Trascorsi il soggiorno in questi luoghi sulla traccia dei poeti: “Il Ruscello di Tama” a Noda, la “Grande roccia” che emerge in mezzo al lago. A Sue-no-matsuyama - “la Collina dell’ultimo
pino” – si erge un tempio che chiamano “Masshozan”, scritto con gli stessi caratteri che
designano la collina. Il silenzio regnava nella pineta che lo circonda, costellata di tombe.
Gli amanti hanno un bel giurarsi di vivere uniti come le fenici, o allacciati come certi rami, è
proprio così, è nella terra che sempre tutto termina. Pensarci, mi stringeva il cuore e la
campana di un tempio che batteva la ritirata serale sulle rive del Shiogama accresceva la mia
tristezza.
Il cielo piovoso di giugno si era aperto, una luna incerta svelava le isole Magaki che
sembravano vicinissime. I pescatori tornavano a riva con le barche e sentivamo confusamente
le loro voci mentre si dividevano il pesce. Così ho compreso meglio quello che un poeta
d’altri tempi aveva incitato a evocare: “l’oscuro sciacquio delle ancore che vengono alate”.
Quella stessa notte ascoltammo un prete cieco accompagnarsi al biwa (strumento a corda la
cui forma ricorda il mandolino) per cantare un’epopea in stile dialettale. Non era l’Heikemonogatari
e tanto meno una ballata danzata, ma un’epopea rustica, cantata così forte e così
da presso, con una voce così stonata, che non avremmo potuto sperare di dormire. Ma ero
commosso di ascoltare in quest’angolo sperduto del Paese l’eco di una tradizione venerabile. |