano per forza elettorale, e i sondaggi lo danno in ulteriore ascesa. Si suicederebbe se non esprimesse il candidato alla leadership". Tutto ciò conferma che dopo le elezioni di aprile, Berlusconi resta il leader incontrastato dell'opposizione e l'interlocutore principale del governo per un periodo ancora lungo, durante il quale possono accadere molti fatti nuovi.

Occorre dunque utilizzare questo tempo in maniera utile, per impostare una battaglia di opposizione che faccia centro su Berlusconi e sulla sua capacità di rappresentare gli interessi e i valori di una gran parte del Paese: quella maggioranza che non si riconosce in questo governo e che prevedibilmente è destinata ad ingrossarsi man mano che si mostra il vero volto di questo governo.

Loro/Il premier non c'è. E barcolla

Alla presentazione del rapporto 2007, il presidente dell'Eurispes aveva associato l'immagine di Prodi a quella degli imperatori tedeschi, succubi dei sette grandi elettori i quali controllavano la politica del sovrano e lo costringevano a lunghi ed estenuanti mercanteggiamenti, in cambio del consenso e del voto. In effetti l'immagine rende l'idea e, pur con la difficoltà oggettiva di vestire il premier con i panni di un imperatore, i sette vassalli vengono perfettamente rappresentati dai leader dei partiti di maggioranza: da Diliberto a Giordano, da Mastella a Rutelli a Pecoraro Scanio. Tanto da poter confermare che in questo governo manca la politica a vantaggio del qualunquismo; manca la condivisione di un programma a favore dell'improvvisazione; mancano le scelte di un interesse generale a vantaggio delle posizioni di rendita dei singoli partiti. Manca l'autorevolezza di un primo ministro che si assume l'onore e l'onere di governare.

Insomma Prodi non governa, nonostante si sforzi di esprimere soddisfazione per tutto quello che partorisce il Consiglio dei ministri, anche quando i risultati sono deludenti. L'ultima prova viene dal pacchetto Bersani: la stampa amica lo ha aiutato a parlare di svolta storica ma molti editorialisti hanno dovuto ammettere, seppur a denti stretti, che si tratta di provvedimenti poveri, forti nell'impatto mediatico ma deboli nella portata riformista.

D'altronde non è più un mistero che Prodi, per conservare la poltrona di Palazzo Chigi, si è acconciato a delegare ad altri il governo: nella politica estera ha passato le consegne alla sinistra radicale, ai partiti del no, che si ammantano con la bandiera arcobaleno per poi bruciare quella americana, quella israeliana e, moralmente, anche la nostra. Nella politica interna si è affidato ai sindacati che decretano la sorte della legge Biagi piuttosto che la riforma delle pensioni o del welfare.

Insomma Prodi ha già abdicato a favore di tutto il caravanserraglio della sinistra, e all'Italia ha fatto perdere la dignità e anche la faccia. Tanto che D'Alema, in partenza per il Giappone, chiede: "Al mio ritorno fatemi trovare il governo".

Il vizietto di Prodi: le partecipazioni statali

Ha un sapore antico la privatizzazione dell'Alitalia, un deja vù. I protagonisti, infatti, sono gli stessi della privatizazione della Sme. Romano Prodi non fa il più il presidente dell'Iri e Carlo De Benedetti non è più il presidente della Buitoni. Il primo è diventato presidente del Consiglio. Il secondo è rimasto un finanziare. Questa volta in ballo, però, non c'è la finanziaria alimentare dell'Iri (la Sme, appunto). Ma l'Alitalia.

Alla fine degli anni Ottanta, Prodi andò da Andreotti (all'epoca presidente del Consiglio) per comunicargli: la decisione di vendere la Sme a De Benedetti. La risposta del senatore a vita non si fece attendere: una battaglia senza esclusione di colpi fra una corrente democristiana (quella di De Mita e Prodi) e un'altra, capeggiata da Andreotti e spalleggiata (per fini congressuali) da Forlani.

I tempi cambiano ma il problema è lo stesso. Dietro la privatizzazione dell'Alitalia (ma non solo dell'Alitalia) si sta combattendo una guerra di potere occulto - nemmeno tanto - fra gruppi industriali e politici contrapposti. E tutti interni all'attuale maggioranza. Come all'epoca della Sme.

Nella Prima Repubblica c'erano le correnti dei diversi partiti. Ora c'è lo scontro su tutto ciò che può portare business fra Ds (e fra le sue diverse anime) e la Margherita. Ed ogni partito è pronto a svendere pezzi del patrimonio nazionale ad acquirenti stranieri. Possano essere Air France per l'Alitalia; possano essere i russi di Gazprom per il gas.

Infatti, al caso Alitalia fa da specchio il dibattito intorno alla fusione Snam Rete Gas e Terna.

Con Rutelli che la vuole solo per sottrarre fette di potere ai Ds (le municipalizzate sono in mano loro). Ed i Ds che la rinviano per conservare il più possibile il proprio potere, ed il proprio business energetico.

Ovviamente, ogni partito si è trovato il rispettivo sponsor: l'Eni dietro i Ds; gli stranieri dietro Rutelli.

Come per l'Alitalia. Il tutto in un gioco di riassetto di poteri economici e politici che guardano al futuro.

Quando il pensiero politico si fa debole, il potere economico aumenta e lo condiziona.

Idea-giovani/Aprire le università alle imprese

Le parole di Padoa Schioppa nella lezione all'ateneo di Verona, sono state soltanto una strizzatina d'occhio agli studenti e nulla di più. Padoa Schioppa, ha infatti affermato che occorre "rafforzare la competizione tra le università, per attrarre gli studenti, i ricercatori, i docenti, senza distinzione di età e di paese di origine che abbiano le maggiori potenzialità e per portare l'università italiana a livelli di eccellenza internazionale". Sicuramente cose giuste, ma come la mettiamo con i privilegi acquisiti? Come la mettiamo con quei "salotti buoni" dei guru in cattedra, quei circoli chiusi di clientele e nepotismo che nella maggior parte dei casi sono politicamente riconducibili alla sinistra di governo?

Aprire l'università al mercato e infondere in essa un sistema realmente premiante, implica una certa "flessibilità" nell'ambito della docenza.

Questi risultati sono però raggiungibili soltanto scardinando l'annoso sistema delle "baronie", puntando tutto sui progetti e non più sui docenti. Facendo delle università dei veri e propri ambiti di investimento che attraggano i privati per l'alta capacità di innovazione.

Mussi ha più volte travisato accusato gli imprenditori (come spesso fanno i politici di sinistra) di mancanza di coraggio. Ma come si può avere il coraggio di investire su un sistema ingolfato, immobile, che ruota attorno alle "grandi famiglie accademiche", con sistemi di reclutamento dubbi che lasciano spazio all'arbitrarietà? Il modello americano di interazione tra Ateneo ed impresa, in questo, fa scuola. Occorre ricreare un legame tra il mondo del lavoro e quello in cui si realizza la formazione dei giovani.

Oggi, il passaggio dalla laurea al lavoro è il momento più delicato per la vita di un giovane, dove il disorientamento porta troppo spesso a valutare le opportunità senza la razionalità dovuta, obbligando il giovane - quando è fortunato - a rifugiarsi nell'attività di famiglia.

Il governo Berlusconi, tramite servizi interconnessi come la Borsa nazionale del lavoro, il job placement, e l'orientamento nelle università aveva cercato di incanalare questo passaggio in una fase che premiasse la combinazione tra studi svolti, capacità ed inclinazioni personali.

Il mondo universitario, arroccato nella sua proverbiale autoreferenzialità, si è mostrato drammaticamente in ritardo su questo punto.

Quindi, è proprio Mussi che dovrebbe domandarsi: avrà il suo governo il coraggio di sconfiggere le baronie e aprire le Università alle imprese?

Tv/"Il coraggio di Catricalà" sulla Gentiloni

Da Il Sole 24 Ore di oggi, pag. 12

Ha avuto coraggio Antonio Catricalà, il presidente dell'Autorità generale della concorrenza e del mercato, nello schierarsi in modo tanto aperto e deciso sulla riforma Gentiloni del mercato televisivo: «Non si può mettere un tetto al fatturato Mediaset, perché non si può impedire a un'azienda di crescere», ha detto anticipando in tv il contenuto della sua audizione alla Camera. Per poi aggiungere che «sì, ha ragione Berlusconi».

Ma l'affermazione del presidente Catricalà è coraggiosa non solo perché va controcorrente. L'Autorità tocca anche uno dei nodi più delicati della riforma Gentiloni: il tetto alla raccolta pubblicitaria per le televisioni. Come ha scritto più volte su queste colonne Franco Debenedetti, l'imposizione di un tetto ai ricavi è una misura subdola, che tende a soffocare l'impresa. E non basta la precisazione del Governo che il limite venga posto alle quote e non ai ricavi: nel mercato televisivo non si può ipotizzare una crescita senza fine. In ogni caso, quindi, si contraddice uno dei principi dell'economia di mercato: la libera concorrenza.

Tv/Striscia che notizia! Più Silvio che Bruno

Se Antonio Ricci e la sua banda di Striscia la notizia pensavano di farlo cadere nell'ennesima trappola mediatica si sono dovuti frettolosamente ricredere.

Silvio Berlusconi, ottimo look e vivace loquacità, ha superato (c'erano dubbi?) egregiamente la "prova telecamera", è apparso padrone del piccolo schermo tanto che alla fine, quello più impacciato, è risultato il suo intervistatore.

Il siparietto, mandato in onda ieri sera, ha avuto come cornice il convegno di Liberal sul "berlusconismo". Striscia la notizia (28,87 share, 7986.000 spettatori) aveva organizzato un'incursione affidandola al bravo clone di Bruno Vespa il quale non ha avuto difficoltà nel placcare l'ex presidente del Consiglio per mostrargli una serie di fotomontaggi in cui il Cavaliere, di volta in volta, appariva nelle vesti dei leader mondiali del comunismo: da Marx a Stalin, da Castro a Mao.

Berlusconi ha respinto con grande garbo gli assalti del finto conduttore di Porta a Porta risultando alla fine in vero vincitore del match satirico; un match che sicuramente avrà divertito il pubblico di Striscia da mesi abituato ai noiosi soliloqui di Romano Prodi o, peggio ancora, alle fughe in diretta di Ministri e Sottosegretari già trasformati in pochi mesi di governo, in grandi collezionisti di tapiri d'oro.

   

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