Matsuo Bashô: Oku no Hosomichi

Epilogo

 

(Ad opera del pennello di Soryu, monaco letterato che mise l’ultima mano sull’edizione originale del testo).

In questo opuscolo la più limpida sobrietà si sposa ad una sovrana eleganza, uno stile rude e vigoroso si alterna a tocchi di delicatezza quasi femminile.

Seguendo L’angusto sentiero del Nord il lettore talvolta esplode in applausi, tal’altra china il capo, emozionato. Magari proverà il desiderio di calzare a sua volta l’ampio cappello del pellegrino e affrontare la strada, a meno che preferisca ripercorrere queste immagini incantate chiudendo gli occhi in piena tranquillità. Certo troverà un’infinita varietà, sgranando il rosario di perle costituito dai capitoli. Che viaggio straordinario, e che ricchezza d’espressione!

E che tristezza sapere che un poeta tanto meritevole è oggi un vecchio fragile e provato, le cui sopracciglia imbiancano ogni giorno di più.

Soryu

all’inizio dell’estate
del settimo anno di Genroku (1694).

 

 

 

 

Miyajima, 2 aprile.
Dolcezza, dolcezza, dolcezza!
L’isola di Miyajima è l’isola della dolcezza. Chi non ha vissuto qualche giorno in questo posto non conosce la dolcezza della vita. Farei eccezione solo per chi ha vissuto in Grecia i tempi di Pericle. E poi ancora!… E’ il posto della terra abitata in cui vi è meno sofferenza. Uomini e animali vi ignorano la paura. Tutto è felice, immerso in una pace luminosa. Guardate, lungo un sentiero di lanterne di pietra, ecco, sulla riva del mare calmo e azzurro, una giapponesina che offre una leccornia a una cerva libera. Questo è l’emblema della bellezza di quest’isola, che è un bosco di aceri, pini e ciliegi che rivestono la montagna. Da migliaia di anni quest’isola è un grande tempio silvestre e oggi, come da sempre senza dubbio, sul bordo dei ruscelli che scorrono limpidi animando mille piccole cascate, è seminata di piccoli altari con piccoli buddha di pietra, riparati da un tettuccio di legno. Per le strade della città, così pulite, non c’è un autobus, non un cavallo, una bicicletta, non un’auto, gran dio! nemmeno un riksho. Neppure un cane. L’accesso all’isola sacra è vietato ai cani, perché spaventerebbero i cervi che scendono dal monte al mattino, tenendosi in riva al mare, vicino al Tempio, in branco, attendendo dal passante qualcosa da mangiare, o qualche carezza. Fino a cinquant’anni fa era proibito nascere e morire a Miyajima. I candidati alla vita e alla morte dovevano raggiungere l’altra riva, quella degli umani. Qui è la dimora degli dei.

Tutto è calma: il mare, l’ambiente, i volti. Tutto è dolce: il clima, gli uomini, gli animali. Tutto è chiaro: il mare, che mostra sott’acqua filari di coltivazioni di alghe commestibili; calma anche l’aria, così trasparente; e lo sguardo dei bimbi. Tutto vi è sorridente: le labbra dei buddha di pietra e gli occhi neri della gente.

Si è veramente, come in Grecia, in un luogo predestinato. Da secoli gli umani, sedotti dal fascino di questo luogo, vi hanno collocato le immagini dei loro dei clementi, che sono facili da soddisfare e che perdonano le debolezze della condizione umana. Da secoli, e ancora oggi, e ancora per molto tempo, le brutture sono state, sono e saranno risparmiate a questa terra privilegiata. Niente agricoltura, niente fabbriche, certo! Niente di utilitaristico: se ci si coltiva degli alberi è solo per i fiori. Nessun rumore del progresso: stridio di tramway, grida di cocchieri, trombe, fischietti… che ne so? Niente. Silenzio. Tranquillità. I pellegrini non sono preoccupati e neppure euforici. Non è per pregare che sono arrivati fin qui. Dio è l’amabile pretesto per il vero scopo che è il luogo. Si viene per essere in letizia, dolcemente, tanto dolcemente, senza grida, senza esuberanza. Si appendono strisce di carta agli altari come si metterebbe il biglietto da visita nella cassetta dell’amico assente, che siamo venuti a trovare perché era bel tempo e perché volevamo fare una passeggiata. Si battono tre colpi con le mani per risvegliare il dio, si mormora una frase del sutra, e si riparte sereni, sfiorando gli alberi, le rocce e i fiori.

… I visi solitamente tetri degli Europei alla sera sono stanchi di sorridere.

Perché quando si aprono gli occhi al mattino si sorride alla semplicità della stanza, si sorride al sorriso della giapponesina che vi mostra il bagno e vi porta il the. Si sorride agli alberi rigogliosi di fiori, alle oche che, anch’esse, sono contente di starnazzare; ai germogli che sono spuntati nella notte. Si sorride a tutto.

Usciamo? Sorridiamo al passante, al turista che saluta gentilmente, al venditore di cartoline che s’inchina, non servile, ossequioso, o magari interessato, ma solo per cortesia, come riconoscimento di un costume che, attraverso il sorriso, scaccia le antipatie e le miserie della vita, accettandone solo le grazie; una riverenza offerta spontaneamente ad un eguale, da cui ci si attende altrettanto, e che il commerciante offre con altrettanta cura anche alla straniera che ha messo sottosopra il negozio senza prendere nulla. A pensarci bene, questa manifestazione d’ottimismo, offerta come esibizione di affetto formale, è una dolce e decisa rivolta alle tristezze e alle fatalità della vita; in questo modo l’uomo le respinge, le rifiuta, le nega; facendo così, qualche volta le disperde.

Si sorride inoltrandosi a caso nel bosco, agli alberi così verdi, così contorti, così potenti.

Si sorride ancora al piccolo altare inatteso scoperto sotto un albero, si sorride al piccolo fiore fresco che un fedele più mattiniero, è venuto a portare all’alba. La gentilezza di quest’offerta crea una simpatia tra voi che la scoprite e lo sconosciuto che l’ha fatta, sconosciuto di cui mai saprete qualcosa e che vi sentite disposti ad amare.

Si sorride alle bellezze della passeggiata che vi viene offerta da una divinità attenta, preveggente, misteriosa, tra rocce muschiate, aceri giganti e cespugli fioriti. Si sorride alla Grecia, il cui ricordo è evocato, si sorride al Sole che crea nei boschi macchie di luce così inattese da essere spirituali, ammiccanti, stimolanti. Si sorride a tutta la felicità diffusa nell’aria, che vi penetra come un profumo.

 




Ogaki

Oku no Hosomichi, cuaderno de viaje, del gran Poeta de Haiku, Matshuo Bashô.

 

CAPITOLI

  1. Prologo
  2. Partenza
  3. Soka
  4. Gozaemon il Buddha
  5. Nikko
  6. Kurobane
  7. Sesshoseki, la “Pietra che uccide”
  8. Il salice di Saigyo ad Ashino
  9. La dogana di Shirakawa
  10. Sukagawa
  11. Paludi di Asaka
  12. La pietra da stampa di Shinobu
  13. Il castello di Sato a Maruyama
  14. Iizuka
  15. Kasashima
  16. Il pino di Takekuma
  17. Sendai
  18. La stele di Tsubo
  19. Sue-no-Matsuyama
  20. Shiogama
  21. Matsushima
  22. Zuigan-ji
  23. Ishi-no-maki
  24. Hiraizumi
  25. Shitomae-no-seki
  26. Natagiri-toge, “il Passo della serpe”
  27. Obanazawa, “la Valle delle canne argentate”
  28. Il tempio in cima alla collina
  29. Oishida, o la grande pietraia
  30. Il fiume Mogami
  31. Haguro-yama
  32. Gassan e Yudono-yama
  33. Sakata
  34. Kisakata
  35. La strada del Nord
  36. Nago-no-ura
  37. Kanazawa
  38. Tada
  39. Nata-dera
  40. I bagni di Yamanaka
  41. Zensho-ji
  42. La strada di Eihei-ji
  43. Fukui e Tsuruga
  44. Ogaki
  45. Epilogo

Bosque de Bambú, Camino del Haiku.Camino del Haiku