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Caro padre,

ti scrivo questa lettera perchè non ho mai avuto l'occasione di parlarti, senza essere interrotto e coperto dalle tue insulse giustificazioni. Non me la sono mai sentita di dirti quello che penso per non farti soffrire, ma credo che adesso sia davvero arrivato il momento. Inizierò a raccontarti un episodio di tanti, tanti anni fa che ha segnato la mia infanzia. Ricordo che ogni notte facevo un incubo ricorrente e mi svegliavo sempre di soprassalto, spaventanto, senza riuscire a ricordare cosa fosse che mi spaventava così tanto. Non so dirti per quanti mesi o anni sia andata avanti questa situazione, so solo che avevo fin timore ad addormentarmi. Ad un certo punto ve ne siete accorti.

Ero molto piccolo, mi avete preso dalla mia cameretta e mi avete portato con voi, cercando di aiutarmi a capire cosa fosse. Mentre cercavate di fare le ipotesi più assurde su cosa potesse avermi spaventato ho iniziato a delineare i confini dell'incubo: erano i miei genitori che litigavano ferocemente. A quel punto non me la sono sentita di dirvi la verità, ho avuto paura di voi. Ho semplicemente fatto finta di aver capito che era un mostro che mi assillava, e ho anche dovuto mentire sulle sue sembianze perchè mi avete chiesto particolari di una cosa che non potevo descrivervi: eravate voi. Da quel giorno ho comunque continuato a fare i miei incubi, però sapevo cosa fosse e avevo meno paura. Ho dovuto lottare contro questa paura per tanto tempo, fino a quando sono riuscito a debellarla. Quello che poi ho avuto modo di appredere poi dal vostro comportamento è che sicuramente non era solo un mio incubo: purtroppo le vostre frequenti e violente litigate erano addirittura entrate nel mio subconscio, probabilmente avete iniziato quando ero ancora in grembo. Nonostante questo non ho mai smesso di volervi bene, ti aspettavo alla sera sperando che tu giocassi con me, ma purtroppo non avevi quasi mai tempo. Passavo le ore a montare l'autopista sperando che tu potessi correre insieme a me, ma eri impegnato.

Giocavo da solo e mi dicevo che la volta successiva forse non l'avrei fatta più così bella. Poi è arrivato un fratellino, ed inevitabilmente, in una situazione di risorse scarse (condividevamo la stanza, il tavolo, l'armadio) quelli che sono normali screzi tra fratelli diventavano litigi: probabilmente prendevamo esempio dal vostro comportamento. Quello che accadeva era che ogni volta, quando rientravi a casa dal lavoro, non stavi nemmeno a sentire i nostri problemi ma ti limitavi ad alzare le mani, urlando e picchiandoci entrambi. Tu adesso dici di non ricordarti perchè è passato tanto tempo, ma io mi ricordo benissimo. Ricordo anche quando, crescendo, ad un certo punto avevo la forza per contrastarti. Era per me una conquista perchè riuscivo a fremarti quando volevi picchiarmi. Non ho mai osato risponderti con la tua stessa cortesia, forse un pò per paura ma anche per rispetto, che non è mai venuto meno nei tuoi confronti. Hai smesso di alzare le mani su di noi solo quando hai capito che stavamo crescendo e avremmo potuto fare lo stesso con te. E poi dici che difendi i più deboli... Dio solo sa quanto ti ho odiato in quei momenti.

E' arrivata poi la maggiore età e mi hai regalato quel rottame di macchina che ti eri comprato e che non volevi più. E fin qui tutto bene perchè avere una macchina, anche se non quella che avrei voluto, era per me fonte di gioia e di indipendenza, anche se il mezzo accusava l'età e la progettazione fatta negli anni della crisi e troppo spesso era fermo. Il problema è che ogni volta che si guastava tu davi la colpa a me. Colpa mia perchè si guastava la centralina. Colpa mia perchè si guastava l'alternatore. Colpa mia perchè la marmitta continuava a bucarsi. Colpa mia perchè quando giravo la chiave l'auto non si spegneva, la sfilavo e rimaneva accesa senza, e la chiave non si infilava più. Colpa mia perchè ogni tanto non ne voleva sapere di partire: ne sa qualcosa mio fratello, che quando lo accompagnavo a scuola doveva spingere per farla partire. Non ti dico poi l'imbarazzo che avevo quando dovevo far spingere la mia ragazza. Ed era sempre colpa mia, e occasione per te per rimproverarmi. Mi hanno poi insegnato all'università che si ha colpa quando il danno non è voluto, ma è conseguenza di negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di norme.

E non c'era nulla di tutto questo: semplicemente una fiat fatta male che era sempre guasta. Quindi tu mi insultavi e mi colpevolizzavi per quello che giuridicamente si chiama responsabilità oggettiva: la mia colpa era solo quella di aver accettato quel tuo maledetto dono. Ci avevo quasi creduto quando cercavi di convincermi che era colpa mia, ma poi ho capito che non ero la causa di tutti i mali. Non ho avuto più guasti da quando ho venduto quel rottame: non era colpa mia. Poi è arrivata l'università e il tuo modo arrogante di trattarmi mi causava problemi con gli esami che non riuscivo a superare. Il problema non erano gli esami ma eri tu. Per risolverlo ti ho tagliato fuori dal mio mondo, non ti raccontavo più nulla, nè su di me ne sugli esami. Non sapevi assolutamente cosa facevo, hai solo saputo da qualcuno che un bel giorno mi laureavo. Questo solo perchè, da quando sono riuscito ad isolarmi e a costruirmi una vita fuori dalla famiglia, le cose hanno cominciato ad andare bene. Questo è il motivo per il quale ti ho escluso dalla mia vita, ma adesso non ti scrivo solo per raccontarti cosa penso di te.

Come giustamente hai detto ieri sera con i tuoi figli ormai non puoi più fare nulla: ormai siamo cresciuti e ci siamo fatti una vita fuori dalla famiglia. Su di noi hai finito di scaricare la tua aridità e il tuo odio. Quello che mi spaventa adesso è la situazione della mamma. Lei purtroppo ha dovuto sopportarti tutti questi anni. Ha tenuto duro e, pur di non far dispiacere a noi, è rimasta sempre con te. Ti ha accudito, sfamato, ha cresciuto i tuoi figli per tutta la vita, ha messo in piedi una azienda dando anche a te un lavoro e una possibilità per creare qualcosa. E tu ti sei limitato alle competenze che sono scritte sul secondo foglio della tua patente. L'hai portata via dalla sua famiglia, contro il volere di tutti i vostri genitori quando era ancora minorenne e non l'hai mai resa felice. Adesso sogna, come abbiamo fatto tutti noi, di lasciarti e di andarsene da te. Non ti nascondere dietro false scuse dicendo che è malata psicologicamente. E' semplicemente provata e distrutta per una vita passata accanto a te. Le hai portato via gli anni migliori della sua vita, rendendola infelice, arrivando anche a tradirla. E lei è cosi' buona che ti ha anche perdonato. Ma tu non sei cambiato. A causa del tuo odio non la vedo più neanche io. Ti racconto che un paio di anni fa, quando ero in vacanza, ho fatto un bruttissimo sogno. La mamma non c'era più ed io stavo malissimo. Non potevo crederci e continuavo a cercarla con il telefono cellulare. Non rispondeva e provavo a mandarle sms. Mi sono svegliato turbato da questo sogno terribile che, oltre avermi confermato quanto voglio bene alla mamma (cosa peraltro sulla quale non ho mai avuto dubbi) mi ha fatto capire che ormai il nostro rapporto si limita a contatti telefonici. Sono ormai anni che cerco di evitarti e per questo vedo molto raramente anche mia madre e la sento solo per telefono. E lei ha la costanza di chiamarmi tutti i giorni, in tutte le occasioni, spesso in momenti in cui non posso nemmeno rispondere. Ma tu in questi anni non hai mai nemmeno provato a chiamarmi, probabilmente non sai nemmeno il mio numero. Sono sicuro che sarai arrivato a leggere fino a questo punto della lettera per la curiosità che ti muove, ma so anche che per ogni singola parola tu avrai già una giustificazione o una scusa. Come sempre. Ti invito a questo punto a rileggerla senza cercare giustificazioni e a pensare cosa hai fatto per tua moglie in questi anni. Non ti rimane molto tempo, ma potresti almeno tentare di farti perdonare per quello che hai fatto. Fai tutto quello che ti chiede e sii felice di farlo, non urlarle dietro più come hai sempre fatto (non da ultimo questa estate quando stavate ritornando dal mare e l'hai fatta piangere mentre era al telefono con me). Non ti arrabbiare sempre per niente come hai fatto in questi quasi 40 anni di matrimonio spaccando i piatti o sbattendo le porte. E quando arrivi a casa non ti limitare a mangiare come se fossi al ristorante per poi piantarti tutta la sera davanti alla televisione ma aiutala a sistemare la casa e falle compagnia, portala fuori e falle vedere il modo che che hai chiuso fuori e che non le hai permesso di scoprire. Buttalo via quel televisore maledetto davanti al quale hai passato gran parte del tuo tempo libero guardando trasmissioni di politica: ormai sia per te che per noi è troppo tardi per cambiare il mondo con la politica. Cerca almeno di cambiare la sua vita e falla felice. Troverai sempre questa lettera che ti spedisco anche sul sito dove per anni hai pubblicato i tuoi articoli di politica, in modo che ovunque tu ti troverai nel mondo avrai la possibilità di rileggerla e riflettere sulla tua vita. Tuo figlio

 
 

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Marzo 2004

 
 

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