Il primo giorno della Quarta Luna (22 maggio) facemmo devozione al monte Nikko.
Un tempo il nome di questa montagna era "Ni-ko” con i caratteri cinesi che significano “due”
e “ selvaggio”, ma quando il santo Kukai (Kobo Daishi, 774-835, fondatore della setta Shingon, e nobile figura del buddismo giapponese) vi costruì un tempio, cambiò la scrittura in“Nik-ko”, cioè “sole” e “luce”. Era una profezia di quanto doveva accadere mille anni dopo,
dato che oggi la luce della grande casata Tokugawa illumina il cielo e manda anche nelle più
arretrate province del Paese il benessere, la pace e la sicurezza?
Pervaso da profonda gratitudine, quasi esitavo a prendere il pennello.
Luogo benedetto e santo
verdeggiante di teneri rami
trafitti dal sole
Ai piedi del monte Kurokami – “Signore dai neri capelli” – se ne indovinava la cima bianca di
neve attraverso la foschia primaverile. Sora compose questa strofa:
Fresco di tonsura
ho scalato il Kurokami
nel giorno in cui ho cambiato abito
Sora è lo pseudonimo del mio allievo Sogoro, del clan Kawai. Eravamo vicini di casa quando
abitavo “l’eremo del banano”, e lui mi serviva, sollevandomi da ogni impegno domestico.
Sognava di vedere un giorno i paesaggi di Matsushima (la baia che racchiude un arcipelago
di 800 isolotti irti di pini) e di Kisakata, e si offerse di venire con me per dividere i disagi del
viaggio. Tagliò i capelli la mattina della partenza, indossò il kolomo (tunica) nero del bonzo e
prese il nome buddista di Sogo – “risveglio spirituale”.
Le terzina composta sul monte Kurokami ricorda la sua decisione. Il “cambiamento d’abito” è
molto ben trovato perché evoca tanto l’inizio della Quarta Luna, in cui s’indossa la tenuta
estiva, quanto l’entrata nella religione a cui si era deciso partendo.
A mezz’ora di marcia dal piede del monte, si incontra una cascata. L’acqua che scaturisce da
una grotta cade con una curva graziosa, provocando onde in una vasca verde, bordata di rocce
caotiche. Ci si insinua nella grotta per contemplare la traiettoria dell’acqua, da cui il nome di “Urami-no-taki” – “la Cascata vista da dietro”.
Raccogliamoci un momento
dietro la cascata
in questo inizio d’estate |
|
Le parole fanno cenno alla pratica di purificazione detta “misogi”.
A Obane abitava un amico. Decidemmo di passare a visitarlo attraversando la palude di Nasu.
Avevamo tagliato diritto, orientandoci verso un villaggio che si intravedeva lontano, ma la
pioggia e la notte ci furono addosso prima di arrivare. Passammo la notte in una capanna
abbandonata, riprendendo all’alba il cammino nella pianura. Incontrammo un cavallo che
brucava in libertà, accanto al padrone, che tagliava erba. A quest’ultimo chiedemmo il
cammino. Per quanto apparisse uomo rustico, questi era sensibile alle difficoltà dei
viaggiatori.
“Che storia!” mormorò con aria perplessa e preoccupata, “questa zona è percorsa in ogni
senso da sentieri, e lo straniero si perde inevitabilmente. Prendete il mio cavallo e, quando si
rifiuterà di continuare, rimandatelo con una buona pacca sul dorso”.
Ci prestò dunque la sua cavalcatura. Partendo, ci corsero dietro due bimbi. La ragazzina disse
di chiamarsi “Kasane” – “multipla, variata” – nome così inusitato e affascinante che Sora
compose all’istante questa strofa:
E’ un fiore?
certo, questi occhi selvaggi
sono due petali!
Dopo un po’ di cammino, giungemmo a una frazione di mezza dozzina di ruderi; lasciammo
che il cavallo tornasse indietro, portando indietro qualche pezzo d’argento nella sacca della
sella.
|