Dato che c’erano solo due leghe per Fukui, scesi in strada dopo cena, cercando alla cieca il
cammino nel buio.
Sapevo che ci viveva un anacoreta di nome Tosai; l’avevo conosciuto a Edo più di dieci anni
prima e mi chiedevo se fosse ancora al mondo. Mi dissero che era vivo e vegeto e mi diedero
le indicazioni per trovarlo.
In una viuzza dal sapore campagnolo, lontano dal traffico cittadino, trovai la sua modesta
capanna sepolta sotto zucche ornamentali rampicanti, con la porta nascosta da Creste di Gallo
e ciuffi di saggina. E’ il posto giusto, mi dicevo bussando all’uscio. Aprì una donna vestita
dimessamente, che disse: “Da dove venite, così, reverendo monaco?… il Maestro è da un
amico, qui vicino, dove potete andare se volete vederlo”. La donna poteva essere sua moglie.
Passando da una casa a un’altra, rivivevo l’antico sentimento di un episodio del Genjimonogatari
(Storia di Genji, il Principe Splendente). Trascorsi due notti con Tosai, e lo
lasciai solo perché non volevo perdere il plenilunio nella baia di Tsuruga. Tosai volle
accompagnarmi e, rimboccando il kimono, infilandone l’estremità nella cintura, si mise
gagliardamente in strada, in testa alla comitiva.
Man mano che dietro a noi si allontanava il monte Shirane, cominciava a profilarsi il
monte Hino. Seguendo l’itinerario di altri poeti, passammo il ponte d’Asamuzu dove i“Giunchi di Tamae” erano già in spiga. Superata la “Barriera dell’usignolo” e scalato il passo
di Yonoo-o, ascoltammo il grido della prima oca selvatica sopra Hyuchiga-ho (“Castello di
silice”) e poi ancora a Kaeru-yama (“Monte-che-ospita-le-migrazioni”). La sera del
quattordicesimo giorno della Ottava Luna (30 settembre) raggiungemmo il porto di Tsuruga e
dormimmo in albergo.
Quella notte la luna solcò un cielo meravigliosamente puro. Domandando all’albergatore se la
cosa si sarebbe ripetuta l’indomani, rispose:
“Da noi nel Nord, sarebbe un gran furbo chi potesse prevedere il tempo con un giorno di
anticipo”. Vuotammo un orcio di sake in sua compagnia prima di fare una visita notturna al
mausoleo dell’imperatore Chuai (192-200, 14° imperatore del Giappone, fu punito dagli dei
per non aver adempito all’ordine di invadere la Corea – oppure fu ucciso di freccia dai
Kumaso) nel santuario di Myojin a Kehi.
L’ambiente rifletteva la santità del luogo e, nella cornice dei pini, la sabbia bianca sparsa
davanti al santuario scintillava come brina sotto la luna. “Un tempo, raccontava l’albergatore,
l’abate Yugyo, secondo nella linea di trasmissione, dissodò con le sue mani i dintorni del santuario, spianando il suolo, drenando gli acquitrini,
gettando sabbia, e disponendo pietre per facilitare l’accesso dei pellegrini al luogo. In ricordo
della sua pietà, c’è l’usanza che ogni anno l’abate scintoista della setta Jishu, getti della sabbia
bianca davanti all’oratorio. Quest’offerta si chiama “Offerta della sabbia di Yugyo”.
Santo chiarore, purezza abbagliante
la sabbia portata da Yugyo
riluce ancora sotto la luna
Il quindicesimo giorno, quello del plenilunio, accadde giustamente che dal cielo nuvoloso
piovesse, come l’albergatore aveva temuto che sarebbe accaduto.
Povero me!
la pioggia nel giorno del plenilunio
cambia il clima del Nord
L’onda lascia sulla rena
petali di hagi
mescolati a conchiglie
Chiesi a Tosai di scrivere il resoconto di questa giornata, che lasciammo al tempio in segno di
gratitudine. |