Matsuo Bashô: Oku no Hosomichi

Kurobane

Oku no Hosomichi

Ci facemmo annunciare a un certo Juboji, intendente al castello del signore di Kurobane. Era felice di questa visita imprevista, così passammo il resto del pomeriggio e la notte successiva a chiacchierare. Poi il suo giovane fratello Tosui si occupò di noi dall’alba allo spuntar della luna, ricevendoci in casa e facendoci invitare da parenti.

Uno dei giorni successivi andammo a vedere, nei sobborghi della città, il monticello da cui un tempo gli arcieri a cavallo si allenavano a scoccare frecce dalla punta smussata sui cani randagi. Un altro giorno, tagliando per il rinomato vivaio di bambù nani di Nasu, rendemmo omaggio al tumulo sotto di cui riposa Dame Tamamo, spingendoci poi fino al santuario di Hachiman, dio del combattimento (è il nome con cui viene onorato come bosatsu l’imperatore Onin, 201-312). Mi si strinse il cuore ricordando che proprio quella divinità era stata invocata: (“Hachiman, dio tutelare del mio paese”) da Yoichi di Nasu mirando con l’ultima freccia il ventaglio fissato sulla prua della nave nemica che gli veniva addosso, rullando sulle onde (episodio dell’Heike-monogatari, “Storia del clan Taira”, scritto alla fine del XII secolo da Hamuro Tokinaga. “Quando i Minamoto cacciarono i Taira da Kyoto, l’imperatrice Nii-no-Ama fuggì col giovane imperatore Antoku al tempio di Utsuku-shima dove erano conservati trenta ventagli che portavano in rosso il disco del sole. Il capo-prete gliene regalò uno dicendo che ospitava l’anima dell’imperatore Taka-kura e che grazie ad esso Antoku avrebbe acquistato il potere di scartare da sé e dai suoi le frecce nemiche. Il ventaglio magico venne fissato sulla prua della barca imperiale. Nasu-no-Yoichi dei Minamoto, volle sfidare la magia del prete e, lanciando il cavallo nelle acque, colpì con una freccia il perno delle del ventaglio, distruggendolo, nella generale costernazione dei Taira, che vennero sconfitti…”). Al cader della notte, tornammo alla casa del nostro ospite.

A Kurobane c’è anche un monastero buddista della setta Shugen (associazione delle sette buddiste Shingon e Tendai, tra i suoi aderenti vi sono i famosi yama-bushi: “coloro che dormono sulla montagna”), il Komyo-ji, dove andai a fare devozione davanti alla statua e agli alti zoccoli di legno del fondatore, En l’asceta, che si dice abbia percorso in lungo e in largo le colline della regione, indossando quelle calzature e predicando il Risveglio e la Buona legge.

Cuore delle colline a fin di Maggio

invoco la protezione dei Suoi zoccoli

nel lungo cammino che mi attende

Ungan-ji (“-ji” significa “tempio”)

Il bonzo Butcho, il mio maestro di meditazione, un tempo aveva l’eremitaggio dietro il tempio di Ungan, a qualche lega da Kurobane. Ricordo che raccontava di aver scritto con un tizzone su una roccia questo poema:

Largo solo cinque piedi
e altrettanto alto
ecco il mio alloggio

Ci starei proprio bene
se la pioggia cessasse

(questa poesia è un “uta”, o “tanka” in una delle due forme più usate formata da un primo emistico a tre versi di cinque-sette-cinque sillabe e un secono di due versi di sette. Un esempio di tanka è riportato alla fine).

Nella speranza di scoprire traccia di quel rifugio, guidai il gruppo verso Ugan-ji. Si erano uniti a noi dei giovani di Kurobane e camminammo con animazione e allegria, tanto da trovarci all’inizio della salita senza neppure accorgercene.

Da lì si vedeva il sentiero montare nella valle e scomparire nel folto di una foresta di criptomere e pini. La brina faceva brillare il muschio e l’aria era frizzante, anche se eravamo nella Quarta Luna. Dopo aver ammirato il panorama dei “Dieci paesaggi”, e superato un ponte, giungemmo al tori (portale) del tempio.

Cercando la capanna dell’asceta, mi arrampicai sul versante scosceso dietro alla costruzione e scoprii un minuscolo eremitaggio incollato ad un anfratto di roccia. Si poteva scambiare per la grotta di Yuanmiao, “le porte della morte’, in Cina, o per l’eremitaggio di Fa-yun l’Anacoreta del monte Nin-tou.

Picco-verde, proteggi

questa capanna rosa dai tarli

nella valle boscosa


 



Nikko

Oku no Hosomichi, cuaderno de viaje, del gran Poeta de Haiku, Matshuo Bashô.

Sesshoseki, la “Pietra che uccide”

CAPITOLI

  1. Prologo
  2. Partenza
  3. Soka
  4. Gozaemon il Buddha
  5. Nikko
  6. Kurobane
  7. Sesshoseki, la “Pietra che uccide”
  8. Il salice di Saigyo ad Ashino
  9. La dogana di Shirakawa
  10. Sukagawa
  11. Paludi di Asaka
  12. La pietra da stampa di Shinobu
  13. Il castello di Sato a Maruyama
  14. Iizuka
  15. Kasashima
  16. Il pino di Takekuma
  17. Sendai
  18. La stele di Tsubo
  19. Sue-no-Matsuyama
  20. Shiogama
  21. Matsushima
  22. Zuigan-ji
  23. Ishi-no-maki
  24. Hiraizumi
  25. Shitomae-no-seki
  26. Natagiri-toge, “il Passo della serpe”
  27. Obanazawa, “la Valle delle canne argentate”
  28. Il tempio in cima alla collina
  29. Oishida, o la grande pietraia
  30. Il fiume Mogami
  31. Haguro-yama
  32. Gassan e Yudono-yama
  33. Sakata
  34. Kisakata
  35. La strada del Nord
  36. Nago-no-ura
  37. Kanazawa
  38. Tada
  39. Nata-dera
  40. I bagni di Yamanaka
  41. Zensho-ji
  42. La strada di Eihei-ji
  43. Fukui e Tsuruga
  44. Ogaki
  45. Epilogo

Bosque de Bambú, Camino del Haiku.Camino del Haiku