I giorni e le notti si alternano fugaci, come perle sfilate da un rosario. Ugualmente gli
anni sorgono e tramontano. La nostra vita è un viaggio, che alcuni trascorrono in barca; altri
per strada, finché non invecchiano i cavalli del loro carro. Non è la strada la nostra vera
dimora? Lo mostrano i poeti d’un tempo che hanno incontrato la morte camminando.
Anche per me giunse il giorno in cui l’infinita libertà delle nuvole mosse dal vento chiamava
a vagabondare lungo le coste selvagge di Ki. Quando ritrovai la mia capanna in riva al fiume,
l’estate era finita; e nel tempo che impiegai a ripulire il legno vecchio dalle ragnatele, anche
l’anno era finito.
Con la primavera nebbiosa tornò il prurito di riprendere la strada verso la dogana di
Shirakawa; gli dei del viaggio chiamavano, e io non potevo ignorarli. Rammendai quindi le
braghe, infilai un cordone nuovo nei passanti del cappello e, bruciando moxa su san-ri
(bruciature terapeutiche d’artemisia sul punto “tre leghe”) per rinforzare le gambe, già
vedevo sorgere la luna di Matsushima.
Ho venduto la capanna, ospite per qualche giorno nel padiglione del mio discepolo Sampu,
ma prima di lasciare anche quest’albergo, ho pennellato una poesia su una sciarpa che ho
appesa al pilastro:
Questa bicocca da eremita
non sarà più la stessa
casa di bambole
L’ultima riga allude a Hina-matsuri, la festa delle ragazze, terzo giorno della Terza Luna; le
famiglie che hanno figlie, espongono delle bambole su una mensola.